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Enzo Bearzot, la leggenda del 'Vecio': da mediano a Ct. campione del Mondo con l'Italia

"Enzo Bearzot è stato uno dei grandi italiani del Novecento, su questo non ho dubbi" - Paolo Rossi

Da calciatore poteva disimpegnarsi da mediano laterale o centromediano del Sistema, ed era uno bravo in marcatura, che restava incollato all'attaccante avversario e non gli dava tregua. Ha vestito, fra le altre, le maglie di Inter, Torino e Catania. Ma è nel ruolo di Commissario tecnico della Nazionale italiana che Enzo Bearzot, soprannominato 'Il Vecio' ('Il Vecchio') dal giornalista e scrittore Giovanni Arpino nel suo libro 'Azzurro Tenebra', è stato il protagonista di pagine indelebili del calcio italiano.

Il tecnico friulano, assieme a Vittorio Pozzo, è stato senza dubbio il Ct. che il popolo ha più amato assieme a Vittorio Pozzo. Dopo aver stupito il Mondo per il gioco espresso dalla sua Nazionale ai Mondiali del 1978 in Argentina, trasformando una squadra di calcio in un gruppo vincente e riportando al top della condizione Paolo Rossi, compirà l'impresa in Spagna, nel 1982, portando gli Azzurri sul tetto del Mondo con un gioco all'italiana concreto e letale.

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BEARZOT CALCIATORE: DALL'INTER AL TORINO

Enzo Bearzot nasce ad Aiello del Friuli, nell'ex provincia di Udine, il 26 settembre 1927. La sua famiglia è benestante, visto che il papà, Egidio, fa il direttore di banca a Cervignano.

Fin da giovane si appassiona al calcio. Il colpo di fulmine avviene nel 1938, all'età di 10 anni, quando sente le radiocronache dell'Italia di Vittorio Pozzo, che in Francia il 19 giugno si laurea campione del Mondo per la 2ª volta consecutiva, bissando il successo nella Rimet del 1934.

Fa gli studi classici dai Salesiani, e qui incontra quelli che saranno i due amori della sua vita: da un lato appunto il pallone, dall'altro la letteratura. Si innamora dei classici latini, dei poeti turchi ed in futuro diventerà un grande estimatore di Ernest Hemingway e del suo modo di scrivere asciutto eppure sincero e autentico.

Cresce come difensore, all'occorrenza si disimpegna anche da centromediano nel modulo in voga alla sua epoca, il Sistema. Dalla squadra del suo paese entra così nelle Giovanili della Pro Gorizia, e dimostra di saperci fare, approdando in Prima squadra nella stagione 1946/47, che vede la formazione friulana disputare il campionato di Serie B.

Bearzot colleziona 21 presenze e 2 goal, tuttavia la Pro Gorizia chiude al penultimo posto. Sarebbe retrocessa, ma essendo squadra della Venezia Giulia, territorio italiano occupato dagli Alleati, è ripescata nella stagione successiva. Enzo, diventato titolare, totalizza 31 gare senza reti, ma la sua squadra, che era stata riammessa per ragioni puramente politiche, si piazza 15ª in classifica, stavolta retrocede in Serie C in vista del girone unico anche per il torneo cadetto.

Il giovane difensore è tuttavia in rampa di lancio e nel 1948, notato dall'Inter, approda a Milano, sponda nerazzurra. Qui, poco dopo essere arrivato, si rompe per la prima volta il naso: accadrà altre due volte e questi incidenti segneranno il suo volto e col tempo lo faranno sembrare molto più vecchio di quanto era in realtà.

"Al naso ho avuto tre fratture quando giocavo, mica una - racconterà - E due causate dai miei compagni. La prima volta ero arrivato all’Inter da poco. In partitella il portiere Soldan grida mia mentre io sono già in aria a respingere di testa, il pugno anziché sul pallone ar­riva sul mio naso. Operato, rad­drizzato, come nuovo".
"Pronto per la seconda volta, a Trieste, con il Toro. Saltiamo nella nostra area, io per rinviare, Fortunato per in­cornare verso la porta. Ci sbilan­ciano, la palla passa un attimo prima, fronte contro naso, altra frattura. Infine, partitella del giovedì al Filadelfia, la nuca del giovane Mazzero contro il mio vecchio, solito naso. L’ho tenuto cosi, una specie di medaglia se non al valore perlomeno al co­raggio".

