
Fino alla rivoluzione tattica avvenuta alla fine degli anni ’90, le epoche del calcio tedesco sono state scandite dalle leggende che si sono assecondate anno dopo anno nel ruolo di libero. Franz Beckenbauer, Uli Stielike, Lothar Matthäus. Fino a Matthias Sammer. L’ultimo della scuola del libero ‘classico’, poi reinventato qualche anno dopo da Philipp Lahm insieme a Pep Guardiola, in un incrocio temporale tra il ruolo tradizionale e quello di ‘sechser’, di ‘numero 6’, che trova il suo miglior esponente in Joshua Kimmich.
Sammer era diverso. Ed è stato l’ultimo. Ha chiuso un’era di tre decenni. Dal suo ritiro, prematuramente avvenuto nel 1997 a poco più di 30 anni, il ruolo di fatto ha cessato di esistere nella sua concezione classica. Il nativo di Dresda è abbastanza abituato ad essere ‘l’ultimo’, visto che è stato anche l’ultimo capitano e marcatore della nazionale della Germania Est, oltre che ultimo tedesco a vincere il Pallone d’Oro.
LA DYNAMO DRESDA E LA VITA NELLA GERMANIA EST
Matthias Sammer è nato nella Dresda degli anni ’60, nella quale il calcio non aveva ancora assunto un ruolo centrale come sarebbe stato soltanto qualche anno dopo. Il presidente della Dynamo Dresda era Erich Mielke, nientemeno che il capo della Stasi, il Ministero per la Sicurezza di Stato. I giocatori non erano professionisti, ma ‘dilettanti di stato’. Klaus Sammer, difensore, era uno dei pilastri della squadra di Mielke, faceva parte anche della nazionale. Matthias, nato nel 1967, ha ripercorso le orme del papà, entrando nella Dynamo a nove anni, fino ad arrivare alla prima squadra a 18 anni. La Dynamo era diventata una potenza, quasi quando la Dynamo Berlino, altra squadra di fatto legata al regime.
Essere parte della Dynamo implicava anche avere obblighi politico-sociali, come ad esempio l’adesione al Partito Socialista Nazionale (la SED). Papà Klaus non ne voleva sapere. Per questo non ha potuto prendere parte alle Olimpiadi del 1972. Erano gli anni dei sospetti del doping di stato, gli anni in cui la Germania Est era una vera e propria potenza sportiva. Nel 1986, agli inizi della sua carriera, Matthias è entrato a far parte del reggimento di guardia "Feliks Dzierzynski” della Stasi. Non implicava un servizio attivo costante, ma di fatto ti rendeva un membro.
"Non ho mai dovuto spiare nessuno, mai visto un'arma e mai partecipato a un’esercitazione. Non avevamo scelta. C’erano dei vincoli ai quali non potevi sottrarti - ha raccontato Matthias Sammer alla ‘Bild’ nel 2017 - I giocatori della Dynamo sotto Mielke erano regolarmente affiliati a un reggimento subordinato alla Stasi, quindi se volevi giocare dovevi accettare di farne parte. Era anche un modo per sfuggire al servizio militare attivo. Se avessi rifiutato, avrei dovuto entrare nell’esercito e avrei dovuto mollare la Dynamo”.
A Dresda Sammer si è subito imposto come uno dei migliori talenti in circolazione. Ha esordito nemmeno diciottenne, giocando 8 minuti da subentrato contro il Magdeburgo. A farlo debuttare è stato papà Klaus, che nel frattempo era diventato anche allenatore della prima squadra della Dynamo. Lo ha fatto giocare da attaccante. Partita dopo partita, avrebbe arretrato la sua posizione.
La famiglia Sammer può vantare anche un altro singolare primato. Sia padre che figlio hanno giocato in nazionale, un onore condiviso con pochissime altre ‘dinastie’: Jakob Bernard e il figlio Robert all’inizio del secolo scorso; Herbert Burdenski negli anni ’40 e il figlio Dieter una trentina d’anni dopo; Friedrich Dörfel e il figlio Gert, contemporanei dei Burdenski; L’attaccante Martin Max a cavallo dei 2000 e il figlio Philipp, terzino attualmente in forza al PSV Eindhoven.
Nella nazionale della DDR anche Matthias ci è arrivato molto presto. Seppur per pochi anni, ne è stato un simbolo e ne ha scritto la storia: è stato persino il capitano dell’ultima partita ufficiale della Germania Est, nel 1990, contro il Belgio. Partita vinta 0-2 grazie a una sua doppietta.
Pochi mesi prima era invece stato il secondo giocatore a passare a un club dell’ovest, lo Stoccarda, dopo Ulf Kirsten, che invece era stato preso dal Leverkusen. La stessa estate in cui la Germania Ovest vinceva il Mondiale.
GERMANIA, ITALIA, GERMANIA, PALLONE D’ORO: UNA CARRIERA BREVE, MA INTENSA
Già nello Stoccarda Sammer aveva mostrato tutto il suo talento, tanto che l’Inter aveva deciso di portarlo a Milano dopo una sola stagione. Nel 1991 lo acquistò, ma decise di lasciarlo un anno in Germania perché i tre posti di stranieri erano già occupati. Peraltro, da tre suoi compaesani: Jürgen Klinsmann, Lothar Matthäus e Andreas Brehme. Anche la loro presenza era stata decisiva.
