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Facundo Parra AtalantaGetty Images

Facundo Parra, l'uomo in mongolfiera volato via dopo un anno dall'Atalanta

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Stanno tutti col naso all'insù, quel giorno. L'atmosfera è intrisa di un'attesa che si può quasi toccare con mano, tanto è solida e spessa. Non che solitamente non lo sia, in realtà. A Bergamo la Festa della Dea, l'evento estivo dedicato all'Atalanta e alla presentazione della squadra, riserva sempre parecchie sorprese. Una volta è arrivato Giulio Migliaccio a bordo di un carrarmato, per dire. Le polemiche non sono mancate, ma è qualcosa di particolarmente emblematico per capire il contesto.

Quel giorno, 17 luglio 2012, tutti guardano verso l'alto. Perché a un certo punto dal cielo atterra un oggetto non proprio misterioso, ma inaspettato: una mongolfiera. A bordo ci sono due personaggi. Uno è Antonio Percassi, il presidente, e lo conoscono tutti. L'altro è un po' meno noto, ma alla sua sola vista il popolo atalantino si scatena: Facundo Parra, che all'epoca ha 27 anni e viene presentato come il grande colpo della Dea per il 2012/2013. È argentino, arriva dall'Independiente (ma il suo cartellino è del Chacarita Juniors) ed è una sorpresa: tutti sanno che la dirigenza nerazzurra ha messo le mani su di lui, ma nessuno si aspetta che la chiusura dell'affare venga annunciata così, in grande stile.

“Oggi è arrivato a Bergamo un giocatore importante per l'Atalanta – annuncia Percassi sul palco, col microfono in mano – Lo seguivamo da mesi. Grazie a Marino, che è riuscito a convincere il giocatore e il procuratore”.

Il pres lo chiama “Parrà”, con l'accento finale, ma nessuno dà troppo peso allo svarione linguistico. Sono tutti impegnati ad adorare con lo sguardo colui che, nelle premesse, dovrebbe diventare il nuovo centravanti dell'Atalanta. E poco importa che il curriculum di Facundo non sia esattamente di prim'ordine: non è più giovanissimo e fin lì ha giocato solo in patria. Col Chacarita Juniors, intanto, e non è che sia finita benissimo, se è vero che i Funebreros sono retrocessi in Segunda División. E poi con l'Independiente, e lì sì Parra ne ha parecchie da raccontare. Perché al Rojo è diventato un beniamino nel 2010, quando ha firmato una doppietta nella finale di ritorno di Copa Sudamericana contro i brasiliani del Goiás, realizzando poi uno dei rigori finali.

“Mi riguardo sempre quella partita contro il Goiás – dirà anni più tardi – Quello è stato un momento di gloria che rimarrà per sempre nel mio cuore. In quella partita abbiamo giocato come dei tifosi in campo”.

Quel che i sostenitori dell'Atalanta non conoscono, probabilmente, sono le stranezze di Parra. In quella Sudamericana ha segnato anche in semifinale alla LDU di Quito. Dopo quella rete ha alzato la camiseta dell'Independiente, mostrando a tutti quella sottostante, nera, con l'effigie di un cane e con una scritta in bianco: “Max te amo”.Max è... il suo cane, un golden retriever. Quando il quotidiano Olé, qualche giorno dopo, gli domanda se nessuno gli abbia mai dato del cane dalle tribune, lui risponde: “Del cane no, ma del burro (asino) sì”.

Sempre Olé, quando meno di due anni dopo Parra sta per prendere la via dell'Italia, confeziona un titolo geniale: “Me voy Parra Atalanta”. Una erre in più e il gioco (di parole) è fatto. La Dea ha trovato l'accordo con il Chacarita per un prestito con diritto di riscatto a due milioni e mezzo di euro. Il suo agente è Leo Rodriguez, ex calciatore atalantino, che giura: “Per la Dea è un gran colpo”. E lo stesso Parra, presentato ufficialmente un paio di giorni dopo assieme al connazionale Matheu, si mostra sicuro e per nulla titubante:

“Questa deve essere l'occasione della mia vita. Quando si è presentata, l'ho accettata al volo. A chi assomiglio? Fisicamente a Denis, ma possiamo anche giocare assieme, perché so fare anche la seconda punta”.

I primi scricchioli non si fanno attendere. Fuori dal campo, intanto. Il Fisco argentino avvia infatti un'indagine, che poi terminerà in un nulla di fatto, su presunti trasferimenti irregolari di calciatori locali, tra cui proprio quello di Parra (e Matheu) all'Atalanta. E poi in campo. Perché Parra gioca poco più di un quarto d'ora contro la Lazio, alla prima di campionato, e poi semplicemente scompare dai radar: 10 panchine di fila, dall'inizio alla fine, senza mettere mai piede su un terreno di gioco che sia uno. Desolante.

“Il vero dramma – scrive a fine ottobre la 'Gazzetta dello Sport' in un dossier sugli stranieri da poco arrivati in A – è chi ha disatteso gli estenuati rialzi nelle aste con gli amici (Pabon?) o chi è proprio scomparso dai radar. Facundo Parra, ad esempio. È arrivato a Bergamo in mongolfiera: che sia di nuovo volato via?”.
Facundo Parra Atalanta BolognaGetty Images

Non è ancora volato via, Parra. Ma, al contempo, proprio non riesce a staccarsi da terra. Quando Stefano Colantuono, l'allenatore di quell'Atalanta, finalmente gli concede una chance, Parra non è che la sfrutti nel migliore dei modi. Per nulla. L'11 novembre 2012, all'Atleti Azzurri d'Italia è di scena l'Inter. Vincono i bergamaschi per 3-2, interrompendo la striscia avversaria di 10 successi di fila tra tutte le competizioni. L'argentino piovuto in mongolfiera entra in campo a un quarto d'ora dalla fine. E in pieno recupero, nel tentativo di liberarsi di Guarin a palla lontana, gli sferra un colpo che l'arbitro Damato vede e punisce: cartellino rosso diretto.

