GOALGià al termine della sua carriera da calciatore, Antonio Conte matura l'idea di restare nel mondo del pallone come allenatore. Il 4 aprile 2004 gioca la sua ultima partita, un Derby d'Italia di campionato, che vede i nerazzurri imporsi per 3-2. Al termine della stagione 2003/04, dopo 13 anni e 15 trofei conquistati in bianconero si butta con convinzione nella sua nuova vita.
"In estate alla Juve è in atto la rivoluzione di Capello - scrive il salentino nel suo libro 'Testa, cuore e gambe' -: nuove idee, nuovi metodi di allenamento, nuovi giocatori. A qualche mese dal suo arrivo vado ad assistere ad un allenamento della Juve. In quell'occasione me lo presentano e iniziamo a parlare dell'ambiente, delle ambizioni della piazza, del modo di intendere il gioco".
"Cosa stai facendo adesso?", mi domanda a bruciapelo ad un certo punto.
"Sto per iscrivermi al Corso di Coverciano".
"Così vuoi diventare allenatore... Senti che è la tua strada?".
"Guardi, mister, voglio provarci. Mi do tempo qualche anno per arrivare in una grande squadra: se non ce la faccio, mollo".
Capello capisce le ambizioni dell'ex centrocampista, sorride e gli chiede:
"Ti piacerebbe lavorare qui, nel mio staff?".
"Mister, sarebbe un grande onore. Verrei di corsa".
Ma l'illusione di partire come tecnico con la Juventus si spegne presto.
"La società pose il veto per via di una vecchia pendenza legata al mio ultimo contratto da calciatore".
Per Conte, però, si apre subito un'altra possibilità.
"Franco Ceravolo, il Responsabile delle Giovanili della Juve, a quel punto mi propone di lavorare per lui - racconta -, andando a visionare qualche giovane talento in giro per l'Italia. Accetto, anzi finisco per farlo gratis. Dopo qualche tempo si profila anche l'ipotesi che io possa diventare l'allenatore della Primavera bianconera. Ma nemmeno questa possibilità si concretizza. È l'ennesima delusione che incasso in quei mesi".
VICE-ALLENATORE AL SIENA
L'ex centrocampista si decide allora a chiudere le porte col passato e trova la forza per inseguire i suoi obiettivi.
"Durante l'estate 2004 volto pagina e mi iscrivo al corso allenatori di Coverciano - prosegue Conte nel suo racconto - come avevo previsto inizialmente. Ho la sensazione di trovarmi dietro ad un vetro a guardare la giostra che riprende a girare senza di me".
"Trovo dentro la forza necessaria per ripartire - sottolinea - e mi dico che l'unico modo per farlo è pormi degli obiettivi a breve termine, a cominciare dal patentino di allenatore di Prima Categoria".
A luglio a Conte arriva quella chiamata tanto attesa:
"È Giorgio Perinetti, il Direttore sportivo del Siena. 'Antonio, mister De Canio ti vorrebbe nel suo staff come secondo. Stiamo prendendo anche Ventrone come preparatore'. In verità nel giro di qualche giorno vengo a sapere che era stato proprio Ventrone a fare il mio nome a De Canio. Ma non accetto l'offerta di Perinetti. Gli spiego che non credo di essere adatto a fare la spalla".
"Direttore, senza offesa, non sono convinto", sono le sue parole.
Conte prosegue il corso a Coverciano e arriva una chiamata inaspettata. È niente meno che Luciano Moggi.
"Antonio, ma sei pazzo? - mi dice -Quella di Siena è un'opportunità importante. Se vuoi cominciare non puoi rifiutare la loro offerta".
"Direttore, ma che sta dicendo? - replica Conte - Mi avete promesso la Primavera, adesso viene a dirmi quello che devo fare? Io non me la sento di fare da secondo".
Lui insiste: "No, stammi a sentire, tu hai bisogno di esperienza. Te lo consiglio".
Passano due giorni e Perinetti richiama.
