La sua intera vita è racchiusa in un attimo. Un solo istante per emergere dalle tenebre dell'anonimato e lasciarsi irradiare dalla luce della gloria. Un marchio sulla pelle, un flash da imprimere sui libri di storia. Almeno per qualche anno, se non per qualche decennio. James Vaughan, il 10 aprile del 2005, non ci si focalizza troppo. La sua mente e i suoi occhi sono impegnati a osservare quel pallone che rotola in rete, Goodison Park ebbro di gioia, i compagni che corrono ad abbracciarlo. Al resto, a quel che inevitabilmente dovrà andare incontro, penserà solamente in un secondo momento.
17 anni fa è un attaccante dell'Everton, Vaughan. La squadra dove è nato, dov'è cresciuto, dove sogna di imporsi. E in quel pomeriggio primaverile ha appena segnato la rete del 4-0 in una partita di Premier League contro il Crystal Palace, all'87', dopo essere entrato 13 minuti prima. Non ha nemmeno fatto troppa fatica: Kilbane gli ha spedito un cross basso perfetto e lui non ha potuto far altro che segnare con la porta vuota. Ma di quel flash si parla e si parlerà ancora a lungo. Non tanto e non solo perché si tratti del suo debutto assoluto nel massimo campionato inglese, quanto per il fatto che Vaughan ha meno di 17 anni quando decide di entrare nella storia. Dell'Everton, ma anche e soprattutto della Premier League. 16 anni, 10 mesi e 4 giorni, per la precisione. O 16 anni e 271 giorni.
Quel 10 aprile del 2005, Vaughan diventa il marcatore più giovane di sempre della Premier League. Lo è ancora, per la cronaca. Segnando al Palace infrange il precedente primato stabilito da James Milner, ancor oggi stabile al secondo posto, in un Leeds United-Sunderland giocato il Boxing Day del 2002 (16 anni, 11 mesi e 22 giorni). E stacca Wayne Rooney, terzo (16 anni, 11 mesi e 26 giorni) grazie alla memorabile prodezza del 2002 contro l'Arsenal, sempre in maglia Everton, quel destro a giro fatto sbattere contro la traversa e poi alle spalle di Seaman.
Rooney è rimasto per tre anni il marcatore più giovane di sempre dei Toffees in Premier League. Ma alla prima occasione utile ha riempito le valigie e se n'è andato al Manchester United. E così quella scritta sulla maglietta dopo una rete all'Aston Villa, “Once a Blue always a Blue”, è suonata tremendamente beffarda e irrisoria. I tifosi dell'Everton hanno perso un potenziale prodigio ancor prima di vederlo crescere. E ora cercano disperatamente un altro adolescente-guida fatto in casa, un wonderkid a cui aggrapparsi per il presente e, chissà, anche per un pezzo di futuro.
Quando Vaughan devia a porta sguarnita il centro di Kilbane, sono in tanti a pensare a un passaggio di consegne. Il 'Belfast Telegraph', per dire, scrive: “Who needs Wayne Rooney?”. Ovvero: chi ha bisogno di Wayne Rooney? A placare gli animi, e al contempo a incendiarli, è Alan Irvine, assistente di David Moyes, che dopo la partita dice: “La gente inizierà a far paragoni con Rooney, ma si tratta di due giocatori diversi. James ama stare là davanti, Rooney si muove di più sull'esterno. Il tempo dirà se James potrà avvicinarsi a Wayne, il che per noi sarebbe una cosa fantastica. Però non sarebbe carino definirlo il nuovo Wayne Rooney: è il primo James Vaughan”.
“Quando Rooney è stato ceduto non pensavo che avrei avuto spazio in prima squadra – ha detto Vaughan al podcast 'The Blue Room' – Avevo appena concluso la scuola! In quei momenti pensi a prendere una borsa di studio e vedi dove ti porterà. Però in quella stagione ho iniziato a giocare per le Reserves e Andy Holden (il manager, nda) ha puntato su di me abbastanza rapidamente. Vedevo che lavorando parecchio avrei avuto la mia opportunità e per fortuna, anche grazie a qualche infortunio e qualche squalifica, l'ho ottenuta”.
Per Vaughan è il coronamento di un sogno. La maglia dell'Everton, del resto, rappresenta quasi una seconda pelle da un decennio. Anche se è originario di Birmingham. Anche se da piccolo si è trasferito assieme alla famiglia a Preston. E anche se il padre, ex rugbista semiprofessionista, avrebbe voluto vedere il figlio seguirne le orme con in mano una palla ovale. James, peraltro, non ha optato subito per il calcio. Ne ha suddiviso le attenzioni con l'ex sport di papà, ma anche con l'atletica leggera, fino all'ingresso nell'adolescenza. Anche dopo essere entrato nelle giovanili dei Toffees, che lo hanno notato in un torneo quando di anni ne aveva appena sei, il rugby faceva parte della sua vita.
All'Everton ha prontamente scalato le gerarchie. Ha fatto amicizia con Victor Anichebe, è cresciuto assieme al nigeriano. All'inizio ha faticato a staccarsi dalla concezione ludica del calcio. In un'intervista del 2021 al 'The Athletic' ha raccontato che “una volta giocavamo contro le Reserves del Manchester United, con Alan Smith e Giuseppe Rossi, gente che guardavo solo alla tv. La mia età mi ha aiutato, perché ho affrontato quella sfida con la mentalità di un ragazzino. Non ero abbastanza grande per comprendere la grandezza di quello che stavo facendo”.
