Ferenc Puskas, il 'Colonnello' che rese grandi Honved, Ungheria e Real Madrid

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Il suo leggendario sinistro era una via di mezzo fra quelli di Diego Armando Maradona e Gigi Riva. Simile per esplosività a quello di Rombo di Tuono, ma anche raffinato e preciso come quello del Pibe de Oro, con cui l'accostamento regge anche sul piano fisico.

A dispetto di un corpo tozzo (un metro e 69 centimetri per 72 chilogrammi di peso forma, ma quando lo ingaggiò il Real Madrid sforava i 90) Ferenc Puskas si muoveva per il campo con grande agilità, anche grazie ad una classe sopraffina e a un bagaglio tecnico di assoluto livello e poteva giocare da mezzala sinistra o attaccante puro.

Esploso nella Honved di Budapest, che conduce alla ribalta internazionale, è il 10 della Grande Ungheria capace di vincere un'Olimpiade calcistica nel 1952, la Coppa Internazionale nel 1953 e di arrivare 2ª ai Mondiali in Svizzera del 1954, dove subisce in finale l'incredibile rimonta della Germania Ovest.

Poi la Storia, quella con la 'S' maiuscola,  stravolge il suo Paese natale, l'Ungheria, e rischia di far calare anticipatamente il sipario sulla carriera del 'Colonnello'. I carri armati sovietici invadono il Paese nel 1956, dopo lo scoppio della rivoluzione, mentre Puskas e compagni sono all'estero per giocare in Coppa dei Campioni. Molti dei giocatori non fanno rientro in patria e sono accusati di 'tradimento'.

Fra loro anche Puskas, per il quale il regime comunista chiede e ottiene dalla FIFA una squalifica, che sarà di 2 lunghi anni. Depresso e ingrassato, il campione si mantiene in Italia grazie all'aiuto di alcuni amici, e riesce a far approdare nella penisola anche la sua famiglia. Angelo Moratti si accorda per portarlo all'Inter, confidando in una riduzione della sanzione, che tuttavia non arriva.

L'ungherese si accorda così con il Real Madrid, dove, tornato in forma fisica, formerà con Alfredo Di Stefano una straordinaria coppia d'attacco, vincendo praticamente tutto quello che c'era da vincere. Fra gare ufficiali e non ufficiali, nella sua carriera ha realizzato 1156 goal. Da allenatore, ha portato in finale di Coppa dei Campioni i greci del Panathinaikos. Colpito dall'Alzhaimer, muore il 17 novembre 2006 all'età di 79 anni dopo aver scritto la storia del calcio.

DALLE PARTITELLE IN STRADA CON KUBALA ALLA HONVED

Ferenc Purczeld nasce a Kispest, ai tempi sobborgo di Budapest, oggi quartiere della città, il 2 aprile 1927. Suo padre, Franz Senior, è uno svevo di etnia tedesca e nel 1937 decide di 'magiarizzare' il cognome di famiglia in Puskas.

Fin da bambino Ferenc gioca infinite partite a pallone in strada con gli amici. Non sono però quelli che si possono definire dei compagni di gioco qualunque: fra loro ci sono infatti Laszlo Kubala e i fratelli Boszik, dei quali József è il più talentuoso, ovvero 2 dei primi 100 giocatori più forti del XX secolo. 

All'età di 10 anni entra nelle Giovanili del Kispest, dove suo padre, che era stato un discreto giocatore del club, faceva l'allenatore. Per i primi due anni usa lo pseudonimo di Miklós Kovács, prima di poter essere ufficialmente tesserato con il nome reale.

Da lì in avanti sarà un continuo bruciare le tappe. Franz passa ad allenare la Prima squadra e a 16 anni c'è il debutto in campionato di suo figlio Ferenc. Si gioca in trasferta contro il Nagyváradi, in Transilvania, oggi in Romania, non distante dal castello di Dracula. 

Il Kispest perde per 3-0 ma il debutto del giovane talento è 'festeggiato' dai compagni con un rito di iniziazione che prevede botte sul sedere e fargli ingurgitare una miscela di vino di bassa qualità, aceto e zucchero, dall'alto effetto stordente, mentre due compagni lo immobilizzano tenendolo fermo.

Öcsi, 'Il Fratellino', come lo ribattezzano i compagni, il ragazzino che quel giorno a Nagyváradi il custode dello stadio locale non voleva far entrare, chiedendogli di pagare il biglietto, in breve tempo diventa la stella assoluta di quella squadra. Dopo la Seconda guerra Mondiale, Ferenc si afferma come grande bomber, segnando caterve di reti.

