Sul finire dello scorso ottobre, la città di Como è finita al centro dell’attenzione calcistica come forse non capitava dalla stagione di Serie A risalente a ormai una ventina d’anni fa. Con la squadra di Serie B, infatti, si allenava anche Jack Wilshere. Sì, proprio quel talento incredibile che doveva essere uno dei centrocampisti più forti dell’ultimo decennio. E invece ancora una volta, come troppo spesso capita, vicino al suo nome oggi ci sono sei lettere che inglese aprono una porta su una specie di universo parallelo: “What if”. Cosa sarebbe successo se gli infortuni avessero lasciato Wilshere in pace? Forse parleremmo di lui come un giocatore che segna le epoche? Forse parleremmo di lui come un idolo dei tifosi dell’Arsenal? O forse parleremmo di lui comunque come un giocatore di ottimo livello, ma non in grado di fare il salto in avanti? A ognuno la propria interpretazione.
Quella di Arsène Wenger, l’uomo che il classe 1992 definisce un “secondo padre”, è stata chiara sin da quando il 16enne di Stevenage, qualche decina di km a nord di Londra, aveva fatto il suo esordio in prima squadra con l'Arsenal. Folgorante. Chi lo conosceva dalle giovanili non aveva dubbi sul suo talento. Entrato nell’academy dei Gunners a 9 anni, prelevato dal Luton, poi l’arrivo a Hale End. La sua crescita sotto lo sguardo sempre attento dell’alsaziano, manager a tutto tondo, supervisore totale.
“Credo che finirà per giocare da centrocampista in una zona centrale, alle spalle dell’attaccante, nel ruolo che era di Bergkamp. Tra quattro anni sarà decisamente più forte. Ha nelle sue corde il passaggio decisivo, può segnare. Non ha paura di andare a contrasto. Un giocatore del genere lo si vuole avere in mezzo al campo. Ma bisogna stare attenti, non bisogna mettergli troppa pressione”.
Wilshere aveva esordito il 13 settembre 2008 contro il Blackburn, a 16 anni, 8 mesi e 12 giorni. Detiene ancora il record di secondo più giovane di sempre, dietro soltanto a Cesc Fabregas. Con la differenza che lo spagnolo aveva giocato solo in coppa. Wilshere invece aveva esordito in Premier League. Primato ancora imbattuto.
Sembrava già troppo facile definirlo il suo erede designato. 13 goal in 19 partite con l’Under-18 (sotto età), poi goal al debutto con la squadra riserve. E poi la preseason con la prima squadra nel 2008, lasciapassare per un posto fisso nelle rotazioni. Con tanta pazienza, tante panchine e tanti insegnamenti da apprendere.
“L’avevo già portato in prima squadra quando aveva 15 anni e non sembrava assolutamente fuori contesto. Il calcio gli viene naturale”,aveva detto Wenger, come riportato dal Guardian.
Getty ImagesAll’inizio giocava anche da ala destra, poi si è spostato in mezzo al campo, in un ruolo più congeniale. Qualcuno lo paragonava addirittura a Liam Brady, giusto per rimanere in tema di leggende dell’Arsenal. Brady, Bergkamp, Fabregas. Calma, predicava Wenger. A gennaio 2010 lo ha spedito al Bolton per fare un po’ di apprendistato. Al suo ritorno ha rinnovato il contratto e fatto il suo esordio ufficiale con la nazionaleinglese, appena 18enne. Convocato da FabioCapello in un centrocampo che poteva vantare Gerrard, Lampard, Scholes, Milner, Barry. Precocità. E pensare che nemmeno lo credeva così pronto.
“Per personalità e maturità alla sua età mi ricorda Paolo Maldini e Franco Baresi, ma anche Raul. Non vedevo un centrocampista così giovane e forte da tanto tempo. È un futuro capitano dell’Inghilterra”.
La stagione 2010/11 è stata quella in cui tutti si sono accorti delle sue qualità. 49 presenze, quasi tutte giocando da centrocampista centrale, un po’ più dietro rispetto a dove Wenger lo vedeva inizialmente. Anche perché la rifinitura era affare di Fabregas, Nasri, Arshavin e Rosicky, oltre che del giovane Walcott. Quella squadra andò ad un passo dall’eliminare il Barcellona di Guardiola che poi avrebbe trionfato in finale contro il Manchester United a Wembley. Wilshere fu uno dei migliori in campo nella gara d’andata vinta 2-1. Anzi, per l’UEFA il migliore. Man of the match.
Sembrava l’inizio di un’ascesa verso il top. Nel giugno 2011 doveva prendere parte a Euro Under 21, ma Wenger e lo stesso giocatore decisero di prediligere il riposo, perché quelle quasi 50 partite a 19 anni avevano spinto il suo fisico quasi al limite. Ha giocato con la nazionale maggiore contro la Svizzera, si è procurato un piccolo problema che non sembrava nulla di grave. E invece nell’amichevole contro i New York Red Bull a luglio la situazione si è ulteriormente complicata.
(C)Getty ImagesWilshere è diventato un caso, con accuse pesanti verso lo staff medico dell’Arsenal che a dire di Capello non aveva capito la situazione. Era un problema alla caviglia, all’apparenza innocuo. Ma non si sistemava. Così a settembre si è resa necessaria un’operazione. Rientro fissato per metà febbraio. Sembrava andare tutto bene, invece un’altra frattura da stress alla stessa gamba lo ha di fatto tagliato fuori per il resto della stagione. Sembrava poter rientrare in tempo, ma altri piccoli problemi hanno ritardato continuamente il ritorno. E ne hanno compromesso anche la partecipazione alle Olimpiadi di Londra 2012: l’allenatore Stuart Pearce gli aveva garantito un posto nella selezione della Gran Bretagna capitanata da Ryan Giggs.