Specialista della marcatura, in maglia nerazzurra Bearzot debutta in Serie A il 21 novembre 1998 nella gara che vede la squadra guidata da David John Astley battere 3-1 il Livorno. Resta all'Inter fino al 1951, collezionando 19 presenze in 3 anni, con due secondi posti e un terzo posto in Serie A.

Nell'estate del 1951 cambia totalmente aria, ripartendo dalla Sicilia e dal Catania, in Serie B. Con gli etnei gioca per tre stagioni, tutte in Serie B, totalizzando 95 presenze e 4 reti, e nell'ultima, il 1953/54 (34 presenze e un goal) è fra i protagonisti della prima storica promozione rossazzurra in Serie A, più presente della rosa di Piero Andreoli.

Nel 1954 torna in Serie A: lo prende infatti il Torino, che sta cercando di risalire la china dopo il trauma della Tragedia di Superga, che il 4 maggio 1949 aveva spazzato via in un sol colpo una squadra straordinaria. Bearzot ne diventerà una bandiera, disputando 9 campionati, con l'unica (breve) parentesi ancora con l'Inter nel 1956/57 (5° posto con 27 presenze, per un totale di 49 in nerazzurro).

In granata vive stagioni altalenanti, raggiungendo in tre occasioni il 7° posto in classifica, ma anche retrocedendo in Serie B nel 1958/59, per poi risalire immediatamente nella massima Serie conquistando il suo secondo torneo cadetto in carriera, e indossa anche la fascia da capitano.

Il 27 novembre 1955 è convocato nella Nazionale italiana che affronta l'Ungheria a Budapest per la Coppa Internazionale. Agisce da centromediano con il numero 4 e deve controllare Ferenc Puskas, il 'Colonnello' magiaro. Bearzot tiene fede alla sua fama di marcatore arcigno e riesce a limitare il grande campione per 80 minuti, ma nel finale proprio Puskas sblocca il risultato, prima che Toth II realizzi il 2-0 finale in favore dei magiari.

Gioca con il Torino fino a 36 anni, fino alla stagione 1963/64, al termine della quale decide di ritirarsi dalle scene con un bilancio di 263 gare e 8 goal complessivi in tutta la sua esperienza in granata. Prima di appendere le scarpette al chiodo, il mediano del Torino fa in tempo a lasciare il suo nome nella storia del Filadelfia: è suo, infatti, l'ultimo goal in campionato nel mitico stadio granata il 15 maggio 1963. La partita è Torino-Napoli 1-1, e la stampa il giorno dopo scrisse che sembrava che quel luogo magico avesse voluto rendere il suo omaggio al capitano.

BEARZOT CT. AZZURRO E L'IMPRESA DI SPAGNA '82

La seconda vita di Enzo Bearzot inizia sotto l'ala protettiva di Nereo Rocco, che lo aveva allenato nel Torino e lo avvia alla carriera di allenatore, con un invito eloquente:

"Ciò, bruto mona, quand’è che ti scominzi a darme una man?".

L'ex difensore e centromediano ama il calcio e accetta di buon grado la proposta del Paròn. Così nel 1964 inizia l'avventura da tecnico: guida prima la De Martino granata, poi la squadra Primavera. Dopo 4 anni, nel 1968, gli arriva la proposta del Prato, in Serie C. I toscani navigano in brutte acque, lui si siede in panchina e porta a casa l'obiettivo prefissato con il 9° posto finale.

La vera svolta arriva però negli anni Settanta, quando Fulvio Bernandini, il Ct. della Nazionale, gli propone di entrare nei quadri della FIGC, con la possibilità di svolgere un lavoro profondo di innovazione. Bearzot ne entusiasta, e ancora una volta dice sì.

Inizia così come suo vice ai Mondiali del 1970 e del 1974, avventure che gli danno grande esperienza, quindi come Commissario tecnico dell'Under 23 (la cosiddetta 'Italia B'), infine nel 1975 ne diventa aiutante di campo, affiancandolo alla guida della squadra azzurra. Molti giornali non comprendono, e lo definiscono "quello del Prato" (l'unica squadra professionistica allenata allora da Bearzot oltre all'Under 23 azzurra).

