Un saltello, come sempre. Poi un terzo tempo. Un destro piazzato (due, anzi). Poi uno stacco aereo. Con un intervallo di cinque anni e mezzo, gloriosi e vincenti, a frapporsi tra i due gesti tecnici. E un antieroe, uno di quelli che nella storia entrano dalla porta di servizio. Il primo e l'ultimo ad essere stato battuto da Marco van Basten in Serie A. 13 settembre 1987 – 9 maggio 1993: Alessandro Nista è presente in entrambe le occasioni. Ha visto da vicino nascere e poi morire la leggenda del Cigno di Utrecht. Ed è uno degli aspetti più curiosi di una carriera altrettanto curiosa.
In quel settembre dell'87, Nista, nato in provincia di Livorno, è il portiere titolare del Pisa. E alla prima giornata di campionato si ritrova tra i guanti il compito compito di rinviare l'inizio della leggenda del grande Milan. Quello di Sacchi, di Gullit. E di van Basten. All'Arena Garibaldi, però, non c'è storia. Finisce con un 1-3 che delinea piuttosto bene i rapporti di forza in campo. Cecconi risponde al missile da fuori di Donadoni, ma un portentoso colpo di testa di Gullit riporta in vantaggio i rossoneri. Che a 10 minuti dalla fine hanno la possibilità di triplicare dal dischetto. Va van Basten, all'esordio in Serie A. Segna, ma dopo aver interrotto la rincorsa. Il rigore va ripetuto. Ma MVB, glaciale com'è, non se ne preoccupa troppo. E realizza anche questo, timbrando per la prima volta nel nostro campionato.
Salto in avanti. Nel maggio del '93, il Milan fa visita ad Ancona. È una sfida impari, perché i rossoneri sono primissimi e i dorici ultimissimi. E infatti, non c'è partita. La squadra di Fabio Capello si impone con un 3-1 che condanna la formazione di Guerini alla retrocessione matematica. In porta, ancora una volta, c'è Nista. Che di nuovo viene superato da van Basten, questa volta di testa. Sarà l'ultimo centro in A dell'olandese. Era già stato costretto a fermarsi per quattro mesi, Marco. E di nuovo la sua malandata caviglia destra non gli darà tregua, consentendogli di scendere in campo altre due volte, tra cui nella finale di Champions League persa contro il Marsiglia. L'anno successivo, zero presenze. Poi il giubbotto di renna, l'addio prima di un Trofeo Berlusconi, le lacrime.
“Ho preso goal anche da Maradona, da Matthäus e da Gullit – ha raccontato Nista a 'Il Posticipo' – Non c'è nessuna differenza tra subire una rete dal giocatore più forte o da quello più sconosciuto: brucia da morire, a posteriori però diventa un ricordo e allora pensi di essere stato battuto da giocatori fortissimi. Io e van Basten abbiamo esordito in Serie A nello stesso giorno, io col Pisa e lui col Milan, e ha segnato su rigore. Poi c'è stata la sfida contro il mio Ancona prima della finale di Coppa dei Campioni, la sua ultima gara coi rossoneri. Abbiamo perso 3-1 e Marco mi ha fatto di nuovo goal”.
Ma Nista è anche tanto altro. È, intanto, il giovanissimo portiere delle giovanili del Pisa che a metà degli anni 80 si affaccia al grande calcio. Piccolo particolare: è nato e cresciuto in provincia di Livorno. A metà tra le due province, giusto per intuire quale sarà il proprio destino. E un livornese che indossa il nero e azzurro fa sempre un po' specie. Anche se è soltanto un ragazzino.
“Quand'ero a Livorno ero un traditore, quand'ero a Pisa un invasore – ha scherzato qualche anno più tardi a 'Udinese Tv' – È stato divertente. Ma l'ho vissuta con grande serenità, perché sono sempre stato messo a mio agio”.
All'inizio, Nista ha davanti a sé un totem come Alessandro “Larry” Mannini, proprietario della porta toscana per nove stagioni. Accetta di andare al Sorrento in prestito per un anno, aspetta il proprio momento. Che arriva in quel 1987, quando Mannini viene ceduto al Bari. Una stagione positiva, la salvezza conquistata. Il Pisa alza anche la Mitropa Cup, che aveva già vinto due anni prima, battendo in finale gli ungheresi del Váci Izzo. Nista gioca sempre. E nel marzo dell'88 si guadagna la convocazione nell'Under 21 azzurra, anche se ha già 23 anni. Gli addetti ai lavori iniziano a conoscerlo sempre più. 'La Stampa' lo definisce “controfigura di Zenga”, perché sono simili i movimenti tra i pali e pure il taglio di capelli.
“È stata una scommessa per il Pisa – dice Cesare Maldini, il commissario tecnico di quell'Under – l'ha fatta vincere già ai suoi dirigenti e all'allenatore, doti ne ha”.