"Penso di chiudere definitivamente la questione chiedendo un ingaggio elevato - rivela Conte -. Ma lui non si scompone e replica: 'Vedrai che troveremo un accordo ad una cifra adeguata'. A quel punto comincio a pensarci su, perché capisco che a Siena mi vogliono veramente, mi stanno facendo sentire importante".
"Perinetti alla fine della telefonata mi strappa un ok per parlare di persona con De Canio. Quando lo incontro a Siena scopro una bravissima persona e anche un grande tifoso juventino. Scatta un buon feeling, come ulteriore spinta, c'è la possibilità di tornare a lavorare con Ventrone. Così mi convinco e accetto di iniziare quell'apprendistato".
Conte però fa subito a De Canio un discorso molto chiaro:
"Gigi, voglio essere onesto e corretto con te: farò il tuo collaboratore con il massimo impegno, ma sappi che il mio obiettivo è quello di fare il primo. Se capiterà un'occasione la coglierò".
Arriva così una svolta importante nella carriera di Conte, che coincide anche con un passo importante nella sua vita personale.
"L'arrivo a Siena segna anche l'inizio della mia convivenza con Elisabetta - racconterà -. Il nostro rapporto si è consolidato. Quando decido di partire, lei mi confida: 'Io non sto lavorando in questo momento. Mi piacerebbe accompagnarti, cambiare vita, starti accanto... Magari trovo qualcosa di bello da fare lì'. Anche a me fa piacere avere Elisabetta al mio fianco, in quella prima avventura in panchina. La decisione è presa".
Il lavoro atletico di Ventrone mette a dura prova sul piano atletico la rosa dei toscani, che può contare anche su ex juventini come Mirante, Tudor, Paro, Legrottaglie, Bachini, Guzman e Volpato. Conte prova a convincere tutti che i sacrifici saranno poi ripagati.
"L'obiettivo fissato ovviamente è la salvezza, restare in A per il terzo anno consecutivo - rivela -. La stagione inizia con la Coppa Italia: superiamo i primi due turni ma al terzo siamo sconfitti in casa dall'Atalanta, quell'anno in Serie B, e tanto basta per scatenare un casino".
"È il 21 agosto, manca ancora una settimana all'inizio del campionato e già al primo intoppo emergono notevoli difficoltà. Dopo la partita con Ventrone e il preparatore dei portieri Francesco Anellino andiamo a mangiare un boccone da Nonno Mede, che è un po' il 'ristorante ufficiale' del club. All'improvviso entra il presidente con alcuni collaboratori. Uno di questi si avvicina al nostro tavolo e comincia a sbraitare contro tutto e tutti: De Canio, i giocatori, i metodi di allenamento...".
"Noi prendiamo le difese di Gigi a spada tratta: 'Ma di cosa stiamo parlando? Siamo insieme da un mese, abbiamo fatto un lavoro fisico mostruoso, bisogna aspettare per vedere i risultati'. Andiamo avanti, ma la gestione degli equilibri non è semplice. Come succede a volte di fronte alle difficoltà, nascono alcune incomprensioni, che, in ogni caso, cerchiamo di gestire nel miglior modo possibile. nell'interesse comune".
Conte e i preparatori hanno ragione: la stagione 2005/06, su cui irrompe Calciopoli, regala al Siena la salvezza e fornisce al tecnico salentino la preparazione e l'esperienza necessaria per poter lavorare autonomamente dalla stagione successiva.
"Sul campo il lavoro paga e chiudiamo la stagione salvandoci con due giornate di anticipo - scrive Conte nel suo libro -. La partita che regala la certezza matematica è... Siena-Juventus. Durante la settimana che precede la partita c'è molta tensione. La Juve di Capello insegue gli ultimi punti-Scudetto, noi la permanenza in Serie A. Scendiamo in campo determinati, ma dopo 10 minuti siamo sotto 3-0. Esplode la contestazione dei tifosi e ce n'è per tutti, dal presidente in giù, ma i più bersagliati sono gli ex juventini nelle nostre fila".
