Divisivo, senza mezze misure. O è bianco, o è nero. Amato e odiato, apprezzato e ripudiato. Granit Xhaka ha 29 anni, è nel pieno della sua carriera. Nato in Svizzera da genitori kossovari immigrati, ha sempre rappresentato le selezioni elvetiche, ma non ha mai nascosto l’amore per le sue origini albanesi. I suoi genitori sono scappati nel 1991, all’inizio della guerra. Da loro ha ereditato il carattere forte, la resilienza. Caratteristiche che lo hanno inevitabilmente contraddistinto in campo, dalle giovanili del Basilea, dove ha iniziato, fino all’Arsenal, club in cui milita dal 2016, tra alti e bassi con un rapporto complicato con i tifosi.
Se chiedete a Xhaka quale sia il goal più importante segnato in carriera, molto probabilmente vi risponderà con una data e un luogo, indimenticabili per lui: 22 giugno 2018, Kaliningrad, Arena Baltika . Nel gruppo E del Mondiale di Russia si sono incontrate la Serbia e la Svizzera. Una partita che non poteva essere come le altre, perché nelle file degli elvetici militavano - e militano tutt’ora - diversi giocatori di origine kosovara o albanese, proprio come Granit Xhaka, ma anche Shaqiri, Seferovic, Dzemaili, Behrami. Svizzeri di seconda generazione, figli di genitori emigrati dalle terre balcaniche dell’est Europa per fuggire alla guerra.
Al 52’, sul punteggio di 1-0 per la Serbia, un pallone è rimbalzato fuori dall’area serba dopo una respinta. Ai 25 metri ci si è avventato proprio Granit Xhaka, con il suo sinistro: una sassata all’angolino, imprendibile per chiunque. E poi l’esultanza: l’aquila mimata con le mani. L’aquila, il simbolo dell’Albania. Divisivo.
Getty ImagesIn Svizzera non tutti hanno preso bene quel gesto, peraltro ripetuto anche da Shaqiri dopo aver segnato al 90’ la rete del decisivo 2-1. Stephan Lichtsteiner, capitano di quella squadra, non ha esitato a prendere le difese dei compagni.
"C'è stata una guerra durissima per molti genitori dei nostri giocatori. C'erano pressioni e provocazioni, quindi per me va Xhaka e Shaqiri hanno fatto bene”.
Qualcuno non si è sentito rappresentato, altri hanno considerato il gesto provocatorio, specialmente da Belgrado: già prima della partita avevano puntato il dito contro Shaqiri, che aveva disegnato la bandiera del Kosovo sulle sue scarpe. Un incidente diplomatico, l’ennesimo capitolo di una storia che esce dai confini del rettangolo di gioco. Granit Xhaka però ha sempre avuto la faccia tosta di fare determinati gesti.
Senza mezze misure. Da giovane il classe 1992 si è imposto come uno dei centrocampisti più futuribili. Cresciuto nel Basilea, con cui ha esordito, come molti svizzeri ha continuato il suo percorso in Bundesliga, con il Borussia Mönchengladbach, guidato dal suo connazionale Lucien Favre. In una squadra che cercava leader dopo le cessioni di Marco Reus e Dante, Xhaka è entrato in punta di piedi prima di affermarsi. Sarebbe arrivato anche a indossare la fascia di capitano per le sue doti di leadership riconosciute da tutto lo spogliatoio. 23 anni, ma già tante responsabilità addosso, in campo e anche fuori. Era già in grado di gestirle. Ecco perché l’Arsenal nell’estate 2016 ha deciso di investirci 45 milioni di euro, una spesa tutt’altro che usuale sotto la gestione di Arsène Wenger.
In quella stessa estate Granit Xhaka ha vissuto uno dei momenti più particolari della propria carriera. Si è trovato ad affrontare il fratello Taulant, di un anno più grande, con cui ha un rapporto speciale (ce n’è anche un terzo, Agon, classe 1994, che gioca in Kosovo). Non tra club, bensì tra nazionali. Perché se Granit ha scelto la Svizzera, Taulant - che ha sempre giocato nel Basilea, a parte per un anno in prestito - ha scelto l’Albania. E a Euro 2016 nel gruppo A si sono trovate di fronte proprio Svizzera e Albania, in un clima quasi festoso sugli spalti, non solo per l’esordio delle aquile in una grande competizione. Granit si è preso qualche fischio, mentre la mamma in tribuna indossava una maglia perfettamente a metà tra Albania e Svizzera. Una famiglia unita.
