"Darsi all'ippica' è un'espressione che ha profonde radici nella lingua italiana. Un tempo era un modo di dire parecchio diffuso, ma oggi non viene praticamente più utilizzato, se non dalle vecchie generazioni. C'è persino qualcuno che non lo conosce o non sa cosa vuol dire.
"Datti all'ippica' si dice a qualcuno considerato incapace di svolgere il proprio lavoro. E lo si esorta dunque a cambiare mestiere. A darsi all'ippica, appunto. Nel calcio, e più in generale nello sport, questa espressione era diventata ormai un'abitudine. Lo si diceva a un amico durante una partitella dopo un tiro o un passaggio sbagliato. E lo si diceva ovviamente anche al calciatore professionista dopo un errore clamoroso o ripetuto. "Ma che fai! Ma dove vai! Ma datti all'ippica!".
Normalmente è difficile che il 'consiglio' venga realmente seguito, ma c'è un calciatore che ha preso questa espressione alla lettera. Non perché fosse scarso o incapace di giocare - le sue oltre 200 presenze in Serie A dicono tutto il contrario - ma perché l'ippica è stata da sempre la sua seconda passione. E adesso è diventata a tutti gli effetti la prima.
C'è voluto però parecchio tempo perché ciò accadesse. A 19 anni, infatti, Manfredini giocava già in pianta stabile in Serie A con la maglia dell'Udinese. Ha iniziato la carriera come terzino, impressionando subito tutti.
“Il mio esordio è stata la miglior partita della mia carriera - ha raccontato a 'Tacchetti di Provincia' - contro la Roma di Montella, Delvecchio, Cafu, Aldair. Era la Roma di Capello, che a fine anno vinse lo scudetto. Ero in una tale trance agonistica che non mi ricordo quasi nulla. Giocai talmente bene che la Roma andò a fine primo tempo dal nostro direttore sportivo per cercare di acquistarmi. La partita successiva giocavamo a Milano contro l’Inter, e persino Marcello Lippi venne a farmi i complimenti per l’esordio".
A fermare la sua crescita esponenziale ci si è messo però di mezzo un grave infortunio alla caviglia. Così, negli anni successivi, Manfredini si è specializzato in promozioni. La prima è arrivata con la Fiorentina, la seconda con l'Atalanta, dove si è trasformato in difensore centrale. Alla Dea ha vissuto gioie e dolori (in primis lo scandalo calcioscommesse, dal quale ne è uscito con un'assoluzione), facendo parte dell'ultima Atalanta che ha giocato in Serie B, la prima versione originale della squadra che è diventata oggi, capace di prendersi la scena in Italia e in Europa.
Quella vissuta a Bergamo è stata senza dubbio l'esperienza più lunga e intensa del Manfredini calciatore, con 140 presenze totali. Quella a Sassuolo è stata invece la più breve. Ed anche l'ultima in Serie A.
"Ho sofferto la mancanza di pressione. Passare da piazze come Bergamo e Genova a una squadra che era una specie di “isola felice” non mi ha permesso di rendere al meglio. Di Francesco poi non mi aiutò, mettendomi subito ai margini della squadra. Mi allenavo da solo, distante dai miei compagni. A 34 anni ero meno considerato dei magazzinieri".
Così Manfredini ha deciso di rimettersi in gioco in Serie B, sfiorando l'ennesima promozione con il Vicenza, sfumata ai playoff contro il Pescara. Un grande rammarico, "uno dei più grandi rimpianti della mia carriera", come ammesso dallo stesso Manfredini.
InstagramL'ennesimo infortunio al tendine d'Achille gli ha fatto dire basta, ma non era ancora arrivato il momento di mettersi in sella. "Il calcio mi mancava troppo". Dopo tre anni di inattività ha firmato per La Fiorita, nel campionato di San Marino, ma la condizione fisica lo aveva ormai abbandonato. Adesso sì che era arrivato quel momento. Il momento di darsi all'ippica. Come 'driver'.
"Da quando ho smesso con il calcio mi sono buttato nelle gare. Sono proprietario di cavalli e lo faccio davvero per passione. Mi dà la stessa adrenalina di una partita di calcio".
E non è soltanto l'adrenalina ad essere la stessa, ma anche la preparazione.
"Mi preparo alle gare come facevo per le partite, studiando gli avversari: prima erano gli attaccanti, ora i cavalli. Analizzo le loro caratteristiche, vedo le corse precedenti e penso alle tattiche più efficaci. È una cosa che mi tiene vivo".