Inizia così un rapporto controverso e non semplice con la stampa, che spesso lo attaccherà e non ne condividerà le scelte. 'Il Vecio', come viene ribattezzato da Giovanni Arpino, uno dei pochi giornalisti con cui avrà sempre un bel rapporto, oltre al naso da pugile per i tre gravi infortuni al naso assume l'altro elemento portante con cui sarà sempre ricordato: per rilassarsi fuma la pipa, che Giovanni Minoli a 'Mixer' definirà "la terza d'Italia" dopo Sandro Pertini, il socialista che nel 1978 diventerà presidente della Repubblica, e il sindacalista Luciano Lama.

L'accoppiata tra Bearzot Commissario tecnico e Bernardini Direttore generale dura circa 2 anni, visto che nel 1977, quando 'Fuffo' si fa da parte, 'Il Vecio' diventa il Ct. in solitaria della Nazionale Italiana. La prima partita della sua era azzurra è l'amichevole che si gioca contro la Germania Ovest l'8 ottobre 1977 (2-1 per i tedeschi).

'Il Vecio' rinnova profondamente la rosa azzurra, e al primo posto, dopo anni di dualismi che non avevano portato a grandi risultati (su tutti la celebre staffetta Rivera-Mazzola) mette la creazione di un gruppo coeso. Bearzot è saldamente convinto che alla base di un grande successo possa esserci soltanto un grande gruppo. Così, nella sua gestione, punterà su un blocco di giocatori della Juventus, la squadra più vincente in Italia in quegli anni, sacrificando altri calciatori di pari o addirittura maggiore talento individuale. E venendo, naturalmente, per questo, spesso criticato.

Uno dei primi a farne le spese è Claudio Sala, la geniale ala destra del Torino, che farà poche presenze in azzurro in quanto Bearzot gli preferirà costantemente 'Il Barone' Franco Causio, uno dei suoi 'pupilli', che il Ct. aveva conosciuto fin da giovane quando lavorava con Rocco nel Torino.

"Calcio e jazz vanno d’accordo - diceva -, io sogno un gran lavoro d’assieme, un enorme affiatamento e all’improvviso l’uscita del solista".

A livello tattico, invece, si affida alla cosiddetta 'zona mista', un mix di gioco a uomo e gioco a zona, impiegato fra le altre squadre anche dalla Juventus di Trapattoni. Sotto la sua guida l'Italia fallisce la qualificazione alla fase finale di Euro '76, ma non quella ai Mondiali di Argentina '78.

Qui, a detta di tanti critici, l'Italia, nella quale debuttano due giovani, Antonio Cabrini e Paolo Rossi, e si affermano altri campioni, come Scirea, Antognoni e Graziani, propone il gioco più bello del torneo. Gli Azzurri battono 1-0 nel girone iniziale anche l'Argentina padrone di casa, grazie ad un guizzo di Bettega dopo uno spettacolare scambio in velocità con Rossi, ma hanno un calo di rendimento nella seconda fase, nella quale sono sconfitti nella terza gara dall'Olanda.

Gli Arancioni si impongono 2-1 con due conclusioni dalla distanza che sorprendono Zoff. L'Italia di Bearzot deve accontentarsi della finalina per il 3° posto, e anche qui ne esce sconfitta per 2-1, dopo essersi portata in vantaggio con Causio, e deve accontentarsi della 4ª posizione.

Nel 1980 agli Europei di casa la Nazionale italiana è la grande favorita. Tuttavia le pesanti squalifiche del Calcioscommesse, con lo scandalo del Totonero che travolge il calcio italiano, priveranno Bearzot di due attaccanti come Paolo Rossi e Bruno Giordano. Alla fine arriva un altro 4° posto, con una sconfitta ai rigori con la Cecoslovacchia nella finale di consolazione.

