"I giocatori di talento devono dosare le forze, perché altrimenti la fatica annebbia le idee" - Claudio Borghi a 'Il Corriere della Sera'
Aveva senza dubbio un talento ammaliante, Claudio Borghi. L'argentino, di origini lombarde da parte di padre, era dotato di una tecnica sopraffina, e quando era in giornata, faceva stropicciare gli occhi ai tifosi con il suo bagaglio di giocate e gli assist spettacolari per i compagni.
Esploso nell'Argentinos Juniors, si mette in mostra nella finale di Coppa Intercontinentale contro la Juventus, laureandosi poi Campione del Mondo nel 1986 con l'Argentina.
"Il pallone per lui era la naturale appendice delle gambe",dirà il suo giovane compagno di squadra Fernando Redondo.
Silvio Berlusconi, da sempre grande estimatore dei giocatori di qualità, lo porta al Milan, strappandolo alla concorrenza della Juventus. Giunto in Italia, però, dimostrerà anche grossi difetti: la tendenza a portar troppo palla e la scarsa propensione al sacrificio per la squadra e al dinamismo in campo, tanto da inscenare epici litigi con il suo allenatore Arrigo Sacchi.
Dopo una stagione mediocre in prestito al Como, tornato a Milanello, alla fine 'Il Profeta di Fusignano' gli preferirà Frank Rijkaard, dando vita ad uno storico trio di stranieri con Gullit e Van Basten che farà la fortuna della squadra rossonera. Borghi, invece, tenterà la fortuna in Svizzera con il Neuchatel Xamax e in vari Paesi sudamericani, dal Brasile al Cile, ritrovando un buon rendimento soltanto con la maglia del Colo Colo.
Ritiratosi nel 1998, e intrapresa la carriera di allenatore, ottiene buoni risultati in Cile, ancora con il Colo Colo, e in patria con le Formiche rosse, e riabilitando, in parte, i concetti e le idee del suo vecchio allenatore in rossonero.
GRANDE PROMESSA CON l'ARGENTINOS JUNIORS
Claudio Daniel Borghi Pidos nasce a Castelar, in provincia di Buenos Aires, in Argentina, il 28 settembre 1964. La sua è una famiglia numerosa: Claudio ha otto fratelli e la perdita prematura del padre lo costringe da giovane a mettersi a lavorare per portare qualche soldino alla sua famiglia.
Svolge diversi mestieri, fra cui l'impiego in una fabbrica di gabbie per uccellini, e ha un'infanzia dura. È aiutato però dalla fede: Claudio diventa infatti mormone, religione che gli vieta di fumare, bere alcolici e avere rapporti sessuali prematrimoniali.
Coltiva la passione per il calcio, sport nel quale si impone fin da giovanissimo come grande talento: i suoi mezzi tecnici superiori alla media gli ritagliano attorno il ruolo di grande promessa dell'Argentinos Juniors, la squadra con cui si forma e approda in Prima squadra nel 1981, all'età di 17 anni.
Con le Formiche rosse Borghi, che gioca prevalentemente da rifinitore puro sulla trequarti o come seconda punta, si consacra verso la metà degli anni Ottanta. Ancora molto giovane, conquista due campionati argentini, il Metropolitano nel 1984 e il Nacional nel 1985. In patria è inevitabile l'appellativo di'erede di Maradona',visto che Diego, prima di lui, aveva fatto magie con la maglia biancorossa.
Sulle spalle ha il numero nove, ma è più un centrocampista offensivo abile nella costruzione del gioco che un vero attaccante. La Copa Libertadores 1985 è il suo terreno di conquista: Borghi dà saggio delle sue giocate d'alta scuola, in particolare la rabona, che, dirà, effettuava perché non sapeva calciare con il sinistro.
Giocando sulla trequarti, è il regista avanzato della squadra, detta i tempi della manovra offensiva e trova spazi e traiettorie geometriche per i suoi passaggi che altri nemmeno vedono. Tutti restano stupiti della sua classe, che contribuisce non poco alla vittoria della Copa da parte dell'Argentinos Juniors, che in finale ha la meglio sui colombiani dell'America di Cali, prevalendo ai calci di rigore dopo 3 combattute partite.
Borghi è fra i rigoristi e trasforma con freddezza il 4° penalty. Grazie a quel successo la squadra argentina si guadagna la possibilità di giocarsi la Coppa Intercontinentale contro i campioni d'Europa della Juventus.
Nonostante il terreno dello Stadio Nazionale di Tokyo sia molto pesante, e diversi sudamericani soffrano l'inverno rigido del Giappone, Borghi l'8 dicembre 1985 dipinge calcio. Bonini e Manfredonia fanno una fatica immane a contenerlo, e la partita, anche per il goal spettacolare annullato a Platini, va ai supplementari e si conclude sul 2-2.