L'idillio dura però poco. La stagione successiva è un tormento. Per il Pisa e per Nista. Il portiere livornese parte coi guantoni del titolare, ma dura appena otto giornate. Il tempo di perderne sei, tra cui un 1-4 interno contro la Juventus, e Alessandro si ritrova fuori dall'undici di partenza. Anche e soprattutto a causa di problemi alla colonna vertebrale che lo costringeranno a finire sotto i ferri. Gli subentra il dodicesimo, Giampaolo Grudina, un altro che ha una discreta storia da raccontare: era lui il portiere del Livorno 1983-84, quello dei record, appena sette reti subite in un intero campionato. I toscani retrocedono e Nista non gioca più. Nemmeno in Serie B. Dal Cosenza arriva Luigi Simoni, che si prende il posto tra i pali e non lo lascia più.
Così, Nista prende una decisione insolita per quei tempi: emigra. In Inghilterra, perché il mercato autunnale in Italia è già chiuso. Va al Leeds United, che qualche anno dopo vincerà la First Division con Gordon Strachan ed Eric Cantona ma intanto langue in Second. L'italiano viene chiamato e accetta, anche se non del tutto convinto. Tornerà in Italia qualche mese dopo. Lo 'Yorkshire Evening Post' lo inserirà tra i “14 Leeds United trialists you may not remember”, ovvero i 14 giocatori che hanno svolto un provino con i Whites e dei quali, con ogni probabilità, la gente si sarà scordata.
“Si parla di preistoria, venivo da un infortunio grave che mi aveva lasciato fuori almeno per un anno – ha ricordato a 'Il Napolista' – Avevo ripreso ad allenarmi a novembre, solo che il calciomercato invernale chiudeva a metà ottobre. In questo modo, non avrei potuto trovato una sistemazione in Italia. Si presentò l’occasione di andare a Leeds, accettai e fui il primo calciatore italiano in un club dell’allora Second Division, l’attuale Championship. Tra l’altro, la squadra che deteneva il mio cartellino (il Pisa) voleva cedermi solo in prestito, e ci fu una diatriba tra le federazioni che non accettavano questo tipo di trasferimento. A prescindere dal numero di presenze, si tratta di un’esperienza bellissima, indimenticabile”.
Il Leeds viene promosso e un paio d'anni più tardi conquisterà l'ultima edizione della First Division prima dell'avvento della Premier League. Ma Nista non fa parte dei piani. Così rientra in Italia per fine prestito. Non al Pisa, ancora proprietario del suo cartellino. E non alla Fiorentina, dove sembra inizialmente destinato. Ma all'Ancona di Vincenzo Guerini, squadra che rappresenterà una sorta di seconda pelle. “Gli anni più belli – li definirà – perché sono stato attore protagonista di quell'avventura”. Prima in Serie B. Poi, grazie a un sorprendente terzo posto finale, anche in Serie A. Per la prima volta nella storia del club. Con una altrettanto stupefacente finale di Coppa Italia raggiunta e poi persa contro la Sampdoria.
In realtà, nella massima serie Nista e l'Ancona rimangono appena 12 mesi. Il tempo di dimostrarsi inadeguati alla categoria, come accadrà poi anche una decina d'anni dopo, e il ritorno negli inferi è cosa fatta. C'è la partita contro il Milan, quella della rete di van Basten. Ma ci sono soprattutto tante, troppe sconfitte. Il giorno dopo un torrenziale 7-1 rimediato al Franchi contro la Fiorentina, nel quale peraltro è uno dei pochi a non colare a picco, il portiere la prende sul ridere in un'intervista a 'La Stampa':
“Per carità, non ricordatemi Firenze, non girate il coltello nella piaga. Mai m'era accaduto di prendere tante reti in una sola partita, al massimo ne avevo incassate quattro. Quando tutto va a catafascio non pensi più a nulla, sei stranito, confuso, speri solo che tutto finisca. Umiliato? No, che c'entra? Non usiamo parole eccessive. Ad ogni modo, non credo di avere grosse colpe nel disastro, i viola arrivavano da tutte le parti. Che dovrei fare, prendermi a schiaffi? L'importante è che l'Ancona cambi registro, sennò va a finire che al termine del campionato avremo fatto tre punti e io avrò subito 150 goal".
Nista rimane all'Ancona anche l'anno dopo, di nuovo in Serie B. E poi quello dopo ancora. Ma nel 1994-95 non gioca mai, per colpa di un'ernia al disco che lo costringe a saltare l'intera stagione. Però il destino, a volte, sa essere benevolo. E nell'estate del '95 lo chiama il Parma. Che gioca in A, ma non solo: è una delle formazioni più forti e più ricche del campionato. In porta gli emiliani hanno già Luca Bucci, ma hanno bisogno di un dodicesimo dopo l'addio di Giovanni Galli. Così si affidano a lui. Non sa, Nista, di essere destinato a entrare di nuovo nella storia da una porta di servizio. Perché sulla scena italiana e mondiale si sta affacciando Gigi Buffon, adolescente con la stoffa del predestinato.