"Non sfuggiamo nemmeno Ventrone ed io: in tutta la carriera cori contro l'allenatore in seconda e contro il preparatore atletico non ne avevo mai sentiti. Il risultato non cambia al 90', ma la vittoria della Reggina contro il Messina ci regala ugualmente la sospirata salvezza in un clima surreale: metà stadio festeggia, l'altra metà ci fischia sonoramente".
Nonostante la salvezza raggiunta come richiesto dalla società, il futuro di Conte sarà in altre piazze.
"Quella partita con la Juve lascia una cicatrice profonda nell'ambiente. La società non rinnova l'accordo con il mister e Perinetti mi lascia in sospeso qualche giorno per capire l'orientamento di De Luca. Infine mi comunica la decisione: 'Scusa Antonio, sei libero, ci muoviamo su altri fronti'. Sulla panchina del Siena arriva Mario Beretta".
LA RETROCESSIONE IN C CON L'AREZZO
Chiusa in modo rocambolesco l'esperienza da vice con i bianconeri, Conte non tarderà però molto a trovare un nuovo ingaggio.
"Faccio le valigie e me ne torno a Torino - racconta il futuro Ct. azzurro -. Si apre di nuovo la prospettiva di un'estate piena di incognite, senza progetti definiti. Per esorcizzare le inquietudini professionali passo più tempo con Elisabetta, è l'unica persona che riesce a rasserenarmi. Un giorno sono con lei all'Ikea quando mi squilla il cellulare. Numero sconosciuto. Rispondo e dall'altra parte c'è Ermanno Pieroni, direttore sportivo dell'Arezzo".
"A due giorni dall'inizio del ritiro mi spiega che non hanno ancora scelto a chi affidare la squadra: 'Mister, abbiamo un amico in comune. Il suo nome me l'ha fatto Luca Petrachi...'. Luca! Il mio vecchio compagno di scorribande a Lecce...".
"Luca è stato esplicito - gli rivela Pieroni -: 'Devi prendere un tecnico giovane', mi ha detto. E ha fatto il suo nome. Io mi fido dei miei amici, quindi vorrei incontrarla".
L'affare si concretizza e Conte diventa il nuovo tecnico dell'Arezzo, che dopo un brillante 7° posto insegue la salvezza nella stagione 2006/07, quella che vede nel campionato cadetto corazzate come la stessa Juventus, il Genoa, il Napoli e il Verona. La squadra parte con una penalizzazione di 6 punti in classifica per Calciopoli.
A livello tattico il mister salentino si affida ad un 4-4-2 di impostazione sacchiana: tanto pressing (anche le punte devono sacrificarsi per il bene della squadra) e gioco sulle fasce. Nella rosa non mancano i nomi di grido: l'ex Inter e omonimo del mister Mirko Conte in difesa e l'ex Napoli Antonio Floro Flores in attacco, mentre a centrocampo agisce Daniele Croce.
L'avvio degli amaranto è però disastroso e la squadra scivola all'ultimo posto in classifica. Dopo 9 giornate e una sconfitta per 2-0 allo Stadio Manuzzi con il Cesena, per Conte arriva il primo esonero della sua carriera.
Al suo posto la società chiama alla guida del Cavallino Maurizio Sarri, all'epoca tecnico semi-sconosciuto. Intanto Conte cerca di mettere da parte quell'esperienza negativa e pensa ad aggiornarsi in vista di un futuro nuovo incarico. In quei mesi particolari gli capita anche di andare in Olanda con Elisabetta e di studiare con attenzionegli allenamenti di Louis Van Gaal, all'epoca alla guida dell'AZ Alkmaar.
"Il primo giorno siamo fortunati, l'allenamento è a porte aperte - racconterà nel libro 'Testa, cuore e gambe' -. Non stacco gli occhi un attimo da Van Gaal, nemmeno quando guarda l'orologio fra un esercizio e l'altro. Alla fine della seduta penso di avvicinarlo e presentarmi, ma poi prevale la timidezza e lascio perdere".