Nel 1947/48 si aggiudica il primo titolo di capocannoniere in patria realizzando addirittura 50 goal. L'anno seguente sono 46, ma la svolta per Puskas e compagni arriva nel 1949. Il Kispest diventa infatti la squadra dell'esercito e cambia nome, trasformandosi in Honved.

La classe di Puskas, che eccelle nel tiro, nel palleggio, nel controllo di palla e nel dribbling, fanno fare alla Honved incetta di titoli in patria: con i rossoneri di Ungheria vince ben 5 Scudetti ungheresi fra il 1950 e il 1955 e a livello individuale altri tre titoli di capocannoniere del torneo.

Puskas scala i gradi anche a livello militare: prima Maresciallo, diventa Colonnello dell'esercito, e 'Il Colonnello' sarà anche il soprannome con cui verrà più spesso ricordato. Nel 1955 la Honved, in qualità di campione d'Ungheria, partecipa alla prima edizione della Coppa dei Campioni. I rossoneri ci ritornano anche nel 1956, ma prima della sfida contro l'Athletic Bilbao, a Budapest scoppia la rivoluzione. I carri armati sovietici invadono l'Ungheria e la reprimono nel sangue. Mosca instaura un regime comunista e cambia la storia del Paese e del grande attaccante.

Ferenc Puskas HungaryGetty Images

IL MITO DELLA 'SQUADRA D'ORO'

In virtù del suo grande talento, Puskas debutta giovanissimo (con goal) anche in Nazionale: accade il 20 agosto 1945, quando Öcsi ha soltanto 18 anni e i magiari superato 5-2 l'Austria. Anche nell'Ungheria l'attaccante del Kispest indossa la maglia numero 10 e diventa il leader della squadra. Nel 1947 affronta a Torino per la prima volta l'Italia. 

Gli Azzurri, guidati da Vittorio Pozzo, schierano 10 giocatori del Grande Torino più il portiere della Juventus, Sentimenti IV. Puskas va a segno su rigore, ma non basta: vince 3-2 l'Italia e a fine partita il campione ungherese abbraccia Valentino Mazzola. La sua prestazione non è passata inosservata. Alcuni emissari degli Agnelli lo contattano e gli offrono di trasferirsi alla Juventus, con un ruolo da allenatore in seconda pronto anche per papà Franz. 

Decisivo per il no è però Erzsébet, giocatrice di pallamano della polisportiva della Honved con cui il giovane Ferenc si è fidanzato. Si conoscono quando lei chiede ai giocatori della squadra di calcio maschile se le possono prestare un pettine, e fra i due nasce una grande storia d'amore che culmina nel matrimonio del 1950. La coppia ha anche una figlia, Anikó. Quando Puskas le dice che potrebbe andare a giocare in Italia lei scoppia in lacrime e non se ne farà nulla.

Nel 1952 la squadra di Gusztav Sebes trionfa alle Olimpiadi di Helsinki battendo in finale 2-0 la Jugoslavia. Puskas sbaglia un rigore contro Beara, fatto più unico che raro per l'attaccante, ma nella ripresa sblocca la partita, prima che Czibor chiuda i giochi. L'Ungheria è medaglia d'oro nel calcio e al ritorno in patria 400 mila tifosi si riversano sulle strade di Budapest per rendere il loro tributo ai calciatori che avevano fatto l'impresa.

Nasce il mito della 'Squadra d'Oro', come è ribattezzata quell'Ungheria dal più grande cronista ungherese dell'epoca, 'Aranycsapat' in lingua magiara. La squadra da metà campo in su è una macchina da goal: da destra a sinistra giocano Budai, Kocsis, Hidegkuti, il primo centravanti di manovra della storia, Puskas e Czybor. Nel 1953 la Grande Ungheria trionfa anche nella Coppa Internazionale, precedendo in classifica la Cecoslovacchia e l'Austria, dopo aver rifilato anche all'Italia un sonoro 3-0 a Roma (doppietta di Puskas). Proprio 'Il Colonnello' è il capocannoniere della manifestazione con 10 goal.

