"La cancha no es chica: vos estás gordo”.
Cristian Gastón Fabbiani alza lo sguardo, osserva con attenzione quello striscione esposto nella curva avversaria, fa spallucce e poi torna a concentrarsi sulla partita. Non gli interessa più di tanto. Non serve che glielo ricordino: lo sa già che non è il campo a essere piccolo. Si rende perfettamente conto che è lui a non aver la silhouette del perfetto calciatore, lontano dai canoni del nuovo millennio ma pure del vecchio. “Gordo”, gli urlano ovunque per disprezzarlo. Grasso, ciccione. Confortati dalla realtà, perché Fabbiani sovrappeso lo è davvero. Lo è sempre stato, o quasi.
All'All Boys, ha raccontato, nel 2010 è arrivato a pesare 122 chili. Il suo record storico, se così si può chiamare. “Oggi in confronto sono pelle e ossa”, ha scherzato un paio d'anni fa. E poi: "C'è gente che non sa nemmeno cosa sia una cotoletta alla milanese. Non è che uno tratta meglio il pallone se mangia insalata”. Eppure, o forse anche per questo, Fabbiani è stato uno dei personaggi più folcloristici dell'ultimo ventennio di fútbol argentino. Particolare fuori dal campo, forte dentro. Perché, nonostante i problemi con la bilancia, con la palla ci ha sempre saputo fare. “Abbinato alla mia abilità e all'uso del corpo, il mio peso mi ha favorito”, giura, sfiorando il paradosso.
Poi, chiaro, se hai una madre che di lavoro fa lo chef le cose si complicano. Gli è rimasta solo lei, perché il padre è morto a soli 40 anni per un arresto cardiorespiratorio. Dona Mirta lavora in un ristorante e, quando può, il figlio se lo coccola per bene. Quando la stampa argentina lo scopre, nel 2009, approfondimenti e interviste si sprecano. In una, la madre rivela: “A Cristian piacciono i ravioli con carne e verdure”. Alè. Il sospetto che esista un collegamento con il giro vita del giocatore, insomma, è piuttosto fondato. E confermato dallo stesso Fabbiani, che indica un infortunio ai tempi del Newell's come il vero punto di svolta culinario: “Sono rimasto fermo per due mesi, ho iniziato lì a metter su peso”. Poi però se la ride, perché il suo carattere è così: “Non devo più andare a trovare mia madre: troppe tentazioni”.
Certo, da un certo punto in poi anche lui ci ha sempre messo del suo. Sin da giovanissimo. E senza la madre accanto. “Gli piaceva mangiare, non sapeva resistere”, ha raccontato alla stampa peruviana Juan Carlos Mariño, ex compagno ai tempi delle giovanili del Lanús. Gli aneddoti, in questo senso, si sprecano. Lo stesso Mariño ne ha raccontato uno gustoso (ops) al portale 'El Bocón de Perú'. Con una premessa piuttosto eloquente: “Mi ucciderà”.
“Mangiavamo nel ristorante del club, lui prendeva solo insalata. Ci diceva: 'Guardate come mangio correttamente'. Ma una volta, dicendo che era stanco, se n'è tornato nella sua stanza. Finito di cenare, siamo tornati all'appartamento e abbiamo bussato alla sua porta per rompergli le scatole. Ma lui non apriva. Siamo riusciti a entrare e lo abbiamo trovato ricoperto di patatine e caramelle”.
Prensa Deportivo LaferrereL'eterna lotta con la bilancia gli ha sempre attirato ironie, punzecchiature e vere e proprie offese da parte degli avversari. Dai tifosi ai club. Striscioni, cori, ma non solo. Nel 2019, dopo una gara contro il suo Deportivo Merlo per la sesta serie argentina, il Laferrere ha postato sul proprio profilo Twitter un'immagine di Fabbiani con tanto di pancione in bella vista. Lui, ancora una volta, se l'è presa solo relativamente: “La panza non si tocca”. Nelle stesse ore è intervenuto addirittura Ronaldo, un altro che ha dovuto fare i conti con gli stessi problemi negli ultimi anni della carriera, con un videomessaggio di sostegno: “Non dargli corda. Noi gorditos facciamo la differenza”.