"Il giorno dopo torniamo, ma l'allenamento è a porte chiuse. Ci provo lo stesso. 'Facciamo gli indifferenti', dico ad Elisabetta. Troviamo uno spiraglio ed entriamo. Dopo poco mi sento toccare una spalla. Non mi volto. 'Ancora un momento, Betta. Cinque minuti e andiamo, giuro'. Di nuovo quel tocco, per la verità un po' troppo pesante per essere di Elisabetta. 'Dai, Betta...'. 'Excuse me, Sir...'. Mi giro e vedo dietro di me un uomo enorme. Sembra il fratello cattivo di Ronald Koeman, un ex giocatore olandese dal fisico imponente".
"È un uomo della security del club. 'Are you spying Mister Van Gaal? You can't stay here'. Decido in quel preciso momento che nel mio corso di aggiornamento includerò anche un corso di Inglese".
"Cerco di spiegarmi come posso: 'I'm not spy... Non sono una spia... Player, old player', dico, mimando con la mano gli anni che mi sono lasciato alle spalle. 'Juventus!', concludo, non vedendo in lui nessuna reazione. È una sfinge, una sfinge piuttosto arrabbiata. 'I want to see... allenamento... Van Gaal'. Niente. Elisabetta ride come una matta, vedendomi provarle inutilmente tutte per intenerire il Koeman della sicurezza. 'I know who you are but you can't stay here', è la sua risposta definitiva. Finisce che prima di andare via gli faccio pure l'autografo, ma devo dire addio a Van Gaal".
Chiusa la parentesi olandese, Conte torna a Torino e gira i campi dei Dilettanti per arricchire ulteriormente il suo bagaglio di esperienza.
"Scatta la seconda fase del programma di aggiornamento. Frequento qualche campo del Campionato Dilettanti, in cinque mesi macino più chilometri di un rappresentante. Sono convinto che quei luoghi siano pieni di persone che studiano davvero il calcio, preparatissime, anche se poi non arrivano nemmeno ad avere le presenze necessarie in categoria per fare l'esame per il patentino. Dai campi di Provincia ottengo spunti interessanti da conservare per il futuro".
Nel frattempo ad Arezzo Sarri non è riuscito a migliorare la situazione. Anzi, la squadra, nonostante i quarti di finale raggiunti in Coppa Italia (sconfitta complessiva per 2-1 col Milan) a poco meno di metà del girone di ritorno è ultima in Serie B a 10 punti di ritardo dalla salvezza.
"Mi arriva una telefonata. 'Pronto Antonio'. Non riconosco subito la sua voce. 'Sì? Chi parla?'. 'Sono Pieroni, come stai?'. D'istinto mi verrebbe da dirgli tutto quello che penso di lui e di come stanno gestendo il campionato. Ma per una volta scelgo la diplomazia. 'Bene, grazie'. 'Bravo. Senti sono qui con il presidente che ti chiede di tornare".
Dopo la sconfitta con la Triestina, che costa la panchina a Sarri, gli amaranto richiamano alla guida il tecnico salentino.
"Tutti danno l'Arezzo praticamente per spacciato. Ma sono le imprese impossibili quelle che mi piacciono di più.Metto da parte le questioni personali e accetto. Non abbiamo veramente nulla da perdere, così decido di andare all'attacco con un gioco aggressivo. È lì che pongo in essere il 'mio' 4-2-4: esterni molto alti, attaccanti che fanno movimento, due centrocampisti e quattro di difesa abbastanza bloccati. In più recupero giocatori importanti che rientrano da lunghi infortuni".
"Nelle prime partite i risultati sono altalenanti, non troviamo la continuità che ci servirebbe in classifica. Pieroni ricomincia a mugugnare, durante la settimana ha sempre in faccia quella fastidiosa espressione di chi, fosse per lui, farebbe diversamente. Toglie fiducia a tutto l'ambiente. Un giorno mi imbestialisco. Chiamo due miei collaboratori e gli dico: 'Accompagnatemi in sede'. Non avevo la macchina".