E così, la giornata da ricordare alla fine è solo una. 28 novembre, Coppa Italia. A Bergamo arriva il Cesena e l'Atalanta si impone per 3-1. La nota dolente è il grave infortunio dello sfortunatissimo Marilungo, che durante la partita si rompe il crociato. Quella lieta, finalmente, è che Parra esiste e lotta insieme a noi. E realizza pure una doppietta, tra cui una rete di tacco, determinante per ribaltare l'iniziale vantaggio romagnolo con Tonucci.

“Una gioia grandissima – dice dopo la partita l'argentino – Ho avuto un'occasione e l'ho sfruttata al meglio. Dovevo soltanto avere pazienza. Ho avuto e sfruttato l'occasione giusta, dovevo solo avere pazienza. Il calcio italiano è complicato, molto tattico, ma è tra i migliori al mondo”.
Facundo Parra Atalanta CesenaGetty Images

Non è che un'illusione, però. Dalla domenica successiva, tutto torna alla normalità. L'Atalanta gioca, Parra no. E se scende in campo, l'argentino lo fa a singhiozzo. Una decina di minuti qui, una ventina là. Alla fine, recitano le statistiche di quella stagione, Facundo si vedrà appena tre volte da titolare, di cui un paio per tutti i 90 minuti: contro il Milan a gennaio e contro l'Udinese a maggio. Due sfide perse, per la cronaca. Senza che l'argentino riesca a lasciare il segno.

Il mancato riscatto da parte dell'Atalanta al termine della stagione, così, è pressoché inevitabile. Parra non riparte in mongolfiera, come certi “fenomeni parastatali” di quegli indimenticabili servizi di Mai dire Gol, ma riparte. Per sempre. Una delusione per la Dea, per Percassi, per i 15mila che un anno prima lo avevano accolto come il Messia. E per lui stesso.

“Sono stato bene, davvero – dirà qualche anno più tardi a 'Tuttomercatoweb' – L'Atalanta è una bellissima squadra, ho ancora tanti amici. Potevo fare di più di quello che ho fatto, ma mi aspetto di tornare in serie A. L'Italia mi è piaciuta così tanto che potrei giocare dappertutto. È un Paese simile all'Argentina, davvero molto bello. Un giorno vorrei tornare”.

Non ci riuscirà. Almeno, non da calciatore. I suoi ultimi anni di carriera sono piuttosto tribolati. Torna all'Independiente, ma la magia del 2010 è già svanita, perché nel frattempo il Rojo è incredibilmente retrocesso in Primera B per la prima volta nella propria storia. Con Parra in campo, in realtà, sarà promosso 12 mesi dopo. Però sono comunque tempi duri, specialmente fuori dal campo, se è vero che gli stipendi arrivano a singhiozzo.

“Non ho ricevuto nemmeno un quarto di quanto firmato nel mio contratto – dirà Parra nel 2019 a 'Orgullo Rojo' – Ma tutto è finito sotto silenzio, perché non ho mai chiesto nulla. Tornare dall'Italia per giocare di nuovo nell'Independiente è stata, dal punto di vista economico, la decisione peggiore che potessi prendere. Se me l'avessero detto prima, non sarei tornato. Mi sono sentito trattato come un signor nessuno, non c'è stato uno nel club che mi abbia valorizzato per averci messo la faccia in un momento così. Ma tutto ovviamente è stato dimenticato, perché siamo stati promossi”.

Nella primavera del 2020, in piena pandemia, Parra chiacchiera con l'ex compagno Hernan Fredes in uno di quei live Instagram che in quei mesi vanno tanto di moda. E il discorso cade proprio sull'annata della retrocessione.

“C'erano giocatori che fingevano di essere infortunati per non giocare – è la bomba di Fredes – Una volta il medico disse di un tal giocatore: 'Sta bene, gli ho dato il via libera per tornare ad allenarsi'. E lui: 'No, no, sento ancora dolore'. Solo dopo ti rendi conto che è gente che preferisce non metterci la faccia”.

E Parra va oltre, facendo i nomi: Victor Zapata, ad esempio. “El puto de Zapata”, come lo chiama lui. Oppure “quello che ha ipotecato le coppe del club”. Ovvero Luciano Leguizamón, con cui l'Inde aveva un ingente debito.

Dopo l'Independiente, per Parra inizia un lungo peregrinare in giro per il Sudamerica e per il mondo. Dalla Grecia, dove aveva già giocato col Larissa e dove vestirà la maglia dell'Asteras Tripolis, al Paraguay. Dal Brasile al Perú. E poi un altro po' di Argentina, soprattutto con l'All Boys. Per chi non lo sapesse: Parra è ancora in campo, col Chacarita Juniors. Ora ha compiuto 37 anni e, ormai, l'Atalanta e quel giorno in mongolfiera appartengono al cassetto della memoria. Così come l'Atalanta ha definitivamente dimenticato lui.

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