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Messi Neymar Copa America gfxGoal

Dall'addio sfiorato al riscatto, Messi ci riprova: in palio il primo trofeo con l'Argentina

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27 giugno 2016. East Rutherford, New Jersey, Stati Uniti. Lionel Messi sta vivendo forse le ore più dure di una vita calcistica così piena di gioie, successi e trofei. E quei giornalisti e quei microfoni che lo assediano non contribuiscono a rasserenarne un animo in subbuglio. Però trova la forza di parlare. Di sfogarsi. E annuncia: “La prima cosa che ho pensato negli spogliatoi è che non giocherò più con l'Argentina”. Boom. La fine di un'epoca. La fine di un sogno. L'ennesimo. Perché quattro finali perse e nessuna vinta sono tante, troppe. Per chiunque, pure per il re del pallone.

11 luglio 2021. Rio de Janeiro, Brasile. Messi l'Argentina non l'ha lasciata. È ancora lì, al proprio posto, maglia numero 10 sulle spalle e fascia di capitano legata al braccio. Questa notte sarà di nuovo lui l'uomo guida di una nazionale che la Copa America l'ha alzata 14 volte, sì, ma l'ultima nel 1993. Quasi 30 anni fa. Quando Leo aveva 6 anni, era un piccolo tifoso come tanti altri e ancora non poteva avere in mente quel che avrebbe fatto da grande. Fu, quella, la Copa di Gabriel Omar Batistuta. Il Batigol nazionale. Tre reti, di cui due nella finalissima di Guayaquil per spezzare la resistenza del Messico. Poi, per 28 lunghissimi anni, il nulla.

Il nulla? Quasi. Perché l'Argentina la Copa America l'ha sfiorata. E l'ha sfiorata più volte. Spesso con Messi in campo. Non tanto nel 2004, la leggendaria finale contro il Brasile e decisa prima dal pari di Adriano a tempo quasi scaduto e poi dai rigori, nella quale però Leo non era in campo, quanto nel 2007 (altro ko col Brasile, 3-0 a Maracaibo), nel 2015 e nel 2016, i due 0-0 col Cile trasformatisi magicamente e dolorosamente in altrettante delusioni dal dischetto per l'Albiceleste. “Quattro finali perse sono troppe”, annunciava Messi a East Rutherford. Già, quattro. Perché in mezzo c'è anche l'altro Maracanã, la prima Rio, il Mondiale scivolato dalle dita argentine e finito in quelle di Mario Götze e della Germania. Atroce. Ma Messi non ha mollato. Non poteva farlo. E così, il “mi sarebbe piaciuto vincere qualcosa con la mia nazionale” pronunciato negli Stati Uniti è mutato nel “vogliamo vincere, l'obiettivo è sempre quello” annunciato prima dell'inizio della Copa brasiliana.

Lionel Messi ArgentinaGetty Images

Una dichiarazione di intenti che giunge al termine di una stagione strana, stranissima. Cominciata sul piede di guerra, nel contesto di una situazione giunta ai limiti del surreale, e conclusa con una Liga sfiorata. Lasciatosi alle spalle il celeberrimo burofax e l'altrettanto celebre intervista rilasciata a Ruben Uría di Goal nella quale, in sostanza, si autodipingeva come un uccello in gabbia impossibilitato a volare alto nel cielo, Messi ha tratto la forza per ripartire. Non subito. Nelle prime settimane della nuova stagione ha faticato, come tutto il Barcellona. Ha collezionato medie realizzative risibili per uno come lui. Poi, pian piano, ha cominciato a rimettere assieme qualche pezzo ed è tornato l'alieno di sempre. 30 goal complessivi in Liga, soglia raggiunta per la nona volta in carriera. La normalità, ormai. Grazie al proprio astro, e pure a qualche prezioso cambiamento tattico operato da Ronald Koeman, un Barcellona considerato da tutti a fine ciclo si è spinto a contendere il campionato a Real Madrid e Atletico Madrid fino a 90 minuti dalla conclusione.

Il cruccio, semmai, è la Champions League. In quel terreno minato il Barcellona, questo Barcellona, non poteva proprio competere. Fuori con ignominia già agli ottavi per mano del Paris Saint-Germain di Kylian Mbappé, nonostante lo scatto d'orgoglio nel ritorno del Parc des Princes. Ed è principalmente questo a frenare Messi nella corsa al prossimo Pallone d'Oro. Che però si presenta incertissima. Chi sarà premiato miglior giocatore del mondo? Difficile, quasi impossibile prevederlo. Mbappé ha trascinato il PSG alle porte della finale, ma agli Europei ha deluso pesantemente. Lewandowski si è confermato il miglior centravanti del mondo, però ha vinto solo in Germania. Neymar, complice qualche episodio extracampo sempre pronto a far capolino, pare essere incapace di varcare la soglia che divide il campione dal fuoriclasse. C'è Kanté, c'è il sempre più caldeggiato outsider Jorginho, che però difficilmente potrà trionfare. Bel dilemma.

E dunque, ecco rispuntare Messi. Con la Copa America, il suo possibile primo trofeo con l'Argentina, come lasciapassare per la gloria. Anche perché Leo in Brasile è parso fresco come una rosa, nonostante la solita stagione massacrante. All'esordio contro l'Uruguay ha fornito l'assist per il colpo di testa decisivo di Guido Rodriguez. Meno bene contro il Paraguay, altra gara vinta di misura. Poi lo show contro la Bolivia, tra assist (uno) e goal (due), replicato con simmetrica precisione nell'ottavo contro l'Ecuador. E infine, la partecipazione ancora una volta determinante per superare la resistenza della Colombia: altro assist per l'1-0 di Lautaro Martinez, poi il freddo sinistro dal dischetto nella serie finale.

È un Messi diverso, quello che si è visto nella semifinale di Brasilia. Non col pallone tra i piedi: con le parole. Quelle che Leo ha sempre amato centellinare, preferendo far chiacchierare i piedi. Ebbene: dopo aver trasformato la propria esecuzione nel quarto di finale contro l'Uruguay, il centrale avversario Yerry Mina si è prodotto in un balletto irridente. Stavolta, però, si è fatto ipnotizzare da Emiliano Martinez. E Messi, che peraltro con Mina ha giocato per pochi mesi al Barcellona, si è scatenato: “Baila ahora!”. Balla adesso. Ripetuto quattro, cinque volte. Con tanto di applauso ironico all'ex compagno. Altro che “pecho frío”, come qualche connazionale lo chiama sprezzantemente da anni accusandolo di scarsa partecipazione emotiva.

È questo Messi che il Brasile dovrà temere. Di nuovo letale quando ha la palla, capopopolo quando c'è da caricarsi sulle spalle un'intera squadra. Diego Maradona, pace all'anima sua, diceva di lui che “non è un caudillo”: sbagliava. E ora, con il suo caudillo, l'Argentina cercherà per l'ennesima volta di sfatare un tabù lungo quasi tre decenni. Ha superato un ostacolo dopo l'altro, è arrivata di nuovo in finale e non ha alcuna intenzione di “nadar, nadar e morrer na praia”, come dicono i brasiliani per indicare chi cede a un passo dal traguardo. Ovvero “nuotare, nuotare e morire sulla spiaggia”. Anche di spiagge, a Rio de Janeiro, ce ne sono parecchie.

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