"Che succede?"
"Succede che due sono le cose: o da questo momento decido io o vado via oggi stesso. In sede vado da Mancini (Piero, il presidente, ndr) e da suo nipote, l'amministratore delegato, e tiro fuori tutto: 'Da questo momento o si fa come dico io, oppure me ne vado subito, adesso.Mi sono rotto le scatole di questo gioco al massacro. Da adesso decido io quello che si deve fare. Se va bene è così, altrimenti...'. 'No, no, guarda, fai tu. Prendi la cosa in mano, non ti preoccupare'. Mi rispondono".
L'Arezzo di Conte inizia a vincere e non si ferma più. Alla fine è molto sfortunato e manca i playout all'ultima giornata, retrocedendo in Serie C.
"Iniziamo una cavalcata incredibile - ricorda Conte -: sette partite, cinque vittorie, un pareggio e una sola sconfitta, proprio contro la Juventus. 1-5 in casa. La Juve ci batte e vola matematicamente in A con tre giornate di anticipo: 'Avrebbero potuto aspettare a farli, questi punti', pensa qualcuno, qualcuno che secondo me è invece totalmente fuori strada. A fine partita vado da mister Deschamps e gli faccio i complimenti. Prima del fischio d'inizio non sono andato a salutare nessuno proprio per non dare adito ad eventuali strane interpretazioni".
"E si arriva all'ultima giornata di campionato. Contro tutti i pronostici, decisiva per la nostra rincorsa alla salvezza. Noi giochiamo a Treviso, lo Spezia a Torino contro la Juventus. Possiamo farcela. Se noi vinciamo e la Juve non perde ai playout andiamo noi. Ma accade l'impensabile: la Juve, che in tutto il campionato ha perso solo 4 volte, ma che dopo la vittoria del campionato si è lasciata un po' andare, perde 3-2, vanificando il nostro 3-1 a Treviso. Morale: Arezzo retrocesso, Spezia e Verona ai playout".
Per Conte è una delusione durissima da digerire.
"Nel dopopartita rilascio interviste durissime - racconta -. Neppure i cori dei tifosi juventini allo stadio alleviano la mia rabbia. Io divento non solo il condottiero, ma anche il primo tifoso della squadra che alleno, anche quando questo significa andare contro la mia stessa storia personale. La delusione per la retrocessione è davvero troppo forte".
"Si chiude così la mia prima stagione da allenatore. Scherzando dico che è stato un altro anno da studente Cepu. Mi sembra di averne fatti cinque in uno: ingaggio all'ultimo giorno di calciomercato estivo, ritiro con la squadra incompleta, sei punti di penalizzazione, esonero, ritorno, impresa sfiorata. Alla prima esperienza in panchina, davvero non mi sono fatto mancare nulla!".
La carriera di Conte proseguirà lontano dal club amaranto, ma quei mesi ad Arezzo resteranno sempre indelebili nel suo percorso da allenatore.
"All’Arezzo ho vissuto un periodo duro, ma è in quella stagione e per via di quelle difficoltà che sono diventato un bravo allenatore", ha dichiarato di recente, dopo essere diventato il manager del Tottennham, alla stampa inglese.
L'AVVENTURA AL BARI E LA PRIMA VITTORIA
La terza tappa del Conte allenatore lo vede alla guida del Bari per un anno e mezzo, dal gennaio del 2008 al giugno 2009.
"Nonostante la salvezza ci sia sfuggita all'ultima giornata dopo una rincorsa miracolosa - scrive Conte nel suo libro -, alla fine della stagione non mi accordo con il presidente per proseguire la collaborazione, ma porto via da Arezzo la consapevolezza di poter fare molto bene [...] Sono più convinto che mai di poter diventare un ottimo allenatore. Purtroppo nessun altro sembra accorgersene".