Eppure Fabbiani è sempre stato un calciatore vero. Un attaccante dai piedi buoni, capace di trattare il pallone come un piatto di empanadas. Quand'è al Lanús, pare che il suo destino debba essere immediatamente l'Europa. Lo vuole il Feyenoord, l'affare sembra destinato ad andare in porto. Ma proprio in quei giorni Cristian si rompe il legamento crociato di un ginocchio e l'affare salta. Così come cambia completamente il suo percorso. Da potenziale promessa a personaggio. Nel 2004, a 21 anni, va in Cile per giocare in prestito col Palestino. È la squadra in cui ha militato lo zio Oscar, idolo del club con cui negli anni 70 si è laureato capocannoniere per tre volte di fila. Ci va soprattutto per quello.
L'accoglienza è un mix di aspettative e perplessità. Racconta Horacio Rivas, il suo allenatore in quell'annata: “A colpirmi immediatamente sono state le sue dimensioni. L'ho messo varie volte a dieta, poi mi sono rassegnato. Ma con la sua tecnica faceva la differenza”. In Cile, però, sarà ricordato anche per altro. Fabbiani è talmente appassionato di Shrek che una volta, mentre è a Puerto Montt, decide di comprarsi una maschera del personaggio, verde e con le orecchie a forma di trombetta. Qualche giorno dopo scende in campo, segna, prende la maschera e la indossa. Per tutti diventa immediatamente “el Ogro”, l'Orco. Grande, grosso e cattivo. Lo rifarà altre volte, tanto da essere pure chiamato a girare una pubblicità per la Dreamworks. E nel 2016 mostrerà al proprio pubblico il suo nuovo tatuaggio: Shrek, ovviamente.
In campo, invece, è un continuo peregrinare. Fabbiani torna al Lanús, che nel 2006 lo lascia nuovamente partire. Destinazione Israele, al Beitar Gerusalemme. Racconta “el Ogro” che una volta è stato aggredito da alcuni sostenitori del club: avevano scoperto da qualche parte il suo passato nel Palestino e pensavano fosse di origine palestinese. “Da un momento all'altro mi sono svegliato in ospedale”, ha rivelato. In campo non va benissimo: quattro presenze, nessuna rete. Però, se gli chiedono un'opinione sulla tifoseria del Beitar, non ci sono dubbi: “La migliore, non ci sono paragoni con quelle argentine. Altro che la 12 del Boca. Lì sono tutti matti. E Israele è il Paese migliore in cui sia mai stato”.
Nel 2007 si ritrova invece catapultato in Romania, al Cluj. Dove esce il suo lato donnaiolo, più che quello calcistico. Dirà in seguito: “Le donne romene sono belle e focose. C'era il problema della lingua, ma ho imparato a dire 'andiamo a casa mia' e i risultati ci sono stati. Noi argentini siamo favoriti, perché là gli uomini sono proprio brutti ”. Il gentil sesso gli piace, eccome. Si tradirà solo una volta, nel 2010, sparando a zero contro i direttori di gara donna: “Nulla contro di loro, ma non possono arbitrare dei maschi”. Nella vita privata, invece, è un proliferare di volti noti: dalla modella e politica Amalia Granada alla pasticcera Gimena Vascon, passando per l'ex tennista Victoria Vanucci.
Tornando al pallone, l'apice della traiettoria di Fabbiani sta per arrivare. Perché nel 2008 lo chiama il Newell's Old Boys, grande storica d'Argentina. È la squadra di Leo Messi, ci ha giocato Diego Armando Maradona. La Rosario rossonera accoglie l'Orco in festa e ne riceve in cambio giocate da crack. Nonostante sia sempre sovrappeso, anche in Europa lo notano: “Mi volevano la Lazio e la Roma, ma in quel momento è nata mia figlia”. Un anno dopo lo seduce il Metalist, ma stavolta è Victoria a far saltare tutto: “Non le piaceva la città. Mi avrebbero garantito quattro milioni di euro di stipendio”.
