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Bogdani, il gigante amato dai tifosi: diviso tra università e calcio

Se spulci i commenti sotto i post social, o qualsiasi richiamo alla carriera di Erjon Bogdani, tutti saranno d'accordo come fossero sotto l'effetto di qualcosa. In toto rilassati, grazie, anche tu e famiglia, complimenti, sono d'accordo, ti stimo. Incredibile nel mondo del calcio, dell'internet. Con l'ex attaccante albanese invece va così, liscio e quasi monotono per chi si scaglia all'interno dei social con la criniera addosso per essere leone, da tastiera. Nelle conversazioni su EB, non c'è discussione negativa che tenga. Ha lasciato buoni ricordi ovunque nella sua decennale carriera di Serie A da Nord a Sud, da Toscana a Veneto, passando per la Campania.

E dire che Bogdani non è mai stato un grande goleador. Non ha trascinato le sue squadre in Europa o in Champions, ma è sempre uscito dal campo dopo aver dato tutto, sponda di nome e gigante di cognome. 191 cm, più di 80 kg, qualcuno con cui difficilmente a che fare. Tiene palla, fa salire la squadra, qualche goal lo mette dentro, ma predilige il tenere su di se tutti, per far segnare gli altri. Lo sanno a Verona, sponda Chievo e dall'altra parte, gialloblù Hellas. Lo sanno a Salerno, ne sono ancora certi a Livorno.

E' cresciuto in maniera consapevole riguardo al mondo, su cosa è giusto e cosa è sbagliato, sul come farsi strada nella vita con eleganza, ma anche inseguendo i suoi sogni. Il padre era un professione di matematica, la madre insegnava storia. Volevano per lui il miglior futuro possibile, in una Tirana non facile in cui essere tirato su. I genitori di Bogdani spingono sin da subito per una laurea, qualcosa che in un paese come l'Albania degli anni '90 può far svoltare. Lui ascolta, tiene la mente sui libri e il cuore sul pallone.

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Bogdani ha un fisico da granatiere e sa giocare al pallone, lo sa lui e lo sua famiglia. Cresce nel Partizani Tirana da quando ha dieci anni e frequenta la scuola dell'obbligo, passando per l'adolescenza e la possibilità di studiare all'università. Vuole far tutto, vuole avere tutto. Non vuole lasciare nulla al caso, pensare a sè stesso e ai suoi desideri, ma anche a quelli del papà,che spinge con garbo e fermezza per la laurea.

A 'Calcio totale', Bogdani ha raccontato di come avesse dovuto mediare tra i due mondi, che difficilmente - con qualche eccezione a confermare la regola - si incontrano.

"I miei con me e mio fratello gemello sono stati subito chiari, a scuola ho sempre avuto un buon rendimento. La passione per il calcio era cosa nota, ma la possibilità di entrare in una scuola calcio nacque un po’ per caso. Papà era tanto rigido e non voleva altre distrazioni, oltre al percorso scolastico".

Bogdani viene notato da ragazzino, ma il padre chiede solo una cosa: se Erjon vuole giocare a calcio e continuare a farlo, deve rigare dritto. Ovvero, testa sui libri e piedi sulla terra. O sul pavimento di casa, per studiare tutte le materie che un giorno gli saranno utili.

Del resto solo uno su tanti (e non su mille) ce la fa, e l'essere professionista è solamente un desiderio inizialmente utopistico. Figurarsi farlo in Italia, in uno dei campionati più importanti del pianeta, il più celebre nella vicina Albania.

A 14 anni Bogdani fatica a scuola, enormemente. E' adolescente, la mente comincia ad essere consapevole del mondo circostante, il corpo subisce cambiamenti. E' in difficoltà e il padre è rigido, severo:

"Papà decise di non farmi più allenare. Ho pregato mio nonno affinché parlasse con lui. Era molto tifoso della squadra dove giocavo e allora riuscì a mediare. Grazie a lui sono tornato ad allenarmi nuovamente con i miei compagni".

Bogdani è talmente promettente che comincia a giocare da professionista in Albania quando ha 16 anni, sempre con il già citato Partizan di Tirana. Ci rimane cinque anni, dove affina le lame, intesi come piedi, ma sopratutto diventa una potenza di fuoco derivante dal cranio, dalla testa, dai colpi in girata che solo uno con quei 190 cm può permettersi. Segna sempre di più e quando raggiunge la doppia cifra viene scelto prima per qualche mese in Turchia, dunque per un biennio in Croazia. Da sud a nord, con l'obiettivo di spostarsi a ovest, in Italia.

BogdaniGetty

A vederlo in quegli anni, sognando con la fantasia, viene da pensare ad un ragazzo possente con i libri nella mano, troppo piccoli per lui, e un pallone sul piede, dentro e fuori l'università. Quella che frequenta a Tirana prima di spostarsi a Zagabria: 

"Per due anni ho seguito le lezioni. Gli altri due no perché ero in Croazia per il calcio. Fortunatamente, in Albania c’era una legge che permetteva ai giocatori albanesi di fare gli esami senza frequentare. Mi sono laureato in Economia e Commercio, quel giorno ho realizzato il sogno di papà. Mi diceva sempre, prima la laurea e poi tutti il resto. Il resto era il calcio. Alla fine ce l’ho fatta, sono contento di averlo reso orgoglioso sia per la scuola che per la mia carriera nel calcio. E io non posso che ringraziarlo".