Ancora una volta sono i rigori a decidere il vincitore: stavolta la lotteria premia i bianconeri, più lucidi dagli 11 metri. Sbaglia il danese Laudrup, ma gli argentini falliscono due penalty con Batista e Pavoni e al fischio finale sono gli italiani ad esultare.
Michel Platini è premiato come 'Miglior giocatore', ma negli occhi di tutti resta impressa la prestazione del ventunenne Borghi, che viene incoronato dallo stesso 'Le Roi':
"È il Picasso del calcio", dichiara sicuro il numero 10 francese.
GettyCAMPIONE DEL MONDO CON L'ARGENTINA
Le ottime prestazioni con l'Argentinos Juniors fanno guadagnare a Borghi anche la chiamata del Ct. Carlos Bilardo nella Nazionale argentina. Il fantasista debutta il 26 marzo 1986 nell'amichevole persa 2-0 contro la Francia. Gioca titolare in attacco accanto a Valdano, con Maradona alle loro spalle ad inventare.
Nella seconda partita, contro Israele, terminata in goleada per l'Albiceleste (7-2), imprime il suo primo e unico sigillo con la maglia della Selección. È inserito fra i 22 che disputano i Mondiali di Messico 1986, in una rosa in cui può essere impiegato da vice-Maradona e da seconda punta.
Parte titolare contro l'Italia di Bearzot (1-1) e gioca un tempo contro la Bulgaria, prima di lasciar spazio ad Henrique e assistere dalla panchina al trionfo mondiale dei compagni, trascinati dal 'Pibe de Oro'.
In tutto la sua carriera internazionale lo vedrà collezionare 9 presenze e un goal con l'Argentina.
DA 'PICASSO' A BIDONE IN ITALIA
Borghi disputa con l'Argentinos Juniors anche la stagione 1986/87 ma ormai è chiaro a tutti che l'Europa e l'Italia lo attendono. L'Avvocato Agnelli, dopo l'addio di Platini, pensa a lui come erede di Michel, ma ad aggiudicarsi il cartellino del fantastista argentino, strappandolo alla Vecchia Signora, è Silvio Berlusconi, nuovo presidente del Milan, letteralmente rimasto estasiato dalle giocate di Borghi.
Il patron rossonero sborsa 3 miliardi e mezzo di Lire, il doppio di quanto pagherà Van Basten, per portare a Milano il giocatore dell'Argentinos Juniors. La sua campagna acquisti vede anche l'acquisto di Ruud Gullit per 13 miliardi e mezzo e del Cigno di Utrecht.
Con Borghi, Rijkaard in campo per 2 gare, in prestito dallo Sporting, e successivamente Wilkins, all'addio al club rossonero, nonché con Gullit e Van Basten in tribuna,guidati in panchina da Fabio Capello, i rossoneri affrontano e vincono nel giugno del 1987 il Mundialito Club, il primo trofeo della lunga storia di Berlusconi presidente rossonero.
Borghi delizia il pubblico di San Siro con le sue giocate, va a segno contro il Porto e nel derby pareggiato 0-0 con l'Inter di Trapattoni dà vita ad uno spigoloso duello con il capitano nerazzurro Beppe Baresi, fatto di falli ed interventi duri. Il 29 giugno la vittoria di misura sul Barcellona, decisa da un rigore di Virdis, fa esultare la squadra milanese e il nuovo acquisto argentino è premiato come miglior giocatore del torneo.
Berlusconi è entusiasta di lui e ai microfoni dei giornalisti non nasconde l'apprezzamento verso il giocatore argentino.
"Ha fatto vedere più lui in queste partite che il Milan in tutta la passata stagione", afferma.
Ma in tribuna c'è un'altra persona che osserva: è Arrigo Sacchi, tecnico alla sua prima esperienza in Serie A, che predica un calcio offensivo ma anche molto tattico e rigido negli schemi. L'argentino soffre la preparazione dura imposta dal 'Profeta di Fusignano', e il suo caratterino fa il resto.
Il fantasista si permette di rispondere e controbattere al suo allenatore:
"Mister, perché dobbiamo correre 5 chilometri se il campo è lungo 100 metri?", gli chiede, facendolo infuriare.
Nel giro di poche settimane, Borghi si ritrova così da potenziale stella della squadra ad esubero: possono andare in campo del resto solo due stranieri e Gullit e Van Basten non si discutono. Seppure a malincuore, Berlusconi deve così cedere in prestito il suo pupillo.
"Quando arrivai al Milan - spiegherà a 'Gianlucadimarzio.com' - mi dissero che se avessi giocato bene il Mundialito sarei rimasto. L'ho fatto e venni nominato miglior giocatore del torneo. Sacchi però fece benissimo con Gullit e Van Basten: mi sono trovato a competere con due grandi campioni e quindi sono dovuto andare via".