Al Newell's dura appena sei mesi, il tempo di segnare (5 goal in 15 presenze), incantare tutti e far arrabbiare qualcuno. In un clásico contro il Rosario Central, comunque vinto per 1-0, si invola verso la porta, salta con facilità il portiere, salta un altro difensore ma a un metro dalla porta tira incredibilmente alto. In quell'occasione il telecronista Walter Nelson si esalta: “Tatan tatan! Fabbiani, que golazo!”. E poi, dopo mezzo secondo: “Noooooo!”. Troppo facile segnare così. Ma al NOB si arrabbiano davvero quando se ne va. Lo vuole il Velez Sarsfield, ma lui sceglie il River Plate. Il club del cuore, sin da quand'era piccolino. All'Amalfitani non la prendono bene: al primo scontro diretto sono fischi e insulti. Tra cui il solito “gordo”, naturalmente. Al Monumental, invece, lo accolgono travestiti da Shrek. E le tifose scelgono la maschera di Fiona, il personaggio femminile del film. Giusto per capire la portata del personaggio.

Le attese spasmodiche nei suoi confronti, però, si risolvono in un nulla di fatto. Sono anni in cui il River Plate non vince quasi nulla. Un paio d'anni dopo sarà costretto a ingoiare un'inopinata retrocessione al termine di un doppio spareggio col Belgrano. Fabbiani è folclore, il musicista e tifoso millonario Javier Montes è talmente infatuato di lui da scrivere una canzone in suo onore (“La banda del ogro”), però in campo fa vedere poco. Tiene a distanza gli avversari col suo corpone, ma segna solo tre volte in 32 presenze. E si vede ben presto consegnare il foglio di via. Anni dopo si sfogherà: “Ho sempre giocato gratis, non mi hanno mai pagato”.
Il declino è iniziato. Fabbiani tenta di rifarsi una vita nella seconda divisione messicana, ma l'accordo col Veracruz sfuma sul più bello. “Dopo un'analisi sportiva realizzata dai Tiburones Rojos – recita ai tempi il comunicato del club – abbiamo deciso che l'attaccante argentino Cristian Gastón Fabbiani non farà parte della rosa per il Torneo Apertura 2010 della Liga de Ascenso”. Nessuno lo conferma ufficialmente, ma tutti lo sanno: l'Orco non ha superato le visite mediche a causa del proprio peso.
Sopraggiunge in suo soccorso l' All Boys, che lo mette sotto contratto. Fabbiani arriva a pesare i famosi 122 chili, è un habitué dei locali notturni, una volta si imbatte nella nazionale spagnola campione del Mondo in carica al gran completo, in Argentina per un'amichevole (il giorno dopo perderà 4-1, nulla di strano). La stampa locale, naturalmente, lo bracca. L'esposizione mediatica è sempre pazzesca. Gli articoli scandalistici si sprecano, le critiche sul suo rendimento in campo pure. A un certo punto, l'Orco esplode contro i media: “Qui tutto è trattato come un circo. 200 giocatori escono ogni sera, ma sembra che l'unico a farlo sia io. A luglio me ne vado”.
Non mantiene le promesse, perché in quel 2011 se ne va, sì, ma all'Independiente Rivadavia. Sempre in Argentina, anche se in Primera B, la seconda divisione. Nel febbraio dell'anno successivo segna un magnifico goal da metà campo contro l'Almirante Brown. Ma non è che un'illusione. Racimola qualche soldo in Bolivia, torna in patria con l' Estudiantes San Luis, gioca anche in Ecuador, dove vive la paura del terremoto che colpisce il Paese nel 2016. Al Deportivo Merlo dice, piccato, di essersi “sentito meglio che al River”. Ma la gloria è ormai svanita. Anche perché nel frattempo lo ha colpito un tumore alla gamba destra, da cui comunque guarisce in fretta: “La cosa più difficile è stata nascondere la notizia a mia madre”, ha rivelato a 'Infobae'.
Il nuovo Fabbiani ha appeso le scarpe al chiodo nel 2020. Non senza un pizzico di rancore nei confronti dei critici: “A dispetto di quello che si è detto, ho sempre dato tutto me stesso”. Dalla fine di giugno 2021 è diventato l'allenatore del pericolante Fénix, in Primera B. Al momento della firma gli hanno consegnato una maglia col numero 10, come se fosse lui il vero campione della squadra. Oggi, invece, guida il Riestra in Primera Nacional. La nuova vita di Shrek è cominciata. Giù la maschera.