Realizzato il sogno del padre, Bogani può mettersi l'anima in pace e dare tutto sè stesso per il suo di sogno, quello di giocare da professionista. Dall'alto del suo essere uomo spogliatoio silenzioso, leader derivante dallo studio del calcio e dallo stadio sulla sedia, fermo e attento, i pochi goal segnati a Zagabria non spaventano la Reggina. E' la squadra calabrese a portarlo in Serie A nel gennaio del 2000.

Se un attaccante viene giudicato a primo impatto guardando dati e statistiche, Bogdani in Serie A è spesso stato un flop. Peccato che il calcio non si giochi con undici giocatori che segnano venti goal a stagione e l'attacco deve comprendere il bomber, le ali, il granatiere che tira tutti a sè mentre gli altri si prendono la gloria. Al Granillo ci sono Kallon, Dionigi, Savoldi. E in parte anche lui sfonda la quarta parete per parlare al pubblico, dicendo che anche lui può permettersi di aiutare all'immediata risalita nella massima serie della nel frattempo crollata Reggina. Segna sette reti, contribuisce, sgomita e ritorna. In A.

Bogdani viene però richiamato in B, per evitare di servire il Paradiso e dominare all'Inferno. E poi, perchè chiamare inferno la B? Sono annate in cui i grandi bomber potrebbero essere decisivi anche in A. Si trova bene, benissimo. Quasi si siede sul trono del capocannoniere quando gioca a Verona (un anno dopo Salerno, città da cui arriva sua moglie e con cui ha costruito una famiglia nel corso degli anni), superato solo da habituè come Spinesi, Tavano e sì, Diego Principe Milito. Per lasciar intendere la potenza di fuoco di quella cadetteria.

A Verona si riscopre ragazzino, per l'entusiasmo e il saper segnare con grande continuità come quando era appena maggiorenne, a Tirana. 17 reti in gialloblù e nuovo tentativo in Serie A. Non serve più gli altri, o almeno lo fa e ad alza l'asticella dell'importanta nella massima serie. Finisce in doppia cifra con 11 reti, egugliando le reti dell'amico e compagno di squadra Chiesa, salvando il Siena. Non ne abbiamo parlato prima, nemmeno accennato. Perchè nella città del Palio, Bogdani mette in palio tutto sè stesso. Se tifosi e club vogliono accappararsi il meglio di lui devono solo farsi avanti. Lo fanno e il 15esimo posto finale non è certo da buttare.

Giocherà 84 gare a Siena, il dato più alto della sua carriera. Ci ritornerà per chiudere la carriera, ancora in A. Neo finale, però, la retrocessione di una squadra ormai stanca e con giocatori troppo avanti con età e troppo indietro con possibilità future.

Nel mezzo, dopo quella fantastica annata di Verona, solamente Serie A, senza pù giocare in B. E' enorme a Cesena, si fa valere sgomitando a Livorno e sbattendosi da una parte all'altra del suo vecchio Bentegodi, stavolta per il Chievo. La torta, prelibata bontà del suo sogno realizzato in Italia, ha anche la cilegina che profuma di dolce passato. E' la Nazionale albanese, dove ha una media di un goal ogni cinque gare, pochino. Abbastanza per divenire il massimo goleador di sempre della sua rappresentativa, record non ancora battuto.

Sa quanto vale quel traguardo, per un ragazzo che non è uscito dalle difficoltà, ma le ha studiate, è vissuto in un mondo in cui l'Albania era malvista, schernita, malmenata da parole e rovina. Posiziona con una spolverata le scarpe al chiodo e diventa assistente di De Biasi, l'eroe della nazione, capace di portare la Nazionale fino all'Europeo. Qualcosa di impossibile nei primi calci alla sfera del zotëri (signor) Bogdani.

A Euro 2016 l'Albania non passa nemmeno il primo turno, ma l'essere arrivata a combattere, consapevole di poter essere reale, è l'inizio. Qualcosa che Bogdani, ha sempre sognato:

“Questo trionfo significa tanto per tutto il Paese. È un momento di rivalsa per un popolo che per anni ha sofferto tanto. Siamo sempre stati considerati fanalino di coda del Continente. Identificati come immigrati, per non dire criminali. Adesso guardiamo tutti a testa alta, anche nel pallone. Siamo felici di aver regalato questa gioia, peccato non possa giocare".

Il vero peccato, piuttosto, è che Bogdani venga ricordato solamente distrattamente, maldestramente e limitatamente. Un giocatore mai attaccato, che ha coniugato studio e sport, realizzando il suo sogno e quello dei suoi genitori. All'interno della prima storica qualificazione dell'Albania, di cui è massimo cannoniere.

Ci sono poche cose più di impatto su cui puntare le proprie tesi di laurea in ambito sportivo. Veramente poche. E se anche non fosse citato a dovere, a pie' di pagina, poco male. E' rimasto, rimarrà. Lui lo sa, di essere completo, consapevole, nel calcio e nella vita.

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