Si fa avanti la Sampdoria di Paolo Mantovani, ma il Cavaliere non vuole rafforzare una diretta concorrente per il titolo. Così alla fine si opta per il Como, piccolo club lombardo che punta in primo luogo alla salvezza. Il calciatore si trasferisce in un appartamento in riva al Lago con sua moglie Mariana Pagnucco, argentina ma anche con antenati di Udine. Le cose non vanno però come Borghi aveva sperato.
L'argentino si intristice, in una squadra che prima di costruire pensa a distruggere il gioco avversario. Con Aldo Agroppi prima, e Tarcisio Burgnich poi, le cose per il fantasista non vanno come lui aveva sperato. Debutta in coppia con Borgonovo nel derby lombardo contro l'Inter, giocando un buon primo tempo, impreziosito dal suo pezzo forte, la 'rabona', con cui fa sobbalzare il pubblico del Sinigaglia.
Va ancora in campo dal 1' nelle successive sfide contro Fiorentina e Sampdoria, ma i lariani rimediano solo un punto con i viola. Troppo poco per Agroppi, che individua nella scarso spirito di sacrificio dell'argentino una delle cause. Lo rimpiazza quindi nell'undici titolare con il giovane talento Egidio Notaristefano e lo mette in naftalina fra i panchinari.
Il tecnico di Piombino prova a rilanciarlo fra dicembre e gennaio, ma ormai il fantasista ha perso fiducia nei propri mezzi. La società cambia allenatore e affida la panchina a Burgnich, che inizialmente testa Borghi salvo poi, dopo alcune prove negative, chiudergli definitivamente la porta. Il Como si salverà, piazzandosi 11° a fine campionato, lui si consola con impegnative letture: da Sartre ad Herman Hesse, passando per i tanti autori latinoamericani.
Ma in campo per Borghi la stagione 1987/88 è disastrosa con 10 presenze, di cui 7 in campionato e 3 in Coppa Italia,e zero reti. Da potenziale stella all'improvviso il fantasista argentino si sente addosso la pesante etichetta del 'bidone'.
"A Como non ebbi fortuna, mi toccarono Agroppi e Burgnich: l’anticalcio. - dichiarerà a 'Il Corriere della Sera' - Ti dicevano solo quello che non dovevi fare in campo, ma non quello che dovevi fare. Dei quattro mister che ho avuto in Italia il rapporto migliore è stato quello con Capello: mi parlava tanto, credeva in me. Forse, se fosse rimasto al Milan, la mia storia sarebbe stata diversa. Come anche se fosse andato in porto il prestito alla Samp di Vialli e Mancini. Il presidente Mantovani mi voleva, Berlusconi preferì girarmi al Como per non rinforzare una diretta concorrente".
Borghi torna così al Milan, proprietario del suo cartellino, e l'allargamento a tre del numero degli stranieri tesserabili dai club italiani alimenta in lui nuove speranze di sfondare in rossonero nonostante l'annata no. L'occasione per mettersi in mostra gli viene data nuovamente in amichevole a maggio, dopo la fine del campionato.
Il 17 maggio 1988 Borghi è autore di una super prestazione contro il Manchester United: in un tridente da sogno con Gullit e Van Basten l'argentino dà spettacolo segnando una doppietta nel 3-2 finale per i milanesi. Due giorni dopo entra al posto di Donadoni e segna l'1-1 contro il Real Madrid, gara poi vinta grazie ad una rete di Gullit.
Il talento c'è ancora. Berlusconi gongola, e già immagina il super tridente. "Tanti mi invitano a tenerlo", rivela il Cavaliere ai giornalisti.
Ma Sacchi la pensa diversamente e si impunta: vuole Rijkaard o minaccia le dimissioni, nonostante l'acquisto dallo Sporting sia tutt'altro che semplice. Braida e Galliani riusciranno a comprare il centrocampista e ancora una volta sarà Borghi a salutare, stavolta definitivamente.
"Il mio procuratore di allora, Felix Latronico, - rivelerà il giocatore - mi diceva a proposito di Sacchi: 'Dagli ragione, cerca di essere un po’ più ruffiano, impegnati qualche settimana, intanto noi abbiamo l’appoggio del presidente…'. Ma un rapporto così, fondato sulla falsità, dove avrebbe portato? E poi siamo sicuri che con Borghi il Milan avrebbe vinto tutto quello che ha vinto senza?".

L'ETERNO INCOMPIUTO E IL LUNGO PEREGRINARE
L'arrivo di Frank Rijkaard chiude definitivamente le porte del Milan al fantasista argentino Claudio Borghi. Lo sfortunato sudamericano è girato in prestito agli svizzeri del Neuchatel Xamax, dopo che su di lui c'era stato un timido interesse della Roma.
