Il 'goal dell’ex' è una formula che, in un calcio in cui è sempre calciomercato, va perdendo via via di significato.
Tra prestiti, recompre e logiche di bilancio, assistiamo ogni anno a calciatori che affrontano due o più squadre che hanno fatto parte del loro passato.
Più ex ci sono, più è probabile che queste ultime vengano “punite” da un goal di un calciatore, andando dunque a svuotare di emozionalità il momento in cui si segna.
C’è chi sceglie di non esultare, a volte in maniera anche estremizzando il concetto, e chi non si fa problemi a manifestare la sua gioia di fronte agli occhi dei suoi vecchi tifosi.
Ora, immaginate per qualche istante di essere un calciatore. Giusto il tempo che serve a scorrere le righe di questo pezzo.
Come reagireste qualora segnaste alla squadra in cui avete trascorso dieci anni della vostra vita e con la quale avete vinto e sofferto insieme?
Facciamo un discreto salto indietro nel tempo e vediamo come ha vissuto questa esperienza una delle leggende del calcio italiano a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila.
È il 26 novembre del 2000. Pochi mesi prima, in un torrido pomeriggio di agosto, il pubblico romanista ha accolto gremendo gli spalti dell’Olimpico quello che è stato senza dubbio il colpo più importante del calciomercato estivo: Gabriel Omar Batistuta.
Per consegnarlo a Capello, il presidente Franco Sensi versò 70 miliardi di lire nelle casse di una Fiorentina che dopo un decennio da protagonista iniziava a sentire gli scricchiolii e vedere le prime crepe dell’impero di Cecchi Gori.
L’intesa tra Batistuta e la Roma viene trovata sulla base di un unico obiettivo che accomuna le due parti: vincere finalmente lo Scudetto.
Il destino mette subito di fronte Bati e la Fiorentina, all’ottava giornata. La partita è difficile, bloccata e sembra avviata a un pareggio senza reti che frenerebbe le ambizioni di vertice della squadra di Capello.
Sembra, appunto. Perché a sette minuti dal termine, Batistuta riceve al volo un pallone da Gianni Guigou dopo un aggancio tutt’altro che preciso di Antonio Carlos Zago.
L’argentino fa rimbalzare una sola volta il pallone e, sentito il fiato sul collo di Fabio Rossitto, senza pensarci su due volte lascia partire un destro potente dalla distanza.
Il pallone prende una traiettoria da problema da libro di matematica e supera in altezza Francesco Toldo terminando in fondo alla rete.
Nello stesso istante, tutti e 66mila presenti all’Olimpico lanciano il loro urlo di gioia. Tutti tranne uno, l’autore del goal.
Batistuta viene sommerso dall’abbraccio dei compagni, entusiasti per la rete che consegna tre punti insperati fino a pochi secondi prima.
Nessuno sa bene che cosa passa per la testa dell’argentino in quel momento. Ma ci aiuta lui stesso a capirlo, iniziando a piangere per qualche istante.
Francesco Totti, capito il momento, si issa sulle spalle il Re Leone e lo innalza verso la Curva Sud, che ha aspettato invano la corsa di Batistuta sotto la pista di atletica.
Si tratta di un momento cruciale della stagione della Roma e di Batistuta. Da quella partita in poi, la squadra di Capello e l’argentino iniziano a poter credere di poter compiere l’impresa per la quale si sono accordati in estate.
Diversamente però da quanto di solito accade nel perimetro del Raccordo Anulare, l’episodio della rete di Batistuta farà sempre fatica a entrare nel Salone degli Eroi della mitologia romanista.
Questo a causa dell’amore non corrisposto dell’argentino nei confronti del pubblico giallorosso. Malgrado l’amore ricevuto e lo scudetto conquistato insieme, Batistuta non sentirà mai Roma come casa sua e non riuscirà mai a legarsi all’ambiente.
Feeling freddo che lo porta due anni più tardi a lasciare la capitale a parametro zero e andare a giocare all’Inter prima di ritirarsi dopo una breve parentesi esotica.
Ma è pur vero che c'è un unico tipo di amore in grado di reggere a lungo: quello non corrisposto. Ed è probabilmente per questo che Batistuta è stato votato dai tifosi romanisti come membro della Hall of Fame del club.