La consacrazione arriva però con due amichevoli giocate nel giro di pochi mesi, sempre nel magico 1953, contro l'Inghilterra. Il 25 novembre 1953 i magiari sono la prima Nazionale del continente europeo a battere a Wembley i Tre Leoni. Più che una vittoria, il 6-3 in favore della 'Squadra d'Oro' somiglia tanto ad una lezione data ai maestri del calcio. Puskas non può non metterci la firma personale con una doppietta. Spettacolare soprattutto il primo goal, nel quale mette a sedere il capitano avversario Wright con una finta, in un fazzoletto di campo, e libera il suo proverbiale sinistro insaccando all'incrocio. 

Al ritorno in patria è un nuovo bagno di folla, con 400 mila tifosi che si riversano un'altra volta nelle strade della capitale. Logico che ai Mondiali del 1954, in Svizzera, i magiari siano i grandi favoriti per la vittoria finale. I risultati del Gruppo 2 confermano le aspettative: 9-0 alla Corea del Sud (doppietta per Puskas) e 8-3 alla Germania Ovest il 17 giugno, ma in questa gara succede qualcosa che condizionerà poi tutto il torneo. 

Puskas irride per tutta la gara il suo marcatore, il tedesco Werner Liebrich, finché quest'ultimo a un certo punto con un'entrata killer a metà campo gli frattura la caviglia. Mani nei capelli per il Colonnello, per Sebes e per tutti i tifosi ungheresi. Il campione, il grande numero 10, ha pagato caro un eccesso di arroganza e ora deve fermarsi.

Hungary 1954 World CupGetty Images

Salta il quarto di finale con il Brasile (4-2 per l'Ungheria) e la semifinale contro l'Uruguay di Schiaffino, campione del Mondo in carica, vinta dai magiari 4-2 soltanto ai tempi supplementari. La Squadra d'Oro va in finale anche senza il capitano e giocatore più rappresentativo, ma Puskas non vuole perdersi per niente al Mondo l'appuntamento di Berna. È palesemente ancora al 40%, la caviglia gli fa ancora male e le ore della vigilia somigliano tanto a quelle vissute da Ronaldo 'Il Fenomeno' a Parigi nel 1998.

Il capitano ungherese alla fine convince Sebes: è regolarmente titolare il 4 luglio, appena 17 giorni dopo l'infortunio. Eppure sblocca il risultato al 6', prima che Czibor raddoppi due minuti dopo. I giochi sembrano già chiusi, ma non sarà così. Al 10' infatti gli ungheresi pagano a caro prezzo una distrazione difensiva con il goal di Morlock che riapre i giochi. La Germania Ovest, con i titolari in campo (nel girone avevano giocato le riserve) si rivela avversario ben più ostico di quanto i magiari pensassero.

Rahn trova il 2-1 per i tedeschi al 18'. A complicare le cose all'Ungheria ci si mette anche il meteo, con un temporale che si abbatte su Berna e rende pesantissimo il terreno di gioco. Puskas zoppica palesemente e sbaglia due facili palle-goal. La Germania Ovest è invece straripante fisicamente e Rahn, all'84', trova la doppietta che porta il punteggio sul 3-2. Con 'Il Colonnello' in campo però non è mai finita.

E infatti Puskas con una zampata da attaccante puro in scivolata trova il 3-3. Ma l'urlo di gioia del numero 10 e dei suoi compagni resta strozzato in gola. Mentre l'attaccante riporta la palla a metà campo, infatti, l'arbitro inglese Ling annulla per un fuorigioco inesistente su segnalazione del collaboratore gallese. L'imbattibilità della Squadra d'Oro si era fermata sul più bello a 31 gare consecutive senza sconfitte.

Tornato in albergo, Puskas riflette sulla sconfitta più amara della sua carriera da calciatore e si interroga sulle cause. Poi nota in camera un quadro: chiede in albergo e ha la conferma. È di Napoleone Bonaparte. L'imperatore francese che aveva soggiornato lì nel 1799, e che, come lui a Berna, dopo una serie di vittorie che sembrava interminabile, sarebbe caduto a Waterloo.

"Quella partita contro la Germania mi fa ancora male. - dichiara l'ungherese nel 1990 - Abbiamo dominato la scena mondiale fra il 1950 e il 1955 e abbiamo mancato l'appuntamento più importante. Credo che in quella partita sia stato io a mancare. I tedeschi mi azzopparono nelle eliminatorie facendo giocare le riserve, e ritrovarono menomato in finale. La mattina della finale mi svegliai alle 4. Fu una nottataccia. Avevo una caviglia che sembrava un pallone. Ricordo che Sebes non voleva farmi giocare, ma io insistetti e alla fine la spuntai e indossai la maglia numero 10 anche quel giorno".