"L'estate passa velocemente e mi ritrovo di nuovo fuori dai giochi. - rivela il tecnico leccese - Alla fine di quel 2007, però il mio malumore viene cancellato da un evento memorabile: il 9 novembre nasce mia figlia Vittoria. È la più grande gioia della mia vita e di Elisabetta, il suggello del nostro amore, la svolta radicale della mia esistenza".
A dicembre si sblocca anche la situazione lavorativa. A permettere ad Antonio Conte di tornare in pista è la squadra della sua giovinezza, quel Lecce che poco prima del giorno di Natale travolge per 0-4 il Bari al San Nicola nel Derby pugliese, determinando l'esonero del tecnico biancorosso Beppe Materazzi.
Il presidente Vincenzo Matarrese incarica il d.s. dei Galletti, Giorgio Perinetti, che aveva già lavorato con Conte al Siena, di offrire la panchina di quelli che fino a quel momento erano stati per lui i grandi rivali di gioventù. Il 29 dicembre 2007 il tecnico leccese accetta di rimettersi in gioco e allenare il Bari, fra l'incredulità dei suoi concittadini e dei tifosi leccesi.
Seguendo i dettami del nuovo allenatore, il club si muove sul mercato con innesti e partenze: arrivano in biancorosso gli stranieri Pedro Kamata e Abderrazzak Jadid, ma anchei difensori Giovanni Marchese e Andrea Masiello e il centrocampista Giuseppe Statella. Salutano invece i Galletti Tabbiani, Antonelli, Fiorentino, Ingrosso, Ivan Loseto e il belga Sergeant.
Il tecnico fa svolgere alla squadra un duro richiamo di preparazione con il nuovo preparatore atletico Stefano Boggia, e ancora una volta inizialmente i risultati stentano ad arrivare: nelle prime 4 gare arrivano 3 sconfitte e un pareggio, con l'unico punto raccimolato all'Arena Garibaldi di Pisa contro i nerazzurri di Ventura.
Perinetti, che conosce i metodi di Conte, convince la dirigenza ad avere pazienza. Puntualmente la squadra inizia da lì in avanti a macinare risultati: nelle restanti partite fino al termine del campionato ottiene 9 vittorie, 7 pareggi e appena 3 sconfitte, conducendo il Bari ad una tranquilla salvezza, ottenuta con largo anticipo. I biancorossi, trascinati dai goal di Davide Lanzafame e dalle parate di Jean Francois Gillet si piazzano a fine anno all'11° posto con 55 punti.
La soddisfazione più grande per i tifosi è la vittoria nel Derby di ritorno contro il Lecce: il 17 maggio 2008 al Via del Mare, nella terzultima giornata, infatti, i Galletti di Conte superano 2-1 i giallorossi prendendosi la rivincita dopo il pesante k.o. dell'andata. Quel successo se esalterà i sostenitori del Bari avrà l'effetto di generare attriti fra Conte e i suoi conterranei.
L'allenatore salentino è naturalmente confermato dalla società per la stagione 2008/09. In pochi immaginano che per il Bari sarà una stagione trionfale. Nel giorno della presentazione Conte dichiara:
"Spero che un giorno non tanto lontano la gente si ricordi di me non come ex calciatore della Juventus, con cui ho vinto tantissimo, ma come Conte allenatore”.
Le sue saranno parole profetiche. Come preparatore atletico torna a lavorare con Conte Giampiero Ventrone, mentre Boggia, assieme a Stefano Bruno, fa parte dello staff tecnico. L'ossatura della squadra è rinforzata dagli arrivi estivi di Andrea Ranocchia, Alessandro Parisi, Ciccio Caputo, Emanuel Rivas e Paulo Vitor Barreto. Altri acquisti, come quelli del croato Maric e del brasiliano Felipe Sodinha, avranno meno fortuna e lasceranno la squadra a gennaio.
