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Finali perse e secondi posti: Hector Cuper, l'hombre vertical con la fama di eterno sconfitto

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Il concetto di vittoria ha conosciuto differenti interpretazioni nel corso della storia dello sport: se per de Coubertin - fautore dei Giochi Olimpici moderni - "l'importante non è vincere, ma partecipare", per lo storico e compianto presidente juventino Giampiero Boniperti "vincere non è importante, è l'unica cosa che conta". Visioni diverse che da sempre si scontrano all'interno della disputa tra 'giochisti' e 'risultatisti', tornata in auge recentemente e sorta molti anni fa per merito di due sacre penne del giornalismo italiano, quelle di Gianni Brera e Gino Palumbo: possiamo sicuramente sostenere che Hector Raul Cuper faccia parte della schiera dei primi, anche se meri dettagli gli hanno spesso impedito di coniugare il bel gioco alle vittorie, ossia il massimo per un allenatore.

Il soprannome di 'Hombre vertical' è azzeccato per la figura dell'argentino, uomo tutto d'un pezzo e dalla schiena drittissima, nonostante le innumerevoli delusioni che avrebbero potuto spezzarlo irrimediabilmente: Cuper, però, come un giunco resistente si è al massimo piegato, continuando a predicare il suo credo a dispetto delle mancate vittorie, che nel calcio hanno un 'discreto' valore come ben sappiamo.

Ad accompagnarlo, fin dagli albori della carriera da allenatore, vi è dunque la triste fama di 'eterno secondo', una condizione non riassumibile semplicemente con la definizione di 'sfortuna': nel caso di Cuper sembra esserci molto di più, una 'patologia' dal carattere cronico che affonda le proprie radici nei tempi dell'Huracan, club che nel 1992 gli affida la panchina subito dopo la decisione di mettere fine ad un'onorabile carriera da difensore che lo ha visto indossare la maglia della nazionale argentina in otto occasioni durante la gestione di Cesar Menotti.

I primi 'sentori' si hanno nel 1994, quando guida la società di Buenos Aires al secondo posto nel campionato di Clausura: un risultato ottimo, se non fosse per la beffa finale della sconfitta all'ultimo turno per mano dell'Independiente, contro cui sarebbe bastato anche solo un pareggio per festeggiare il titolo. Primo boccone amaro ingoiato, seguito da un inatteso dolcetto: due anni più tardi Cuper è l'allenatore del Lanus che porta a casa la vecchia Coppa CONMEBOL, l'equivalente sudamericano della Coppa UEFA soppiantata definitivamente dalla Copa Sudamericana nel 2002.

Questo trionfo gli consente di sdoganare il suo curriculum anche al di là dell'Argentina, fino in Europa: precisamente in Spagna, dove nel 1997 è il Maiorca a puntare su di lui. È qui che la nomea di eterno sconfitto, di 'Paperino del pallone', si accentua: la squadra isolana gioca bene e si rivela una delle realtà più belle della Liga (con il terzo posto della stagione 1998/1999 ad attestarlo), ma i ko nelle finali di Coppa del Re 1997/1998 e Coppa delle Coppe 1998/1999 (contro la Lazio di Vieri ed Eriksson) abissano la gioia per il successo nella Supercoppa spagnola ai danni del Barcellona.

Cuper ValenciaGetty

Nonostante le delusioni, il miracolo maiorchino resta un dato di fatto che non può essere intaccato, il perfetto trampolino di lancio per l'approdo ad una delle big di Spagna: Cuper si accasa al Valencia nell'estate 1999 e qui replicherà il precedente cammino, in un biennio che avrebbe potuto rappresentare la svolta e che invece ha definitivamente indirizzato la sua carriera verso il vicolo caro a chi è abituato a guardare gli altri vincere, sempre a pochi passi dalla gloria.

Portata a casa un'altra Supercoppa al primo colpo (battuto nuovamente il Barcellona), Cuper riesce a conferire una dimensione internazionale al Valencia che lotta ad armi pari con le avversarie più quotate, spesso sovvertendo i pronostici: in questi anni i Blanquinegres raggiungono per due volte la finale di Champions League, massimo risultato nella competizione per il club che da allora in poi si è progressivamente allontanato dai vertici europei. Se la prima finale contro il Real Madrid è senza storia (3-0 in favore dei 'Blancos'), la seconda col Bayern Monaco in quel di San Siro è al cardiopalma.