Il ritorno in campo si è concretizzato nell’ottobre 2012. Subito da titolare, con la 10 sulle spalle. Un’investitura importantissima a soli vent’anni. D’altronde la fiducia che Wenger nutriva nelle sue capacità non è mai stata un segreto. E viceversa.
“Siamo stati davvero poche volte in disaccordo - ha raccontato a ‘Talk Sport’ - Non posso dire che è stato come mio padre perché forse a mio padre non piacerebbe, ma è stato davvero come una figura paterna per me. Quando ho affrontato momenti difficili, l’ho chiamato per chiedergli dei consigli. E il mio istinto mi dice di seguire ogni cosa che lui mi consiglia di fare. Mi ha guidato dalle giovanili al professionismo”.
Getty ImagesPer un paio d’anni è riuscito a trovare continuità. Un equivoco tattico, se tale si può definire, lo ha portato a giocare più spesso da trequartista, sebbene lui preferisse giocare più dietro, nel vivo del gioco, da ‘numero 6’, come gli capitava regolarmente con la nazionale inglese. Poco male. Dopo un anno fermo, gli bastava essere in campo. Gli è importato poco anche della fastidiosa etichetta di bad boy che gli è stata appiccicata dopo qualche bravata, come la foto con una sigaretta fuori da un pub che ha fatto infuriare Wenger. I tifosi hanno difeso il loro centrocampista con il coro “He smokes when he wants”, “fuma quando vuole”, per chiuderla con una risata.
Ha superato alcune problematiche fisiche ed è riuscito a prendere parte al Mondiale del 2014, terminato però con una dura eliminazione nella fase a gironi, senza riuscire a battere nemmeno il Costa Rica, unica gara giocata da titolare. In nazionale ha sempre avuto fiducia, vuoi per l’età, vuoi perché dopo Gerrard e Lampard sembrava lui l’uomo destinato a prendere in mano il reparto. Ha preso parte anche a Euro 2016, con tre presenze. Quella nel secondo tempo con l’Islanda negli ottavi di finale, con sconfitta per 1-2 e contestuale eliminazione, è stata l’ultima.
Nei due anni precedenti aveva subito un altro grave infortunio alla caviglia, con un paio di ricadute a peggiorare la situazione. Ha saltato quasi interamente la stagione 2015/16 per una frattura al perone. È rientrato per gli Europei. Se n’è andato al Bournemouth in prestito per trovare continuità, mentre Wenger lo aspettava all’Arsenal.
La sua ultima stagione con i Gunners è stata tra campo e panchina, mostrando però di essere ancora un centrocampista di ottimo livello nonostante tutto. In tre occasioni è persino entrato in campo con la fascia di capitano. Eppure a 26 anni dava l’impressione di avere già imboccato la fase discendente. Forse perché quella ascendente era stata velocissima. A fine stagione ha deciso di lasciare l’Arsenal, rifiutando la proposta di rinnovo. 17 anni tra giovanili e prima squadra, 198 presenze, 14 gol. I tifosi lo hanno salutato con un affetto incredibile. Ha scelto di andare al West Ham, la squadra che tifava da bambino (il suo idolo era Paolo di Canio). A ‘The Athletic’ ha raccontato di viverla ancora come un rimpianto.
“Non avrei mai dovuto lasciare l’Arsenal. Non è colpa del West Ham, ma è stata una mia decisione sbagliata. Dopo il prestito con il Bournemouth nella stagione 2016/17 ero tornato, mi mancavano 12 mesi. Mi aveva detto che non avrei avuto un nuovo contratto. Ce l’avevo messa tutta per dimostrare di essere all’altezza. Poi ho parlato con Emery, mi ha detto che c’era una proposta di rinnovo, ma non sarei stato nella formazione titolare ideale. Me ne sono andato arrabbiato. Ho deciso d’istinto di andarmene, chiamato il mio agente. Avrei dovuto prendere più tempo”.
Si è svincolato dopo 19 presenze in due anni per niente memorabili, vuoi per le scelte tecniche, vuoi per i problemi fisici. Lo scorso gennaio lo ha richiamato il Bournemouth in Championship. 17 presenze con le Cherries, non valse la promozione. Dal termine della scorsa stagione è senza un contratto.
“Ho detto al mio agente che non mi piace essere in questa situazione - ha rivelato ad agosto a ‘The Athletic’ - La domanda che continuo a pormi è ‘perchè lo sto facendo?’. Oggi correvo da solo su una pista di atletica e mai avrei immaginato che sarei stato qui a questo punto della mia carriera. I miei figli hanno un'età in cui cominciano a capire, soprattutto Archie: ha nove anni, ama il calcio e mi chiede perché non gioco. Tutti dicevano che a oggi sarei stato all'apice della mia carriera. A che punto posso dire ‘ora è troppo’? Non lo so. Mi sento come se in Inghilterra avessi le porte chiuse per la mia storia di infortuni”.
Getty/GoalHa provato a trovare conforto in Italia. È stato invitato ad allenarsi con il Como dall’ex leggenda del Chelsea Dennis Wise, che è l’amministratore unico del club. I due si conoscono da tanti anni per aver condiviso delle attività benefiche. Poteva essere un’occasione per ripartire, ma Wilshere non può essere tesserato perché il regolamento della Serie B impedisce di poter avere in rosa giocatori extracomunitari che non abbiano giocato in Serie A.
“Il calcio italiano mi ha sempre affascinato - ha raccontato a ‘Como TV’ - e una cosa che ho sempre desiderato nella mia carriera è proprio giocare in Italia. Ho colto al volo questa opportunità di capire com’è il calcio. È bello essere in un posto dove posso esprimermi, dove possa vivere una specie di ripartenza”.


