C'è stato un tempo in cui la Lazio dettava legge. Una calamita per anime ricche di talento e non di talenti persi a caccia di rinascita. C'era un tempo in cui il denaro scorreva a fiumi e alcune delle più grandi stelle, anche reduci dalle nomination al Pallone d'Oro, finivano sorridenti e decise a volare con l'Aquila negli anni seguenti. Era la fine degli anni '90. E fu sera e fu mattina, inizio anni 2000. Non stagioni irripetibili, ma difficilmente avvicinabili. E tra un Mendieta e un Crespo, Claudio Lopez.
Per chi era ragazzino in quegli anni, Lopez non può non essere accostato ad aggettivi come letale, cecchino et bla bla bla. Tutto vero, però, e non si parla solo di nostalgia. Perché El Piojo , Il Pidocchio, era allo stesso tempo killer e ninja, sgusciante da una parte all'altra, una vita al massimo e senza rimpianti. Una vita da nomade, da chi sa afferrare il destino e le opportunità per evitare di guardare al passato con rimorsi e dubbi.
Eppure la vita calcistica di Claudio Lopez è spesso stata un gradino sotto la gloria eterna, film cult più che capolavoro. Ricordato sì, ma non come uno dei più grandi attaccanti di sempre. Perchè sì i goal, sì gli assist e qualche trofeo qua e là, ma il grosso delle competizioni che poteva raggiungere non è mai stato agguantato, tenendolo ad un livello leggermente più basso.
Non era un centravanti, ma una seconda punta capace di raggiungere i venti goal o magari spesso avvicinarsi sensibilmente, a differenza di molti colleghi prime punte che per anni, nascosti dal grado di torre e dal lavoro sporco non hanno mai raggiunto i suoi numeri, che parlano di più di 200 reti ufficiali in Europa, in centro-America, nel suo caliente Sudamerica lasciato a 22 anni prima di tornarci da uomo, esperto e consapevole di come va il mondo del calcio.
Come per tante persone, il 2000 ha rappresentato un punto di svolta per svariati motivi. Lui, Claudio Lopez, arriva in finale di Champions League con la maglia del Valencia, squadra con la quale segnerà 72 reti prima dell'approdo in Serie A. La sua fame è lì, pronta a sbranare il Real Madrid. Ma i Blancos sanno come muoversi in Europa, più di tutti. E i Pipistrelli volenti o nolenti sono costretti a rintanarsi, mentre l'argentino parte per nuovi lidi.
Lido Roma, sbarca a Fiumicino come uno dei tanti grandi di quell'era. Inebriata dalla Liga, la società biancoceleste acquista anche Claudio Lopez, nell'anno immediatamente successivo all'ultimo Scudetto vinto. Ci si aspetta tanto per forza di cose da lui, ma delude in una Serie A senza reti. Senza però deludere i tifosi. E come? Facendo la voce grossa in Champions League.
YoutubePerché sì, Claudio Lopez è a zero in campionato, ma a cinque goal in Champions. Preso per l'Europa, ha un buon bottino di reti guardando i dati, ma in realtà non è mai così decisivo, segnando una tripletta allo Shakhtar, altre due marcature sparse che portano i tifosi a vedere in lui un evento raro su cui esultare, senza mai volerlo realmente male. Perché saprà rifarsi.
Le due annate successive sono a testa alta, con due doppie cifre in Serie A, due qualificazioni europee, cori e magliette in giro per l'Olimpico con quel cognome quasi così banale da essere vero. Non è banale la sua foga dopo il goal, la sua foga per recuperare la palla e renderla sua, così come la volontà di segnare sempre e comunque, insieme all'amico e connazionale Crespo. Mai fuoriclasse, ma campione ad insinuarsi sì, pidocchio impossibile da levare per i suoi avversari.
La sua era laziale si concluderà con 40 reti in 144 partite, quasi in slow motion. Perché breve e lento sembra il periodo di Claudio Lopez in città, nonostante in realtà sia stato di cinque anni, importante e mai dimenticato. Non si è guardato indietro con nostalgia però, scegliendo l'America, inteso come club, e il Centro-America, inteso come continente ad ovest del globo. Poi giù in Argentina e su negli Stati Uniti, in marcia, velocemente.
Veloce come la sua nuova vita, a bordo di una macchina da corsa, un Lopez-rally reinventato che appesi gli scarpini al chiodo per un triennio vuole solo correre e divertirsi, con somma disciplina sempre e comunque:
"Questa mia incursione nel mondo del rally è nata dalla mia amicizia con Marcos Ligato. Con lui ho trascorso molto tempo quando ho vissuto in Italia ai tempi della Lazio. Quando sono tornato in Argentina ho sempre desiderato salire a bordo di una macchina da corsa, così ho deciso di comprarne una. Inizialmente era solo un hobby, ma poi mi sono ritrovato a debuttare nella mia città nativa di Rio Tercero e alla fine ho deciso di gareggiare regolarmente".
Claudio Lopez prende confidenza con la velocità, sa quando premere sull'acceleratore per scattare in maniera decisiva oppure quando aspettare, come sul filo del fuorigioco ai tempi della Lazio. Ride, consapevole di come sia diverso, ma simile. Uguale, ma mai opposto:
"Ho sempre giocato a calcio per tutta la mia vita. Il calcio è la mia vita ma la condizione fisica non è più come una volta e ciò mi ha portato a smettere. Adesso però con le corse ho trovato un’altra “famiglia”, mi diverto e sento l’affetto della gente. Ovunque andiamo siamo sempre trattati bene".
Da hobby e passione a lavoro vero e proprio, prima che ridiventi tale, idea del weekend con la quale confrontarsi al momento opportuno. Perché nel 2015 Claudio Lopez torna nel calcio, nel Colorado, nei suoi vecchi Rapids. Diventa direttore sportivo e scopre un'altra vita calcistica, senza scarpette, ma contratto e penna in mano.
Tutto quello che ha un inizio ha anche una fine, e dopo la carriera dirigenziale, tra una partita di pallone in tv e una corsa con la sua macchina preferita, si ricicla come osservatore per diversi club della MLS. Rapido, prima degli altri. Come in campo, come sulla terra, tra gli alberi. O tra l'erbetta: sempre a cento all'ora tra sogni e realtà.