Il clima mediatico alla vigilia dei Mondiali di Spagna '82 è così rovente. Come se non bastasse, Bearzot perde Bettega per infortunio alla vigilia. Nonostante ciò, lascia a casa il capocannoniere della serie A 1981/82 Roberto Pruzzo e con lui esclude il fantasista dell'Inter, Evaristo Beccalossi. Rimangono a casa anche Zaccarelli e i giovani Bagni e Ancelotti. Contestatissima è poi la convocazione di Paolo Rossi, appena tornato in campo dopo due anni di squalifica (3 sole gare con la Juve e un goal) e logicamente non al meglio, e come suo vice del guizzante attaccante del Cagliari Franco Selvaggi, a cui dice:

"Giocherai talmente poco che potrai evitare di portarti le scarpe".

Ancora una volta antepone il gruppo a tutto il resto. Selvaggi ha fatto bene, e per lui essere nella squadra è già un premio, quindi non causerà, nel ragionamento del Ct., problemi a Rossi, che avrà tutto il tempo per ritrovare la piena condizione.

Le sue scelte gli costano telefonate anonime, scritte sotto casa e contestazioni in pubblico. Anche i risultati prima della spedizione spagnola sono deludenti. La stessa qualificazione dopo una sconfitta in Danimarca e i pareggi interni con Grecia e Jugoslavia, arriva con un successo per 1-0 sul Lussemburgo. Le amichevoli pre-Mondiali vedono un k.o. al Parco dei Principi contro la Francia di Platini (2-0), una sconfitta di misura con la Germania Est e un pareggio striminzito in Svizzera (1-1).

Prevalgono lo scetticismo generale e le polemiche. Il limite viene ampiamente oltrepassato quando a Roma, Anna Ceci, una ragazza ventenne interista fan di Beccalossi e iscritta ai Boys della capitale, all'uscita dell'hotel di Villa Pamphili in cui gli Azzurri stanno ultimando la preparazione, lo apostrofa pesantemente:

"Scemo! Scimmione! Bastardo!".

In un momento di poca lucidità, esasperato dal contesto, il Ct. ha la reazione che nessuno si aspetta e tira un ceffone in pieno viso alla ragazza. Quest'ultima scoppia a piangere e ne nasce un caso mediatico.

"Bearzot - scrive il quotidiano 'La Stampa' del 3 giugno 1982 - stava rientrando in albergo verso le 12,30. Davanti all’ingresso stazionava il solito gruppetto di cacciatori di autografi, quasi tutti giovanissimi. Una ragazza di vent’anni, Anna Ceci, nata a Roma ma accesa tifosa interista iscritta al club dei Boys Nerazzurri della capitale, dopo aver scandito più volte il nome di Beccalossi, ha rivolto un pesante insulto all’allenatore azzurro".
"Il self control del Ct. si dissolveva di colpo. Bearzot, con uno scatto che ricordava gli antichi tempi di calciatore, si lanciava verso l’incauta fanciulla colpendola con un sonoro schiaffone in pieno viso. Si accendeva un piccolo parapiglia, poi sedato dall’energico intervento dell’accompagnatore della squadra De Gaudio. La ragazza si abbandonava ad un pianto dirotto".

L'episodio, che oggi porterebbe probabilmente alle dimissioni del Ct. e a gravi conseguenze giudiziarie, nell'Italia dell'epoca si risolve con un chiarimento fra le parti.

"La ragazza supplicava di poter parlare con Bearzot per chiedergli scusa - prosegue il racconto de 'La Stampa' -. Riusciva infine ad ottenere la sospirata udienza, anche perché l’allenatore azzurro, resosi conto della sua esagerata reazione, tentava di ridimensionare l’episodio posando sorridente insieme con Anna Ceci davanti all’obiettivo dei fotografi. 'Una sciocchezza, non è accaduto nulla di grave, abbiamo fatto amicizia', diceva Bearzot".
"Adesso sono perfettamente d’accordo con Bearzot - dirà la fan nerazzurra -. Beccalossi va benissimo nell’Inter ma, come mi ha spiegato il commissario tecnico, nella Nazionale non riuscirebbe ad ambientarsi".
La tifosa "ha anche precisato che gli insulti non erano rivolti a Bearzot - aggiunge 'Il Corriere della Sera' - ma a un ragazzo che in quel momento l’aveva spinta". 

Lo scrittore Piero Trellini, nel suo libro su Italia-Brasile 3-2, 'La partita', rivela che poi la stessa Anna Ceci inviterà Bearzot addirittura al suo matrimonio.