Getty Imges“Abbiamo entrambi un conto personale - aveva raccontato Granit in un’intervista alla ‘Gazzetta dello Sport’ - ma l’80% dei nostri guadagni lo dobbiamo a mamma e papà. Dobbiamo tutto ai nostri genitori, così restituiamo loro qualcosa. Il denaro non è altro che carta, il nostro grande lusso è la nostra meravigliosa famiglia".
O è bianco, o è nero. La prima stagione di Xhaka si chiude con la vittoria della FA Cup, ma anche la mancata qualificazione in Champions League e il durissimo 10-2 incassato dal Bayern tra andata e ritorno negli ottavi. Tutt’oggi è l’ultima partita dei Gunners nella massima competizione europea. I tifosi hanno subito apprezzato la sua leadership: la sua maglia è stata una delle più vendute nei suoi primi anni all’Arsenal e allo store era impossibile trovare anche solo le lettere X e K per poter comporre il suo nome.
La fascia di capitano è sembrata la naturale continuazione del suo rapporto con l’Arsenal, visto che dal 2018 la indossava anche nella Svizzera. Eppure è diventata anche l’oggetto della discordia tra lui e i tifosi del club londinese. Xhaka è stato bersagliato dalle critiche per alcune prestazioni sotto tono. È l’inizio della stagione 2019/20, uno dei momenti più duri per l’Arsenal guidato da Unai Emery, con 4 vittorie nelle prime 9 uscite in campionato. Il 27 ottobre è arrivato all’Emirates il Crystal Palace. I Gunners sono andati sopra 2-0, poi la rimonta ospite è stata immediata. All’ora di gioco, Emery ha deciso di togliere dal campo Xhaka. Subissato di fischi. Il numero 34 ha perso la testa, si è tolto la fascia di capitano e la maglia, l’ha lanciata a terra, ha mandato a quel paese i tifosi e si è seduto in panchina. Il clima si è fatto rovente, la partita è finita in secondo piano. Si è aperto un caso, risolto con la sottrazione della fascia, consegnata a Pierre-Emerick Aubameyang.
“Ciò che è successo al momento della mia sostituzione mi ha particolarmente colpito. I continui i insulti che ricevo sui social mi hanno ferito particolarmente, ho la sensazione che i tifosi non mi abbiano capito. Mi hanno detto cose come ‘Ammazza tua moglie’, ‘ti spacchiamo le gambe’, ‘speriamo che a tua figlia venga il cancro’. Queste cose mi hanno portato al limite. Mi sono lasciato trasportare e ho fatto un gesto irrispettoso nei confronti di chi mi supporta e dei miei compagni. Il mio auspicio è che tutto possa tornare come prima, e che si torni ad avere reciproco rispetto”.
Getty ImagesDopo esser stato escluso per le partite del mese di novembre, c’è stato il reintegro. Un anno dopo, nell’ottobre 2020, Xhaka è tornato ad indossare la fascia, per volontà dell’allenatore Mikel Arteta, anche se istituzionalmente non è mai tornato ad essere il capitano dell’Arsenal, ruolo che tuttora spetta ancora ad Aubameyang. Si è riconciliato con l’ambiente, anche se il rapporto si è deteriorato e il momento negativo vissuto da tutta la squadra non ha contribuito a riportare il sereno.
Le voci di addio della scorsa estate, spazzate poi dal rinnovo contrattuale firmato ad agosto, hanno fatto tornare il rapporto al clima burrascoso di quasi due anni fa. Il cartellino rosso rimediato con il Manchester City per un’entrata molto dura su Cancelo ha riacceso il nervosismo della tifoseria e il 5-0 finale con cui gli Sky Blues hanno asfaltato la squadra di Arteta non ha reso le cose migliori.
Un rapporto, quello con i tifosi, evidentemente tormentato, recuperato poi nel North London Derby vinto per 3-1 con gli arci-rivali del Tottenham. Con lo svizzero in campo, a comandare il centrocampo. La sua partita è finita in anticipo a causa di un grave infortunio ai legamenti ginocchio che lo terrà fuori per tre mesi. All'uscita dal campo, i tifosi che un tempo lo fischiavano l'hanno applaudito. Sliding doors. Sembrava dovesse diventare un giocatore della Roma, poi la storia è andata diversamente. È rimasto all'Arsenal e nel giro di un mese aveva riconquistato i tifosi. Granit Xhaka è sempre stato così: divisivo, senza mezze misure. Prendere o lasciare.