"Se fossi stato bene credo che avremmo vinto noi alla grande. - afferma - Nel corso della partita la caviglia mi lanciava tremendi segnali ai centri nervosi. Il male continuava a crescere. Mi capitarono due palle-goal che altre occasioni non avrei sicuramente fallito. Invece riuscii a far fare bella figura a Turek. L'Ungheria disponeva di un formidabile pacchetto offensivo, che per anni è riuscito a mascherare una difesa che di talenti veri in definitiva ne aveva solo uno: il portiere Grosics. I nostri limiti difensivi emersero drammaticamente in quella finale, quando il calcio atletico della Germania ci costrinse anche a difenderci".

I tifosi sono delusi e amareggiati, chiedono e ottengono la testa del Ct. Sebes, che viene rimosso dall'incarico. Non di Puskas, che continua a giocare in Nazionale fino all'ottobre del 1956, quando la rivoluzione prima e la sanguinosa repressione poi porteranno alla fine della mitica 'Squadra d'Oro' dell'Ungheria. L'ultima grande partita la giocano a Mosca, il 23 settembre 1956, vincendo 1-0 con l'Unione Sovietica. L'ultima partita in assoluto è invece datata 14 ottobre, con un successo esterno per 2-0 in casa dell'Austria.

Puskas chiude con 84 goal in 85 presenze, primato mondiale di reti con una Nazionale fino al 28 novembre 2003, quando è superato dall'iraniano Ali Daei, e primato europeo fino al 20 giugno 2018, quando è superato da Cristiano Ronaldo.

Ferenc PuskasGetty Images

L'INVASIONE SOVIETICA E LA LUNGA SQUALIFICA

A fine ottobre del 1956 la Honved è attesa per giocare in Coppa dei Campioni a Bilbao. Ma contemporaneamente al Politecnico di Budapest nasce la rivolta contro il regime socialista e arrivano i carri armati sovietici. La squadra, non si sa esattamente come, riesce a raggiungere il confine. Va avanti Puskas, come apripista perché universalmente conosciuto.

Ma giunto al confine i doganieri non credono che sia lui: ovunque, infatti, è stata diffusa la falsa notizia che 'Il Colonnello' sia morto nella rivolta assieme ai rivoltosi. Alla fine l'attaccante, forse con qualche palleggio, riesce a convincerli e la Honved va a Bilbao. Perde 3-2 e gioca la gara di ritorno a Bruxelles (3-3) venendo eliminata dai baschi. In Ungheria intanto l'Unione Sovietica ha soffocato la rivolta nel sangue e instaurato il regime comunista filo-sovietico di Kadar.

La maggior parte dei giocatori scelgono di non far ritorno in patria nonostante l'ordine perentorio arrivato da Budapest. Fra questi c'è anche Puskas. La Honved, che sciolta dal nuovo governo ungherese non può giocare in Europa, va in tournée per il Mondo e gioca anche in Brasile, con Puskas che realizza anche 2 goal al Maracaña di Rio contro il Flamengo.

Per 'Il Colonnello', accusato anche di diserzione, e i suoi compagni, arriva presto però la stangata della FIFA: su richiesta del regime comunista, tutti i giocatori della squadra che non hanno fatto rientro in patria sono squalificati per 2 anni. Molti provano a far superare il confine ungherese anche alle loro famiglie: fra questi anche Puskas, che grazie ad alcuni contrabbandieri riesce a far giungere moglie e figlia al sicuro a Vienna. Poi nel dicembre del 1956, a Milano, si ricongiunge con la sua famiglia. In quell'anno è candidato per la prima volta al Pallone d'Oro, e si piazza al 6° posto finale.

Dopo aver vissuto un periodo fra Italia e Austria, si stabilisce a Bordighera, in provincia di Imperia. Gioca diverse amichevoli, sperando in un condono da parte della FIFA, fra cui alcune con la maglia dell'Espanyol e una a Signa, il 23 gennaio 1958, contro l'Empoli, vinta 3-0 dai padroni di casa. Nonostante questo, cade in depressione e prende una ventina di chili di peso.

