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Francesco Totti Aldair RomaGetty

Anticipare gli attaccanti e il futuro: Aldair e la fascia da capitano donata a Totti

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Il termine visionario è a dir poco inflazionato. Si usa per definire chiunque vada fuori dagli schemi e guardi avanti. Qualcosa che dovrebbe essere comune e non così rara. Staccarsi dalla massa che pensa distrattamente a presente e futuro per azzeccare le previsioni. Sia nel tempo moderno che in quello che verrà. Quello che è stato insomma Aldair, il Pluto della Roma che nello scorso millennio (alla fine, ovvio) ebbe l'intuizione. Come tanti, ma non come tantissimi.

Perché per essere uno dei migliori centrali al mondo, non veloce, ma possente, duro, ma con qualità, non serve avere solamente la massa da libero o difensore. Serve pensare prima dell'avversario, sapere dove la tua scivolata andrà. Piedi, gambe, o palla. La seconda per Pluto, Campione del Mondo 1994 con il Brasile, più di un decennio alla Roma, scudettato con Capello, silenzioso, rabbioso, impegnato a difendere il verbo, di Totti.

Francesco Totti, vabbè, lui. Leader della Roma, Pupone, Campione anche lui del Mondo, ma dodici anni dopo il compagno samba. Cose risapute. Ma ciò che rappresenta probabilmente più il vecchio numero dieci giallorosso, ancor più di quel magico 1 e 0 sulla casacca, è probabilmente quella fascia da capitano al braccio per quasi vent'anni. Sfera di cristallo nelle mani di Aldair.

Di stoffa, di carta, di materiale meno fragile di quel cristallo, di quella sfera di cui all'improvviso si armò Aldair. Vide Totti arrivare dalle giovanili, lo vide esordire nel 1992/1993 e trovare per la prima volta la via della rete nel 1994/1995, dimostrando di essere un nuovo principe giallorosso.

Sulla via dell'eternità, con tanti sogni davanti, ma probabilmente mai come fu, più avanti. Poi la doppia cifra del 1997/1998 e a 22 anni il ruolo di futuro della Nazionale azzurra, con le prime presenze e la consapevolezza di andare oltre la sola Roma.

Perché Roma è eterna, ma Totti è rimasto andando allo stesso tempo oltre, in Champions, al Mondiale. Storie vecchie, trite e ritrite, avanti un altro. Non è mai stato un altro il dieci, non è mai stato uno dei tanti Aldair. Che sapeva come agire, altrimenti non avrebbe agito. I compagni dicono sì Pluto, sei il più esperto e con il massimo trofeo in bacheca, tu devi essere il nostro capitano. E come rifiutare? Rifiutando.

Aldair Roma 2001Getty

Gentilmente, sia ovvio, perché Aldair, gentleman a tinte giallo-verde-rosso-oro, l'ha indossata la fascia da capitano, dopo Balbo, Carboni e soprattutto Giannini. Nel 1998 zemaniano ha portato al braccio la massima onorificenza. Poi, senza essere stufo, né satollo, ha deciso per un'altra via, quella della gioventù, della scommessa. Che tanto non era, ma in fondo un po' sì.

Aldair indossa la fascia da capitano, dopo il voto nazional-popolare dello spogliatoio:

"C'è stato un voto tra i giocatori per chi sarebbe stato il capitano della squadra dopo la partenza del precedente. Avevano alcune opzioni, ma la maggior parte mi ha eletto capitano della squadra".

Tanto basta, per rendersi conto dell'amore dei compagni di squadra e di riflesso, del popolo giallorosso. Prende un chiodo, ci appende la fascia. Poi lo toglie, recupera la fascia, senza strapparla, e si immerge nel futuro:

"Ho pensato a cosa significasse Francesco Totti per il club e la città. Era un tifoso del club e uno dei giocatori più talentuosi. Ho pensato che sarebbe stato molto importante per lui essere il capitano della squadra e gli ho passato la fascia. La mia speranza era che diventasse ciò per cui era nato. Ho fatto la scelta giusta".

Ci sono eufemismi ed eufemismi, ma evidenziare come Aldair abbia fatto la scelta giusta, beh, porta tale definizione ad un altro livello. Mai visto prima, probabilmente.

Perché parlare col senno di poi è veramente troppo facile e nel calcio le vie di mezzo non esistono. Sarebbe stato incatenato all'altare sacrificale, se Totti avesse deciso di lasciare la Roma, se l'avesse ripudiata o calpestata. All'opposto è rimasto e il brasiliano può passare dal via e prendersi continui e molteplici meriti in maniera entusiasmante.

Fratello maggiore da Ilhéus, uomo che regala consigli ad un ragazzo, fidandosi di lui e delle sue possibilità. Vedeva nei suoi occhi il riflesso dell'amore giallorosso per la squadra, per la città, per i miti e le leggende dell'urbe, della maglia con la Lupa. Scommettere sul rosso e non sul nero di sfiducia, con la fiducia in prima pagina e non dietro la porta.

Di poche parole Totti, prima che desse spettacolo in campo e sì, a ben vedere anche nelle sue dichiarazioni, disse spesso Aldair di lui. Non si sono mai persi di vista, per rispetto, per amicizia, per consapevolezza di aver fatto entrambi la storia, concatenati e legati alla Roma. Tanto che, da capitano numero 1(0), il pupo pupone ha scelto la carriera manageriale dopo l'addio all'amata società (che Pluto ha spesso equiparato al suo saluto, come quello di Cafu e De Rossi, senza tanti complimenti), affidandosi anche all'amico ed ex compagno come scout, alla pari di Candela.

Aldair però, il ruolo di scout l'ha iniziato nell'ottobre del 1998, quando la fascia passò a Totti. Qualcun altro l'aveva scoperto, lui, però, gli ha regalato quello che ogni giocatore oltre la pressione anela per avere petto fuori e storia davanti. La responsabilità. Meno male.

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