Anche quando sta per debuttare contro il Palace, Vaughan prende tutto alla leggera. Nessuna agitazione, racconterà in seguito. Niente farfalle nello stomaco. Soltanto un sano desiderio, tipico di un sedicenne, di entrare e ribaltare il mondo in due. La rete del 4-0 al Palace, quella del record e dei riflettori che improvvisamente si accendono su di lui, trasforma ogni sogno nella più impensabile realtà. L'Everton ha il suo nuovo Rooney. Ma è un'etichetta che non piace troppo a Moyes: lo scozzese prende da parte Vaughan e gli consiglia di starsene per conto suo per qualche giorno, evitando le attenzioni pubbliche dei giornalisti e dei tifosi. E James lo prende in parola, tanto che “una sera volevo andare in un negozio, ma ho chiesto a Victor di andarci al posto mio”, come raccontato ancora al 'The Athletic'.
“Torni a casa, accendi Match of the Day e ti vedi. Ricordo che mia madre mi ha telefonato, dicendomi che era stata seguita dai giornalisti ed era dovuta tornare a Birmingham. Era scoraggiante. All'Everton l'input era: 'Non tirarsela'. L'ho preso a cuore, andavo in giro senza farmi notare. Avrei potuto gestire meglio quella situazione, o almeno non vivere come un recluso. Il club era molto protettivo per quello che era successo con Rooney. Era così ogni volta: “Sarà lui l'erede di Rooney?". E anche se tutti sapevano che non lo ero, perché lui è un talento multigenerazionale, la mia età faceva sì che se ne parlasse molto. Quindi rimanevo chiuso in casa”.
Che Vaughan non sia il nuovo Rooney, lo capiscono tutti quasi subito. La critica, i tifosi, l'Everton. Se in quello scorcio finale di stagione viene convocato solo in un'altra occasione, il suo 2005/06 si rivela ben presto un incubo: Moyes lo chiama con sé appena alla seconda giornata, contro il Bolton, ma un grave infortunio a un ginocchio rimediato con l'Under 18 inglese lo costringe ai box per tutta l'annata. È la prima delusione, un bagno d'acqua ghiacciata, la sensazione che i tasselli non si stiano incastrando tra loro come dovrebbero.
Proprio mentre pare stia ingranando, nell'aprile del 2007 James deve fermarsi dopo aver reciso l'arteria di un piede durante una partita di campionato contro il Bolton, nella quale in precedenza ha pure segnato. Pochi mesi dopo si fa nuovamente male, stavolta a una spalla, durante un'amichevole estiva nella sua Preston. “Voleva mollare tutto – rivelerà dopo qualche giorno l'amico Anichebe – pensava: 'Perché di nuovo io?'”. Nel 2008 viene operato di nuovo a un ginocchio. Ma con un mese di ritardo, perché il suo chirurgo si è rotto un braccio sciando. Un calvario infinito.
Nemmeno l'esecuzione decisiva nella serie di rigori della semifinale di FA Cup 2008/2009 contro il Manchester United, in quella che lui stesso ha definito “probabilmente la giornata più bella della mia carriera” al rientro da altri quattro mesi ai box, lo salva dall'inevitabile. Quando l'Everton decide di lasciarlo partire in prestito, ogni certezza si sfalda. Dal 2009 al 2011 Vaughan prende la via di tre squadre diverse: il Derby County, poi il Leicester, infine quel Crystal Palace che così generosamente aveva contribuito a farlo conoscere. Sempre in Championship. Ma non riesce mai a rilanciare la propria carriera. Le Eagles gli rimangono comunque nel cuore, tanto che, dichiarerà anni più tardi, “il mio unico rimpianto è quello di non esserci rimasto più a lungo”.
Il cordone ombelicale con i Toffees si spezza nel 2013, con un dato impietoso: una sessantina di presenze in sei anni, di cui appena 11 da titolare. Da quel momento in poi è un lungo peregrinare nelle divisioni inferiori. Vaughan si fa apprezzare all'Huddersfield, ma delude gli ex concittadini di Birmingham non andando in rete neppure una volta col City: “Era la squadra del cuore di mio padre, per cui avevo addosso la pressione di dover segnare a tutti i costi e non ci riuscivo”. Per una stagione viene ingaggiato pure dal Sunderland, nobile decaduta. In termini realizzativi, la miglior stagione è quella col Bury (League One): 24 centri in 37 presenze nel 2016/17.
GettyNormale che anche la speranza di indossare la maglia dell'Inghilterra svanisca ancor prima di assumere un minimo di concretezza. Vaughan viene chiamato dalle nazionali giovanili, ma si ferma all'Under 21. Per limiti d'età e per i soliti infortuni. Viene chiamato agli Europei di categoria del 2007, esordisce contro l'Italia, non segna neppure una volta. Quattro anni più tardi, ironia della sorte, la sua ultima partita sarà nuovamente contro gli azzurrini. Così, nel 2013 tenta di ingraziarsi la Giamaica grazie alla cittadinanza dei nonni: “So quanto il calcio conti da quelle parti – dice – Sarebbe fantastico farne parte”. Ma viene ignorato.
La chiusura è al Tranmere Rovers, dove nel 2020/21 segna 18 reti in League Two portando la squadra ai playoff. Però salta la finale della Football League Trophy a causa dell'ennesimo problema fisico. E nel maggio del 2021 decide di darci un taglio una volta per tutte, lasciando il calcio giocato a soli 32 anni: “Dopo i recenti infortuni, è arrivato il momento giusto per pensare al prossimo capitolo della mia vita”. Da febbraio fa il direttore sportivo del club. Un nuovo percorso, tra uno sguardo proiettato verso il futuro e un angolino della mente ancora rivolto al passato. “Sarebbe bello che qualcun altro provasse quello che ho provato io”, ha detto al sito ufficiale dell'Everton a proposito del record del 2005. C'è da credergli.