Lo avvicina Angelo Moratti, presidente dell'Inter, con cui raggiunge un accordo di massima in vista della scadenza della squalifica: un quadriennale, come riporta 'Il Guerin Sportivo', a 12 milioni di lire di ingaggio una tantum e 375 mila lire al mese di stipendio. Ma non se ne farà nulla. Vano anche l'interesse del Manchester United, che non può tesserarlo per le regolee ferree della Football Association in materia di stranieri.

"Non ottenni mai il nulla osta per giocare in Italia. - dirà Puskas nel 1990 - Questo è un altro dei miei rammarichi".

Fra coloro che lo aiutano economicamente c'è anche quel Kubala che aveva trovato casa in Spagna, al Barcellona, e con cui giocava in strada da ragazzino. Ma non può né giocare partite ufficiali, né allenarsi. Un giorno però squilla il telefono di casa Puskas: è un ex dirigente della Honved che aveva convinto niente meno che Santiago Bernabeu a puntare su di lui per costruire il Grande Real Madrid.

Alfredo Di Stefano Paco Gento Ferenc Puskas Real MadridN/A

GLI ANNI D'ORO DEL GRANDE REAL

Puskas ha 31 anni quando, ridotta finalmente di 5 mesi la squalifica della FIFA, arriva in Spagna. Anche Bernabeu lo trova fortemente ingrassato e depresso. I dubbi e lo scetticismo generale nei suoi confronti sono tanti. Lo stesso Di Stefano inizialmente storce il naso. Il provino però va bene e Ferenc si sottopone a duri allenamenti per ritrovare il peso forma. 

Ribattezzato 'Pancho', inizia a giocare e con Di Stefano sono subito faville: formeranno la più grande coppia d'attacco di club della storia del calcio. Tutti, nella Spagna franchista, si accorgono che l'ungherese al pallone dà ancora del tu e con il suo sinistro gli fa fare quello che vuole. Per i Blancos arrivano trionfi in serie: 5 campionati spagnoli, una Copa del Rey (che allora si chiamava Copa del Generalisimo) 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale nel 1960.

Un palmarés da far rabbrividire chiunde. A Madrid gioca fino a 39 anni e segna 242 goal in 262 partite, vincendo, a livello personale, 3 volte il titolo di capocannoniere della Coppa dei Campioni, 4 volte il titolo di Pichichi e 4 volte la classifica marcatori della Copa del Generalisimo. Al termine del primo anno, il 1958/59, arriva all'ultima gara a pari goal con Di Stefano. Dopo aver dribblato il portiere, decide di servire l'argentino, leader della squadra, che a porta sguarnita, realizza e si laurea capocannoniere.

In Coppa dei Campioni i trionfi arrivano nel 1958/59 contro lo Stade Reims (2-0), nel 1959/60 (7-3 sull'Eintracht Francoforte) e nel 1965/66 (2-1 sul Partizan Belgrado). Nella finale del 1960 a Glasgow firma addirittura un poker in finale, stabilendo un record ancora oggi imbattuto. Nel 1962 il Real Madrid di Puskas cede invece in finale al Benfica di Eusebio, che si impone 5-3 nonostante i 3 goal dell'attaccante ungherese, mentre nel 1963/64 è la Grande Inter di Herrera a sbarrare la strada a Vienna alle merengues.

In quest'occasione scambia la maglia a fine partita con Sandro Mazzola: "Ragazzo, - gli dice - io ho giocato con tuo padre. Ti ho visto stasera, sei degno di lui".

Il successo nell'Intercontinentale arriva invece nel 1960. Dopo il pareggio nella partita di andata al Bernabeu, nel ritorno il Real dilaga per 5-0 e Puskas mette la sua solita firma con una doppietta. Doppietta che arriva puntuale anche nella finale di Copa del Generalisimo del 1962, quando l'ungherese si aggiudica l'unica Coppa di Spagna con un 2-1 sul Siviglia.

Presa la cittadinanza spagnola, rende omaggio al Paese che lo accolto indossando per 4 volte la maglia delle Furie Rosse, con cui gioca anche gli sfortunati Mondiali del 1962 in Cile. Pur non avendo mai vinto il Pallone d'Oro, è stabilmente nella top 10 e nel 1960 si piazza al 2° posto dietro Luis Suarez. La sua carriera finisce con un grande homenaje, una partita di addio al Bernabeu, per l'occasione tutto esaurito.