L'anno seguente fa ritorno in Sudamerica, per giocare, ancora a titolo temporaneo, con il River Plate. Borghi inizia a girare tante squadre e gioca in diversi Paesi: in Brasile con il Flamengo, incrociando anche Zico, poi di nuovo in patria con Independiente, Unión de Santa Fe e Huracán.
Qui, fra i suoi compagni c'è anche un certo Hector Cuper, il quale, vedendo la discreta abilità di Borghi sulle palle alte, gli chiederà:
"Claudio, perché in partita non vai mai a saltare sui corner?". Immediata la replica: "Perché a me piace giocare a calcio con i piedi".
Solo nel 1992, divenuto proprietario del suo cartellino per gentile concessione del suo estimatore Berlusconi, il fantasista si trasferisce in Cile, dove con il Colo Colo ritrova a sprazzi i lampi di classe che ne avevano caratterizzato la gioventù.
Vince la Coppa Interamericana e la Recopa Sudamericana, quelli che saranno gli ultimi trofei di una carriera da grande incompiuto. Il suo lungo peregrinare calcistico senza meta proseguirà in patria con il Platense, in Messico con il Correcaminos UAT e nuovamente in Cile con O'Higgins, Audax Italiano e Santiago Wanderers.
Al termine della stagione 1997/98, dopo un infortunio, decide di ritirarsi.
"Ho girato il Sudamerica giocando in squadre prestigiose, - dirà a 'Il Corriere della Sera' - come Flamengo, River Plate e Colo Colo. A 34 anni ho dovuto smettere per un ginocchio che si è messo di traverso".
TélamBORGHI ALLENATORE FRA CILE E ARGENTINA
Smessi i panni del calciatore, Borghi si è stabilito in pianta stabile a Santiago del Cile, dove vive ancora oggi con sua moglie Mariana e i suoi due figli, il primogenito Dominique e Filippo, il più piccolo.
"L'ho chiamato così per Galli, mi stava simpatico", rivelerà.
Inizialmente prova a fare il procuratore, ma si rende conto che non è la sua strada. Nei primi anni Duemila ha intrapreso quindi la carriera da calciatore, ottenendo discreti risultati. Dopo una prima esperienza con l'Audax Italiano, è ancora con il Colo Colo che dal 2006 al 2008 vince 2 campionati (Apertura e Clausura) e giunge in finale della Copa Sudamericana.
Il suo modulo preferito è il 3-4-2-1 e nel 2010 passa alla guida del Boca Juniors, lasciando tuttavia l'incarico dopo la sconfitta nel Superclasico con il River. Nel 2011 subentra a Marcelo Bielsa come Ct. del Cile, ma prima è squalificato per 5 gare dopo un aspro diverbio con l'arbitro di Venezuela-Cile, poi l'anno seguente è esonerato dopo un k.o. per 1-3 contro la Serbia.
A fine 2013 riabbraccia l'Argentinos Juniors, il club dove tutto era cominciato, per salvarlo dalla retrocessione. Nel 2014 però si dimette, e nel 2016 intraprende l'ultima avventura da tecnico con l'LDU di Quito. Anche in questo caso l'esperienza è piuttosto breve: pochi mesi e arrivano le nuove dimissioni dopo un pesante k.o. per 5-0 in Copa Libertadores.
In Cile è anche stato titolare, insieme ad un altro carneade della Serie A, Hugo Rubio, di una cattedra presso l'Università Cattolica di Santiago, dove ha insegnato calcio, storia, moduli e regole.
Il suo grande rimpianto resta non esser riuscito a sfondare in Italia negli anni più importanti della sua carriera.
"Diciamo che mi ha danneggiato l’etichetta di 'erede di Maradona'. - sosterrà - Io Diego l’ho visto da vicino perché giocavamo nella stessa squadra, l’Argentinos Juniors. Impossibile trovargli un erede".
Dopo aver fatto l'allenatore, negli ultimi tempi ha parzialmente riabilitato la figura di Arrigo Sacchi.
"Sacchi me lo ricordo bene. - assicura a 'La Gazzetta dello Sport' - Faceva il suo lavoro, vinse lo Scudetto, ma io non volevo restare fuori. Io Borghi calciatore lo avrei fatto giocare. Di Sacchi mi piaceva che fosse poco italiano, che non pensava a difendersi ma preferiva attaccare".
"Il calcio è strano. - conclude - Per me litigarono Juve e Milan, l’Avvocato e il Dottore. Il Milan mi ha riempito di soldi ma io in rossonero non ho mai giocato una partita ufficiale. La Juve, invece, che cercava l’erede di Platini fu costretta a comprare un giocatore di cui non ricordo il nome".
Il nome era Marino Magrin... ma questa è un'altra storia.