Sul calciomercato invernale la rosa è ulteriormente puntellata con gli innesti dell'attaccante bielorusso Vitalj Kutuzov e di Stefano Guberti. I Galletti, trascinati dal loro condottiero in panchina, sono protagonisti di una cavalcata entusiasmante che culmina con la vittoria del campionato di Serie B e la promozione in Serie Al'8 maggio2009 con 4 turni di anticipo, in seguito al k.o. dei rivali del Livorno contro con la Triestina.
In mezzo anche un episodio curioso che alimenta la leggenda del tecnico salentino. Il 28 febbraio 2009 allo Stadio Martelli si gioca Mantova-Bari. Dopo la rete del vantaggio ospite siglata da Guberti, con l'argentino Rivas in posizione di fuorigioco non ravvisata dal direttore di gara nonostante venga sbandierato dal guardalinee, Conte è espulso dall'arbitro Morganti di Ascoli assieme all'attaccante avversario Corona, che riceve il rosso dalla panchina per proteste.
Conte si reca come da prassi in tribuna, ma i tifosi locali, con il Mantova che è disperatamente in lotta per non retrocedere, e il goal del Bari segnato a loro giudizio con una grave svista arbitrale, lo attaccano ferocemente. Il tecnico dei pugliesi lì insomma non può stare, ed ecco che allora decide di guardarsi il resto della gara in curva. Lui, un leccese in mezzo agli ultras baresi. In campo il Bari non risente della sua assenza e si impone 0-2, con la rete della sicurezza siglata da Parisi. Anche questo è un record, in quella che resta ancora oggi l'ultima promozione della squadra nel massimo campionato.
Getty ImagesL'ADDIO AL BARI E IL FLOP ALL'ATALANTA
Il 2 giugno 2009 Conte accetta inizialmente di rinnovare il suo contratto con il Bari, ma dopo 3 settimane risolve consensualmente il suo contratto con il club biancorosso, rovinando un po' la festa dei tifosi per la grande stagione della squadra.
A determinare l'addio divergenze insormontabili con la società sul calciomercato. Un copione che qualche anno dopo si sarebbe ripetuto alla Juventus. Quel Bari, che Ventura ereditò da Conte, avrebbe comunque saputo piazzarsi al 10° posto in Serie A nella stagione seguente.
Dopo circa tre mesi dalla separazione con i Galletti, il 21 settembre 2009Conte è ingaggiato dall'Atalanta come sostituto dell'esonerato Angelo Gregucci. L'ex centrocampista rivela i motivi che lo inducono a dire sì ai bergamaschi.
"L'Atalanta è una società seria. Ha un grande settore giovanile, un centro sportivo ben attrezzato. Posso gestire le cose nel migliore dei modi senza intoppi".
Invece la sua permanenza alla guida della Dea sarà ricordata come l'unico grande flop della carriera di Antonio Conte: 108 giorni, dal 21 settembre 2009 al 7 gennaio 2010, caratterizzati da risultati deludenti e un clima di grande tensione con i tifosi e lo spogliatoio.
Eppure l'inizio è incoraggiante: nonostante l'espulsione nella partita d'esordio in campionato in casa col Catania, match terminato 0-0, l'Atalanta ottiene 3 pareggi e 2 vittorie nelle prime 5 gare. La prima vittoria la ottiene il 18 ottobre 2009, un 1-3 esterno sul campo dell'Udinese.
Poi però l'idillio si rompe: nelle successive 9 sfide arrivano 7 sconfitte, un pareggio e una vittoria, risultati che fanno precipitare la squadra nelle posizioni in fondo alla classifica.
Getty ImagesAl termine della gara persa con il Livorno, il 28 ottobre, Conte è protagonista di un pesante litigio con un suo giocatore, Cristiano Doni, idolo della Curva bergamasca. Dopo l'1-0 dei toscani con Miglionico, il tecnico salentino decide infatti di sostituire Doni al 71' e di mandare in campo Ceravolo. La mossa scatena l'ira del calciatore, che mentre esce dal terreno di gioco applaude ironicamente.
"Complimenti per la sostituzione", gli dice beffardo.