Nella storia dell'esordio in A di Supergigi, 19 novembre 1995, compare anche Alessandro. Con un ruolo secondario, ma neppure troppo. Bucci è infortunato, si è fatto male in Coppa UEFA contro l'Halmstadt. Dovrebbe toccare a lui, secondo logica. Che infatti, un paio di settimane prima, ha già difeso i pali gialloblù a Cremona. Il Parma ha vinto 2-0, tutto è andato liscio. Durante quella sosta per gli impegni delle nazionali, però, il dubbio inizia a insinuarsi come un tarlo nella testa di Scala. In allenamento c'è quel ragazzino, Buffon, aggregato alla prima squadra. Ha un carattere ribelle, ma fa cose che certi non si sognano neppure. Anche Nista lo nota. Quando il tecnico decide di dar fiducia alle proprie sensazioni, la storia si compie. Contro il Milan non gioca Nista. Gioca Buffon, 17 anni appena. Nella propria autobiografia, Gigi definirà Alessandro “uno dei miei migliori amici”, però quelle sono ore di discreta tensione. Perché Nista si sente scalzato da un debuttante e non la prende benissimo.
“È arrivato il momento più difficile quando ho dovuto avvisare Alessandro Nista, il secondo portiere che pensava di giocare al posto di Bucci – ha ricordato Scala in un'intervista a Goal del novembre 2015, 20 anni esatti dopo quel giorno – Gli ho spiegato che non era un discorso di simpatia, ma solo una scelta necessaria da fare. Ci è rimasto male, ma anche lui in settimana si era accorto delle qualità di quel ragazzino. Con il dialogo nella mia carriera ho sempre avuto successo. Quando ci si guarda negli occhi e non si raccontano storie, si può risolvere tutto”.
Nista ritroverà Buffon anche anni più tardi, quando andrà a fare il preparatore dei portieri alla Juventus. Un piacere e un incubo allo stesso tempo. Perché in quegli anni di Parma si lega in maniera viscerale al titolare, che però gli mangia tutto lo spazio. Fino al 1999, l'anno della separazione, Nista giocherà appena una cinquantina di minuti complessivi. Una presenza in Serie A, una breve comparsata in Coppa Italia. Alessandro diventa l'Alessandrelli o il Bodini del Parma, i due storici dodicesimi di Dino Zoff alla Juventus. Non gioca, guarda gli altri giocare. È un uomo spogliatoio, esperto e maturo.
Poi ci sono i trofei, certo. Nel 1998-99, con Alberto Malesani in panchina, il Parma si mette in bacheca sia la Coppa Italia che la Coppa UEFA. Anche contro Fiorentina e Marsiglia, gli avversari delle due finali, il titolare è Buffon. Niente sconti. Però, escludendo la Mitropa Cup con il Pisa, si tratta degli unici allori della carriera di Nista. Che li conserva con gelosia nella propria bacheca personale.
“Sono stato molto fortunato a capitare al posto giusto nel momento giusto – ha raccontato a 'Udinese Tv' – Coppa Italia o Coppa UEFA? Mah, per il fascino direi la UEFA. Però, quando si vince qualcosa, cambia poco. Poi in quegli anni lì abbiamo sfiorato la vittoria dello Scudetto, abbiamo disputato la Champions League. Sono stati quattro anni molto intensi e molto belli. Su Buffon, vi racconto un aneddoto. Appena arrivato a Parma, ho conosciuto questo ragazzino che si stava già allenando con la prima squadra. La sera stessa ho chiamato il mio procuratore, dicendogli: 'Guardi, dottore, non capisco per quale motivo mi abbiano preso. Qua c'è un ragazzo che è una cosa fuori dal normale'. Lo vedevi, lo respiravi immediatamente. Non ci voleva uno scienziato per capire che sarebbe diventato un predestinato”.
Dopo il 1999, via agli amarcord. Nista va al Torino e ritrova Luca Bucci, al quale fa nuovamente da secondo. Vince anche lì, riportando il Toro in Serie A dopo la retrocessione dell'anno precedente. Lasciato il calcio giocato, intraprende la carriera di preparatore dei portieri. E nel 2010 – altro amarcord – si ricongiunge con l'amico Buffon, allenandolo alla Juventus. Nel curriculum compaiono esperienze con l'Inter e pure con il Napoli. L'ultima in ordine di tempo, prima dell'addio nell'agosto del 2020. Di lui, però, ci si continua a ricordare soprattutto per l'altra vita. La prima. Quella che gli ha permesso di entrare nella storia del pallone italiano, anche se da una porta secondaria.