In questo clima infuocato, comunque, la Nazionale sbarca in Spagna ed è impostata ancora una volta tatticamente con la 'zona mista'.

"Marcature a uomo quando e dove occorre - spiegherà Bearzot -, disposizione a zona nel resto del campo. Ci sono cer­ti tipi di giocatori che puoi annul­lare più facilmente se gli togli un po' d’aria da respirare. Dopodi­ché, se hai assemblato una squa­dra di giocatori polivalenti sai che se la cavano sia se c'è da sof­frire e difendere, sia quando è il momento di prendere l’iniziativa e attaccare. A forza di giocare in­sieme diventano una buona squadra anche undici mediocri. Figurarsi se tra loro c'è un cam­pione, o meglio ancora più di uno".

Fra i pali c'è il capitano, Dino Zoff. La difesa è impostata generalmente con marcature individuali, con Gentile e Collovati sulle punte avversarie e Cabrini sul tornante. Scirea, il libero, oltre a compiti di chiusura, è anche il primo a impostare il gioco quando si ha il pallone. A centrocampo, in assenza di un vero playmaker, Oriali e Tardelli si alternano in copertura, mentre Antognoni agisce da rifinitore in coppia con Bruno Conti, formalmente tornante destro, ma in campo uomo a tutto campo e fantasista libero di spaziare. Davanti Paolo Rossi è la prima punta, con Ciccio Graziani al suo fianco a sacrificarsi nei ripiegamenti.

Enzo BearzotGetty Images

Gli Azzurri, nel caldo della Galizia, partono male: 0-0 con la Polonia, 1-1 con il Perù e si qualificano alla Seconda fase solo grazie ad un altro 1-1 con il Camerun, che consente di prevalere sui Leoni d'Africa per la differenza reti favorevole. La squadra di Bearzot, che appare una lontana parente di quella bella e briosa ammirata in Argentina, fa una fatica spaventosa e Paolo Rossi appare l'ombra di se stesso.

I giornalisti italiani, indignati, attaccano ferocemente e chiedono l'esonero immediato del Ct. La stessa Federcalcio aveva 'scaricato' la Nazionale azzurra. Al termine di una gara di allenamento vicino a Braga, in Portogallo, prima dell'inizio del torneo, il presidente della Lega Calcio, Antonio Matarrese, aveva minacciato di prendere a calci qualche giocatore. Il presidente della FIGC, Federico Sordillo, aveva invece dichiarato:

"Se questa è la squadra, possiamo tornare a casa, ma spero che non lo sia".

Ma 'Il Vecio', dall'alto della sua esperienza, sa il fatto suo e non arretra di un millimetro. La risposta è il silenzio stampa più celebre del calcio italiano, che non farà altro che compattare il gruppo per la fase decisiva del torneo.

Inserita in un girone a tre con Argentina e Brasile, nel quale accede alle semifinali solo la prima classificata, l'Italia è data praticamente per spacciata. Invece accade il miracolo: gli Azzurri, al Sarriá di Barcellona superano prima l'Argentina (2-1), poi, in un susseguirsi di emozioni, il favoritissimo Brasile di Zico e Falcão (3-2), nella partita che segna la rinascita di Paolo Rossi, autore di una tripletta. Un'altra mossa vincente, decisa dal 'Vecio', e l'assegnazione delle marcature difensive, con Gentile che 'morderà le caviglie' prima di Maradona e poi di Zico.

L'attaccante della Juventus, tornato ai suoi massimi livelli di rendimento, esplode e non si ferma più, trascinando la squadra al titolo Mondiale: due goal alla Polonia in semifinale, e una rete nel 3-1 alla Germania Ovest, nella finalissima del Bernabeu, a Madrid, il 13 luglio 1982, che rappresenta il capolavoro calcistico del 'Vecio'. Di Tardelli, con lo storico urlo, e Altobelli, gli altri due goal azzurri, con Breitner a segnare il punto della bandiera per i tedeschi.