Un aneddoto sulla sua forza sarà raccontato da Cesare Maldini al 'Guerin Sportivo'. Nel 1966 l'Italia Under 21 si allena a Budapest sul campo delll'MTK e finita la sessione cede il posto all'Ungheria. A quel punto compare il sessantanovenne Puskas, in giacca e cravatta ed ingrassato anche rispetto ai suoi standard.

A un abbraccio caloroso con Maldini seguono battute e interviste. Poi quasi per scherzo un fotografo ungherese lo invita a simulare un tiro in porta, tanto per rendere più spettacolare il servizio. Puskas allora chiama Gabor Kiraly, ai tempi portiere dell'Under 21 magiara, e lo invita a mettersi in porta perché gli farà dieci tiri da fuori area.

Il promettente numero ungherese si piazza fra i pali e il campione si toglie il cappotto. Calcia dieci volte con il suo sinistro, da almeno venti metri di distanza: uno è intercettato da Kiraly con una parata miracolosa, nove finiscono inesorabilmente in goal. Quell'anziano signore ha già 69 anni.

Ferenc PuskasGetty Images

PUSKAS ALLENATORE GIRAMONDO

Ritiratosi dal calcio giocato a 39 anni, Puskas intraprende la carriera di allenatore, che lo porta a girare il Mondo. Allena in Spagna (Hercules, Alavés, Real Murcia), Nord America (San Francisco Gales negli USA e Vancouver Royals in Canada), Grecia (Panathinaikos e AEK Atene), Paraguay (Sol de America e Cerro Porteño), Australia (South Melbourne) e due Nazionali, l'Arabia Saudita e la sua Ungheria, con cui chiude l'avventura in panchina nel 1993 dopo la caduta del comunismo.

Pur non raggiungendo i risultati conseguiti da calciatore, riesce a togliersi le sue soddisfazioni. Con il Panathinaikos vince 2 campionati Greci e arriva in finale di Coppa dei Campioni nel 1971, venendo sconfitto dall'Ajax di Cruijff. Nel 1970 e nel 1972 è votato come miglior tecnico del campionato greco.

Nel 1986 conquista invece il campionato paraguayano con il Sol de America. Approdato in Australia per aprire una scuola calcio, riesce a vincere anche nel continente oceanico con il South Melbourne, assumendo l'incarico di allenatore sulla spinta della comunità greca che lo ama. Puskas si aggiudica una Coppa d'Australia nel 1989/90 e nel 1990/91 il campionato australiano.

In mezzo, nel 1981, il primo ritorno in Ungheria. A Budapest c'è la grande rimpatriata, al Nepstadion, organizzato da Sebes, senza Czyborg e Kocsis, che già non ci sono più. Puskas piange, commosso, per tutta la giornata. 

LA MORTE E LA MEMORIA

Dal 2000 Puskas inizia a combattere la battaglia con l'Alzheimer, la malattia che progressivamente se lo porterà via. Nel settembre del 2006 è ricoverato in terapia intensiva nell'ospedale di Budapest. In quei giorni in stanza ha un televisore sintonizzato sul canale tematico del Real Madrid, che trasmette tutte le partite epiche in cui l'ungherese è stato protagonista. Ma ormai la malattia ha preso il sopravvento, più forte di ogni avversario.

Quando Di Stefano e gli altri compagni del Grande Real vanno a fargli visita, fa piangere il compagno di tante battaglie, non riconoscendolo. La mattina del 17 novembre del 2006 il suo cuore cessa di battere per sempre all'età di 79 anni per via di una polmonite. L'Ungheria gli riserva i Funerali di Stato.

La sua bara, davanti a una folla sconfinata, è portata dal Nepstadion, già diventato 'Ferenc Puskas Stadium' dal 2002, alla Piazza degli Eroi, dove echeggiano 21 spari di commiato. Davanti all'impianto è realizzata una statua in bronzo dedicata al leggendario numero 10. Anche la nuovissima 'Puskas Arena', sorta nel 2017 al posto del Ferenc Puskas Stadium, ha mantenuto l'intitolazione al grande campione. A lui la FIFA ha intestato anche il premio per il goal più bello dell'anno.

La 'Saeta Rubia', nel suo libro 'Gracias Vieja', scriverà, ricordando il suo grande amico:

"Chi non lo ha visto giocare non sa cosa si è perso".

Il nome del campione ungherese figura nella FIFA 100 stilata nel 2004 da Pelé e fra i 10 giocatori più forti del XX secolo nella classifica della IFFHS, la Federazione internazionale di storia e statistiche del calcio. 

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