Eppure le cose sembrano mettersi bene per Cuper e il Valencia dopo tre minuti di gioco, quanto basta a Gaizka Mendieta per sbloccare l'incontro dagli undici metri, una costante della sfida: a inizio ripresa il penalty è in favore dei bavaresi che trovano l'1-1 con l'ex Fiorentina Effenberg. Il risultato non cambia fino al 90' e nemmeno ai tempi supplementari, così per decretare il vincitore serve la lotteria (tanto per cambiare) dei calci di rigore: Paulo Sergio calcia il suo alle stelle, ma l'errore di Zahovic ristabilisce la parità. Sbagliano anche Andersson e l'italiano Carboni, si va ad oltranza: la serie decisiva è la settima, con la trasformazione di Linke seguita dalla parata di Kahn sul tentativo di Mauricio Pellegrino, connazionale di Cuper noto anche per il ruolo di vice di Rafa Benitez al Liverpool e all'Inter.

Una mazzata incredibile, l'ennesima, che però non preclude a Cuper un'altra chance irripetibile per riscrivere la sua storia dal lato giusto: San Siro è il luogo del 'delitto' europeo ma anche la casa dell'Inter di Massimo Moratti, un altro romantico del pallone in credito con la fortuna e alla ricerca di uno Scudetto che da quelle parti non si vede addirittura dal lontano 1989. Per il presidente nerazzurro l'argentino è la prima e unica scelta, così il 4 giugno 2001 arriva la firma su un biennale da quasi 8 miliardi di lire, con la certezza che l'hombre vertical sia l'uomo giusto per invertire la rotta del club, peraltro identica a quella del tecnico che può contare su una squadra piena zeppa di campioni.

Cuper InterGetty

Che l'Inter sia una corazzata lo si intuisce fin dalle amichevoli estive (il successo al 'Bernabeu' con ruggito finale di Adriano ne è l'emblema) e stavolta, a differenza degli anni passati, sembra proprio essere quella buona: gli ottimi propositi vengono confermati anche in campionato, dove i meneghini prendono il volo in vetta alla classifica. Cuper è già un idolo tra i tifosi, caricati a pallettoni quando lo vedono battere con una mano i petti dei suoi giocatori prima di ogni partita, un rito a lui molto caro e trasportato anche in Italia: l'Inter gioca con un solido 4-4-2 e, oltre a vincere, diverte pure, scomodando paragoni importanti con altre grandi squadre del passato.

Per potersi sedere al loro stesso tavolo, serve però che l'Inter sublimi il bel gioco con la conquista di qualche trofeo: missione fallita in Coppa Italia e soprattutto in Coppa UEFA, dove arriva l'eliminazione in semifinale per mano dei futuri campioni del Feyenoord. A Zanetti e compagni resta così soltanto il campionato, in un primo momento 'ipotecato' sfruttando qualche passo di troppo di Juventus e Roma: le ultime giornate si riveleranno però nefaste per le speranze interiste, completamente affossate quel famoso 5 maggio 2002 che consegna il titolo ai rivali bianconeri e condanna gli uomini di Cuper addirittura al terzo posto, alle spalle anche della Roma.

Il match disputato all'Olimpico contro la Lazio è l'ultimo di Ronaldo 'Il Fenomeno' in nerazzurro: il brasiliano viene sostituito nella ripresa e, una volta accomodatosi in panchina, scoppia in un pianto a dirotto che fa il giro del mondo. Il preludio ad un addio accelerato dal rapporto teso con lo stesso Cuper: Moratti alla fine sarà costretto a scegliere tra i due, preferendo la continuità tecnica alla storia d'amore col brasiliano, ceduto al Real Madrid. In un intervento fatto in occasione del Festival dello Sport di Trento nel 2019, Ronaldo ha confermato i dissidi con l'allenatore, dicendosi rammaricato per come si è evoluta la vicenda.

"L'Inter non avrei mai voluto lasciarla, mi sentivo a casa mia. Non avevo mai chiesto l'esonero di un allenatore al presidente, non rispecchia quelli che sono i miei valori. Purtroppo ero arrivato ad un punto di non ritorno, il comportamento di Cuper non mi piaceva. Non so se avrei cambiato idea con lo Scudetto, però credevo che Moratti lo avrebbe allontanato. Il mio orgoglio mi fece andare via da Milano, che iniziò ad odiarmi dopo tanto amore".

