Chivu moglieGetty/GOAL

Chivu, l'infortunio alla testa ed i farmaci: "I miei compagni temevano che picchiassi mia moglie"

Christian Chivu oggi allena la Primavera dell'Inter, ma la sua carriera da calciatore è stata funestata da un gravissimo infortunio subito proprio quando indossava la maglia nerazzurra.

Durante una gara contro il Chievo, infatti, il difensore rumeno subì la frattura del cranio che lo obbligò a un lunghissimo stop prima del ritorno in campo rigorosamente con una maschera protettiva alla testa.

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Chivu, intervistato da 'Sportitalia' per la rubrica 'Mister si nasce', ha svelato alcuni retroscena di quel periodo davvero difficile. In campo e fuori.

"Dopo due mesi e mezzo ero in campo, con tutte le mie paure e incertezze del caso. Giocando soffrivo soprattutto nel colpo di testa. Tutto ciò che ho dovuto subire dopo con tutte le medicine che prendevo mi avevano portato a fare delle cose che non appartenevamo a me. Come i gesti osceni fatti dopo la partita di Coppa a Roma, il pugno a Marco Rossi, la litigata con Rafa Benitez. Nessuno però sa che prendevo delle medicine che mi toglievano i filtri. Mi ricordo che i miei compagni chiamavano a casa mia moglie e le chiedevano se tutto fosse apposto. Se io a casa ero aggressivo, se mettevo le mani addosso. Questo ci tengo molto a chiarirlo, perché  poi vengo giudicato per uno che è andato a Roma a fare quei gesti osceni nonostante abbia chiesto scusa. Il pugno a Marco Rossi è stato come un primo istinto animale, ma c'è un perché: dintoina. Avrei dovuto prenderli per due mesi, ma li ho portati avanti per nove mesi. Ci tenevo a dirlo".

L'ex difensore però vede il bicchiere mezzo pieno, sottolineando come le cose sarebbero potute andare anche molto peggio rispetto a quanto accaduto.

"Non è stato un momento facile da gestire. Poteva finire tutto, ma nella sfortuna, sono stato fortunato. Ci è mancato poco e non sarei riuscito più a parlare o a muovere la parte sinistra del mio corpo. I giorni di convalescenza, le mille domande che mi facevo, l'incertezza di non essere più un calciatore professionista, ma con la fortuna di essere ancora un uomo normale. Mettevo sulla bilancia le due cose, per fortuna sono ancora qua". 
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