“Sono certo che Matthaus mi aiuterà a conoscere la nuova realtà italiana".
Peccato che, quando Sammer arrivò a Milano nel 1992, l’inter dei Panzer era finita. Matthäus al Bayern, Klinsmann al Monaco e Brehme al Saragozza. Venduti nella stessa estate. Una pessima partenza. E una pessima esperienza. 4 goal in 11 presenze, ma non si trovava a suo agio in campo. L’allenatore Osvaldo Bagnoli era infastidito dal fatto che ogni tanto partisse in avanti, anche se lui lo voleva come regista. Sammer si sentiva un trequartista. Anzi, si sentiva un libero.
I veri problemi però erano fuori dal campo. Non parlava altre lingue se non il tedesco. E la moglie stava peggio di lui. Vivevano sul lago di Como, a pochi passi da Milano. Ma si diceva che non avessero mai disfatto le valigie. Che gli armadi fossero vuoti. A gennaio chiese al patron Pellegrini la cessione. “Era impossibile fargli cambiare idea”, disse Bagnoli. Per 9 miliardi di lire tornò in Germania, al Borussia Dortmund.
Getty ImagesAnche in giallonero ha iniziato da centrocampista, poi Hitzfeld gli ha cucito addosso il ruolo di libero e gli ha cambiato la carriera. È diventato il miglior giocatore tedesco dell’anno nel 1995 e 1996, vincendo in entrambi i casi la Bundesliga.
Il picco arriva a Euro 96. Lo vince da protagonista. Il CT Berti Vogts aveva fatto fuori Matthäus, una scelta assolutamente impopolare, ma il suo libero era Sammer. Che poi è stato decisivo. Ed è stato votato miglior giocatore del torneo. Goal decisivi, giocate vincenti, leadership. Aveva una marcia in più. E la critica lo aveva riconosciuto: Pallone d’Oro nello stesso anno. 144 voti, tre in più di Ronaldo. C’erano anche Del Piero e Shearer a contenderglielo. Vinse lui. Un titolo contestato in tutta Europa.
Nell’anno successivo ha completato un palmares da sogno vincendo la Champions League in finale contro la Juventus. Il finale perfetto. Anche se prematuro. A 30 anni.
IL RITIRO PREMATURO E IL POST CARRIERA
L’ultima partita di Matthias Sammer è stata il 4 ottobre del 1997. A 30 anni. Ovviamente giocava nel Borussia Dortmund, ne era un perno. Non sapeva e non immaginava sarebbe stata l’ultima. Tutta colpa di un batterio, il cui nome scientifico è Staphylococcus aureus, resistente alla meticillina.
Il 13 ottobre 1997 era stato operato al ginocchio a Berlino. Un intervento di routine, ma il post fu tremendamente complicato. Dolori, febbre, gonfiori.
"I medici parlarono con mia moglie e le diedero poche speranze, la prepararono al peggio - ha raccontato a ‘Die Zeit’ - Me lo ha raccontato molto più tardi. C’era pochissima possibilità che tutto tornasse come prima. Gli antibiotici non avevano effetto. L’ultima medicina mi salvò la vita. Avrei potuto continuare a giocare per altri 4-5 anni. Adesso non posso nemmeno correre con i miei figli”.
La lontananza dal calcio fortunatamente è durata poco. Nel 2000 è diventato allenatore del Borussia Dortmund, prima affiancando il leggendario Udo Lattek e poi guidando la squadra da capo tecnico. Nel 2002 a 34 anni è diventato campione di Germania con il BVB - uno dei pochissimi ad aver vinto la Bundesliga da giocatore e allenatore insieme a Magath, Beckenbauer, Heynckes, Schaaf, Benthaus e Kovac - arrivando anche fino alla finale di UEFA, persa col Feyenoord. All’amaro addio del 2004, con il club che vedeva già l’orlo del baratro del fallimento, ha fatto seguito passaggio a Stoccarda durato solo un anno. L’ultima esperienza da allenatore.
Getty ImagesNel febbraio 2006 è diventato Direttore Sportivo della nazionale tedesca, un ruolo creato su idea dal CT Klinsmann, che però non desiderava fosse Sammer a occuparlo, visto che qualcuno lo vedeva già come suo successore. Non lo è mai diventato: è rimasto dietro una scrivania. Poi il passaggio al Bayern Monaco nel ruolo di DS nel 2012 adirò tutta Dortmund, compresa la dirigenza, con cui ebbe rapporti molto tesi. Si dice che fosse stato lui l’uomo chiave per arrivare a Guardiola. Quattro anni dopo ha lasciato per motivi di salute - un lieve ictus - e da allora ha sempre escluso un ritorno in un ruolo pienamente operativo. Oggi è consulente del Dortmund, il club più importante della sua carriera. Quello con cui è stato più in alto.