"A Bearzot devo tutto - dirà sempre Pablito - da quel Mondiale è diventato per me un secondo padre. Con lui ho sempre avuto un debito morale”.
"Aveva tutti contro - ricorderà a 'Sky' il giornalista Giorgio Porrà -, tranne i suoi ragazzi. Si blindò con loro nel silenzio, col solo Zoff a fare da portavoce, fece quadrato davanti agli attacchi esterni, soffocò la rabbia leggendo e rileggendo Orazio, il filosofo che insegna a combattere razionalmente le sofferenze. Per questo il suo fu anche un capolavoro psicologico".
"Fece della Nazionale la sua patria personale. Trasformò Rossi nello spietato solista dell’ensemble. Spinse il successo su quel Brasile alieno sul podio delle meraviglie del Novecento. E alla fine trionfò, assieme al suo atto di fede, al rigore da vecchio alpino, restando se stesso anche nelle celebrazioni, smodate, esagerate, come le precedenti accuse alla sua gestione".

La partita con i tedeschi, complicata dall'infortunio di Antognoni, che costringe Bearzot a cambiare modulo promuovendo dall'inizio lo 'Zio' Beppe Bergomi, appena diciottenne, passando ad una sorta di 5-3-2, con tre difensori marcatori, non è mai in discussione, nonostante un rigore fallito da Antonio Cabrini sul finale del primo tempo, quando il risultato è ancora di 0-0.

"Ricordo la faccia, oscurata dal vento e dalla delusione, quando ho sbagliato il calcio di rigore che poteva portarci subito in vantaggio con la Germania - dirà il terzino sinistro - . Ma subito la delusione in lui lasciò il posto all'ottimismo: 'È inutile che continui a pensarci, mi ha detto, siamo sullo 0-0, lasciati alle spalle questo momento delicato'. Per me è stato un secondo papà, come allenatore era molto preparato, non aveva bisogno di parlare. Era un po' il Don Chisciotte dell'82, unico di fronte a tutti nei giorni delle polemiche. È nata così l'immagine di un uomo che per i suoi ragazzi dava tutto".

Tutti i suoi ragazzi gli resteranno sempre legati e lo vedranno come un secondo padre. Di quella sera del Bernabeu restano scolpite nella storia alcune immagini del 'Vecio': i giocatori che lo portano in trionfo in campo, il bacio di Zoff in segno di riconoscenza ed euforia. E successivamente quella partita a scopone sull'aereo presidenziale che riporta la squadra in Italia dopo l'impresa, nella quale Bearzot e Causio vincono sulla coppia Pertini-Zoff.

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 “Superata la Polonia in semifinale, andammo a giocarci la finale con la Germania a Madrid. Ma ormai non ci avrebbe più fermato nessuno - racconterà Bearzot -. Dissi ai ragazzi: 'La velocità è più importante della potenza e noi siamo più veloci di loro. Può darsi che vi riempiano di lividi, ma prima devono prendervi'. Non ci presero".

Sul carro dei vincitori salgono tutti: giornalisti, dirigenti della Federazione e politici, dimenticandosi in fretta quanto accaduto nelle settimane precedenti. Ma sono soprattutto i tifosi di tutta Italia a rendergli il merito di aver scritto una pagina indelebile del calcio italiano.

"Rossi, Tardelli, Altobelli sono gli autori delle reti - scriverà Giovanni Arpino, uno dei pochi giornalisti amici del Ct. -, ma portano i nomi di tutti i loro compagni, soprattutto portano quello di Bearzot, commissario d’eccezione per forza morale, per capacità di studiare l’avversario, per la passione che sa trasferire nei suoi atleti, in quella che si è dimostrata una vera famiglia".
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Lui si prende i suoi meriti, spartendogli con quel gruppo eccezionale che aveva portato in cima al Mondo.

"Non credo che nessuno mi abbia mai sentito dire che il titolo di Spagna è tutto merito dei ragazzi: perché non è vero, una parte del merito sono certo di averla avuta anch'io - dichiarerà anni dopo -. Ma ecco il punto: una parte. Oggi gli allenatori, per bravi che possano essere, sono diventati troppo importanti. Si presentano le partite dicendo o scrivendo Lippi contro il tale, Sacchi contro il tal altro e io non capisco più se stiamo parlando di calcio o di tennis".
"Perché sino a quando si è rispettato il senso delle proporzioni l'allenatore ha sempre rappresentato una componente, importante finché si vuole, ma una componente. Un non-protagonista, il cui compito è far diventare protagonisti i giocatori a lui affidati".