Non contento, negli spogliatoi, a partita conclusa, Doni dà un forte pugno alla porta. Conte non ci pensa un secondo.
"Mi giro e do un pugno alla porta come lui - rivela l'allenatore leccese nella sua autobiografia -. 'Guarda che i cazzotti li sappiamo dare tutti', gli urlo".
Ne nasce un furioso battibecco.
"Credi di farmi paura?", dice Doni in segno di sfida.
"E tu credi di intimorirmi con questi gesti?", replica Conte.
Solo l'intervento degli altri giocatori evita che lo scontro sfoci in rissa fisica fra i due protagonisti. Ma il rapporto teso fra i due condizionerà in negativo il lavoro di Conte da quel momento in avanti.
"Doni non possiamo cederlo - mi raccomandò Ruggeri - altrimenti ci mettiamo contro l'intera piazza".
Gli ultras si schierano contro il tecnico ed è di fatto la fine della sua avventura a Bergamo. Il 6 gennaio 2010 l'Atalanta perde in casa 2-0 con il Napoli ed è penultima in classifica. Durante tutta la partita il pubblico della Tribuna se la prende con l'allenatore, che spazientito ha un gesto di reazione: porta l'indice davanti al naso e alla bocca e prova a zittire quei tifosi che ce l'hanno con lui.
A fine partita la situazione, già caldissima, degenera.
"Tornatene a Torino - gli urlano i tifosi -. Qui non siamo alla Juventus".
La replica, segnata dall'amarezza e dalla profonda delusione, è ancora una volta d'istinto.
"Se non vi vado bene me ne vado… me ne vado!", esclama Conte.
Gli ultras della Curva bergamasca addirittura lo aspettano, lui per nulla intimidito, li affronta a muso duro. Si sfiora la colluttazione, evitata dal pronto intervento della polizia e della dirigenza, che trascina via l'allenatore dallo Stadio. Il giorno seguente, il 7 gennaio, rassegna le sue irrevocabili dimissioni.
Mentre l'Atalanta colerà a picco e anche con Bortolo Mutti alla guida alla fine retrocederà in Serie B, piazzandosi 18ª, Conte riceverà il 1° febbraio il premio della Panchina d'argento per la cavalcata in Serie B col Bari nel 2008/09.
Getty ImagesLA SECONDA PROMOZIONE CON IL SIENA
Smaltita la profonda delusione per quanto accaduto con l'Atalanta, Antonio Conte riparte nel 2010/11 dalla panchina del Siena, intanto retrocesso in Serie B. Il tecnico torna con la sua famiglia nella piazza che aveva segnato i suoi esordi nel ruolo di allenatore come vide di Gigi De Canio e ancora una volta compie l'impresa.
I toscani, che hanno una rosa importante, in cui spiccano Vergassola, Troianiello, Carobbio, Larrondo ed Emanuele Calaiò, e che a gennaio prenderanno in prestito dalla Juventus anche Ciro Immobile, chiudono al 2° posto il campionato, a 2 lunghezze dall'Atalanta, e conquistano la promozione con tre giornate d'anticipo grazie al 2-2 contro il Torino.
"È inevitabile che sia emozionato, dopo un'annata così intensa che mi rimarrà impressa nella testa e nel cuore - dirà prima dell'ultimo impegno della stagione -. Nell'ultima partita al Franchi mi sono commosso nel salutare tutti, insieme a mia figlia che si diverte sempre quando la porto in campo. Era con me anche per la festa post-promozione, insieme a due miei nipotini. Sa anche l'inno del Siena a memoria... Lei ed Elisabetta, la mia compagna, si sono trovate molto bene qua. Commozione, comunque, l'ho sentita anche da parte dei giocatori, che hanno sempre giocato con il cuore per onorare la maglia e da parte di tutto l'ambiente".
La seconda promozione ottenuta col Siena è il trampolino di lancio verso il successo: il 31 maggio Antonio Conte approda alla Juventus, dove inaugurerà una stagione di grandi successi.