Cuper si ritrova così a guidare un'Inter orfana del fuoriclasse verdeoro, ma non meno competitiva: paradossalmente, i risultati ottenuti nella stagione 2002/2003 saranno anche migliori della precedente, con il secondo posto in campionato e l'amara eliminazione al penultimo atto della Champions League, con i cugini del Milan a prevalere ma soltanto grazie alla regola dei goal realizzati 'fuori casa' dopo i due pareggi (0-0 e 1-1) andati in scena a San Siro nel giro di una settimana. Ormai per Cuper non si può più parlare di delusione, tale è l'incredibile serie di batoste che, purtroppo, per lui sono da ascrivere alla definizione di normalità: di lui si parla anche con toni ironici grazie al programma Mediaset 'Guida al campionato', che trasmette a più riprese lo stracio di una conferenza stampa in cui l'argomento è la posizione in campo di Recoba.

"Recoba è un centrocampista? No, io credo di no. Recoba è un'ala? ... Recoba è un attaccante che gioca libero per tutto il fronte d'attacco? Sì".

E' ormai lampante come l'avventura milanese di Cuper sia agli sgoccioli, avviata alla naturale conclusione nonostante uno storico successo ad 'Highbury' (0-3) contro l'Arsenal degli invincibili di Henry e Wenger: dopo un avvio balbettante in Serie A, caratterizzato anche dal ko (1-3) nel derby, a ottobre 2003 l'argentino viene ufficialmente esonerato e sostituito con Alberto Zaccheroni. Cuper lascia però in eredità una squadra tornata consapevole della sua enorme forza, concetto esternato nell'intervista concessa a 'La Gazzetta dello Sport' nell'aprile 2018.

"Il miglior risultato ottenuto a Milano? Aver ridato fiducia dopo tanti anni complicati. La gente tornò di nuovo a crederci: 'Possiamo vincere ancora'. Con noi è iniziato un certo tipo di crescita".

La parentesi interista può essere considerata l'ultima ad altissimi livelli di Cuper, che nel 2004 prova a rilanciarsi, senza successo, al Maiorca prima e al Betis poi. L'Italia torna ad essere il suo presente l'11 marzo 2008, quando è nominato allenatore del Parma al posto di Mimmo Di Carlo: il bottino emiliano è però poverissimo e con lui in panchina i ducali si trovano a lottare per non retrocedere, impresa non riuscita il 18 maggio con il ko interno proprio contro l'Inter, scontro a cui però Cuper non prende parte essendo stato esonerato appena sei giorni prima.

Non va meglio alla guida della Georgia, mentre in Grecia conduce l'Aris fino alla finale di coppa persa (ebbene sì) al cospetto del più quotato Panathinaikos. Per Cuper è l'inizio di una storia da giramondo della panchina: dopo aver lavorato al Racing Santander in Spagna si sposta in Turchia (Orduspor) e negli Emirati Arabi Uniti (Al-Wasl), fino all'incarico che lo vede diventare il nuovo commissario tecnico dell'Egitto nel 2015.

Cuper EgyptGetty

Con i 'Faraoni' Cuper non fa altro che alimentare la fama di eterno sconfitto aggiungendo un altro tassello alla 'collezione' con il ko in finale di Coppa d'Africa nel 2017, un 2-1 subìto in rimonta dal Camerun. In compenso riesce a riportare la selezione africana ai Mondiali russi, 28 anni dopo l'ultima partecipazione: saranno però zero i punti totalizzati in un girone comprendente anche l'Uruguay, i padroni di casa della Russia e l'Arabia Saudita, rendimento deludente che lo porterà ad annunciare le proprie dimissioni.

Il periodo da disoccupato dura poche settimane: nell'agosto 2018 è la volta della nazionale uzbeka, condotta fino agli ottavi di finale della Coppa d'Asia 2019 prima di essere esonerato a settembre di quell'anno.

Da maggio 2021 ad agosto 2022 è stato il selezionatore della Repubblica Democratica del Congo - anche qui, non senza turbolenze, come i 4 cambi in 4 slot che possono pregiudicare il Mondiale - l'ennesima sfida esotica di un 66enne che non si è mai arreso dinnanzi agli innumerevoli ostacoli che la vita professionale gli ha posto davanti, come dimostra l'attuale incarico da ct della Siria: sempre all'inseguimento di un sogno chiamato vittoria, troppo spesso sfiorato e mai veramente celebrato come si deve.

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