L'exploit spagnolo non si ripete agli Europei del 1984, che vedono anzi gli Azzurri campioni del Mondo clamorosamente eliminati da Romania e Svezia nelle qualificazioni. Tornano feroci le polemiche e le critiche. Il Ct. friulano, da eroe, veste nuovamente i panni del responsabile della disfatta. Il rinnovamento del gruppo sarà lento e servirà un po' di tempo e non sempre i giovani si riveleranno all'altezza della situazione.

I Mondiali '86 in Messico vedranno la Nazionale del 'Vecio' fuori agli ottavi di finale contro la Francia di Platini. Ancora lui, giustiziere di un Italia orfana di Pablito, portato come premio alla carriera ma ormai alla fine del suo percorso. Al suo posto Bearzot punterà su 'Nanu' Galderisi, ma questa volta l'impresa non riuscirà.

Sveste i panni da Ct. dopo la sfortunata gara con la Francia, chiudendo una gestione da record, durata quasi 11 anni, con 104 panchine, 51 vittorie, 28 pareggi e 25 sconfitte. Alle sue spalle il grande Vittorio Pozzo, con 97 panchine complessive.

Enzo Bearzot ItalyGetty Images

DAL MONDIALE OVER 35 A DIRIGENTE FIGC

Bearzot si fa da parte rassegnando le dimissioni dopo i Mondiali del 1986 e consegnando la Nazionale in mano ad Azeglio Vicini. Rispettato e apprezzato fuori dai confini ad ogni latitudine, resterà sempre un mito dello sport italiano, amato soprattutto dalla gente piuttosto che dai vertici, che lo dimenticheranno in fretta.

Lui del resto non fa nulla per apparire. Torna sui monti di Auronzo e poi va al mare di Lignano per combattere gli acciacchi dell’età, pur restando sempre legato anche a Milano. Continua a leggere molto.

"Perchè Bearzot è stato dimenticato? Perchè è un eroe - sosterrà Dino Zoff -, e l'eroe sa tutto e deve morire in trincea".

Insignito dopo l'impresa di Madrid dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, è dapprima consigliere tecnico di Zof e di Rocca nella Nazionale olimpica per le Olimpiadi di Seul, poi Ct. della Nazionale italiana over 35 che l'11 luglio 1993 (11 anni dopo il trionfo del Bernabeu, con molti di quei calciatori) vincerà il Mundialito di Categoria a Trieste battendo 2-0 in finale l'Austria dopo aver eliminato nuovamente il Brasile.

I verdeoro vincono 1-0 lo scontro diretto nel girone, ma per passare servivano almeno 2 reti di scarto. Così contesteranno l'arbitro e si rifiuteranno di giocare la finale per il 3° posto contro la Germania.

Sposato con la moglie Luisa Crippa, da cui ha avuto due figli, Glauco e Cinzia, diventa nonno di tre nipoti, Rodolfo, Livia e Giulia. All'inizio del nuovo Millennio ricopre anche la carica di presidente del Settore tecnico della FIGC dal 2002 al 2005.

"Non c’è più allegria nel calcio - sosteneva -, la musica è finita, e tutti ce ne andiamo. Ma abbiamo fatto concerti magnifici, siamo stati una magnifica band. Oggi lo spartito è un altro, ci sono gli schemi. Ma ha ragione Liedholm: gli schemi sono belli, sono bellissimi in allenamento. Senza avversari riescono tutti".

Si spegne ad 83 anni, il 21 dicembre 2010, esattamente 42 anni dopo Vittorio Pozzo, e il suo corpo riposa nella tomba di famiglia a Paderno d'Adda.

Nel 2011 il suo nome è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano e gli è stato intitolato il premio per il miglior allenatore italiano dell'anno. Dopo la sua morte, nel dicembre 2017 il CONI gli ha assegnato la Palma d'Oro al merito tecnico.

"Il giorno che decisi che avrei fatto il calciatore, non sapevo dove sarei arrivato - diceva - . Sapevo che i miei preferivano fare di me un medico, un farmacista o almeno vedermi lavorare in banca. Io avevo capito che il calcio può dare grandissime gioie alla gente".
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