Hart; Richards, Kompany, Dunne; Zabaleta, Hamann, Ireland, Ball; Wright-Phillips, Jô, Robinho.
Usate Google o Wikipedia, vi è concesso. Poi unite i puntini – 11, come i calciatori in questione – e vi apparirà una figura un po' sghemba, forse, ma al contempo affascinante: il primo Manchester City dopo lo storico passaggio del club da Thaksin Shinawatra alla Abu Dhabi United Group. Niente Haaland, ai tempi, e niente De Bruyne. In campo personaggi come Dunne, Ireland, Wright-Phillips. E João Alves de Assis Silva, per tutti Jô.Il primo centravanti del City degli sceicchi.
Ai tempi Jô ha 21 anni e un futuro di tutto rispetto all'orizzonte. Il Manchester City lo ha pagato 24 milioni di euro per acquistarlo dal CSKA Mosca, dove aveva lasciato il segno timbrando per due volte anche contro l'Inter in Champions League: record di spesa del club – superato l'acquisto di Anelka nel 2002 – e dodicesima operazione più onerosa di quell'estate, più o meno equivalente al trasferimento di Ronaldinho dal Barcellona al Milan. Il nuovo primato di quel 2008, per la cronaca, sarà stabilito qualche settimana più tardi proprio da Robinho, passato dal Real Madrid allo stesso City dopo un infinito tira e molla con il Chelsea: 42 milioni di euro. Fa sorridere – o piangere? – pensando ai prezzi odierni ormai fuori controllo.
Sia Robinho che Jô sono in campo quel 13 settembre del 2008, 13 giorni dopo il takeover che rivolterà come un calzino la storia recente del Manchester City. L'avversario è il Chelsea di Luiz Felipe Scolari. E le cose iniziano bene, perché proprio il futuro milanista firma l'1-0 dopo un quarto d'ora. Lieta illusione: Ricardo Carvalho pareggia quasi subito, Lampard completa la rimonta a inizio ripresa e Anelka getta un altro po' di terra sulla bara a 20 dal termine. 1-3.
Il percorso di quel Manchester City e di Jô vanno di pari passo. I Blues, lontani dalle glorie guardioliane, chiudono al decimo posto in Premier League. E lo spilungone brasiliano non dimostra mai di valerli, quei 24 milioni. Segna una volta sola, in un tennistico 6-0 interno al Portsmouth, poi a gennaio se ne va in prestito all'Everton, dove timbra altre cinque volte. Un'altra mezza stagione a Liverpool, sei mesi in Turchia al Galatasaray, quindi il ritorno a Manchester, dove fa in tempo a vincere una FA Cup da comprimario sotto la guida di Roberto Mancini.
L'altro Jô è quello che lascia da parte i sogni di gloria per seguire un percorso modesto, ma non per questo privo di soddisfazioni. Nato e cresciuto nel Corinthians, dove nel 2005 vince il campionato con Carlos Tevez e Javier Mascherano, gira il mondo grazie al pallone: non solo Russia, Inghilterra e Turchia, ma anche Emirati Arabi (Al Shabab), Cina (Jiangsu) e Giappone (Nagoya, capocannoniere nel 2018). Ma è in Brasile, dove peraltro vince una Confederations Cup e viene convocato ai Mondiali del 2014 dalla Seleção, che il mancino riceve i maggiori riconoscimenti.
Jô è un beniamino al Corinthians, dove è tornato più volte, e pure all'Atletico Mineiro. Storia memorabile, quella col Galo bianconero. Cominciata in sordina, senza troppe aspettative, e proseguita in maniera trionfale. Jô arriva a Belo Horizonte nel 2012, dopo aver segnato appena due reti in un anno all'Internacional, e trova Ronaldinho, come lui a caccia di riscatto dopo gli alti e bassi al Flamengo. Sarà l'inizio di una partnership difficilmente dimenticabile. In campo, con un secondo posto in campionato e la leggendaria Libertadores del 2013, ma anche fuori.
Ronaldinho e Jô, devastanti dentro il rettangolo verde con gli assist del primo e le reti del secondo, lo sono anche quando si tratta di andare a far baldoria insieme. La città in cui vivono, in questo senso, (non) aiuta: Belo Horizonte. “Não tem mar, vamos para o bar”, dicono nella Capitale dello Stato di Minas Gerais. Non c'è il mare, allora andiamo al bar. E dei bar BH è la città simbolo del Brasile. Una tentazione non semplice da gestire per atleti ricchi e dediti alla bella vita.
GettyLo è sempre stato Ronaldinho, e questo lo sanno pure i muri. Ma un tempo lo era anche Jô. E così i due erano protagonisti della dolce vita mineira, mentre in campo riportavano l'Atletico ai massimi livelli. Ma se R10 non ha mai abdicato al proprio stile di vita dissoluto, Jô ha deciso di cambiare una volta capito che la spirale dell'alcol in cui si era andato a infilare lo avrebbe stritolato a poco a poco. Tutto confessato qualche anno fa in una lunga intervista a 'Globoesporte', con la certezza di esserne finalmente uscito.
“Ho iniziato a perdere il controllo quando sono andato in Russia. Ho cominciato a bere. Invece di uscire una volta alla settimana uscivo tre, quattro volte. Non dormivo. Una volta sposato, mi sono tranquillizzato. Poi però arrivano la fama, i soldi, e senti il bisogno di fare le cose di nascosto. I problemi iniziano lì. A casa litigavo e volevo uscire. Mia moglie discuteva con me, io uscivo. E lì mi ritrovavo da solo e facevo cattivi pensieri, cose sbagliate. Tutto questo è durato molto tempo”.
“Quando ho toccato il fondo? Quando sono mancato ad alcuni allenamenti dopo essere stato fuori tutta la notte. Ho perso degli aerei dopo aver bevuto. Tutte cose di cui mi pento, perché sono un calciatore professionista. Per fortuna non ho mai rischiato di morire per un incidente in auto”.
Jô ne è uscito. Si è convertito al Cristianesimo e da anni non tocca un goccio d'alcol. Diversamente dall'ex partner Ronaldinho, con cui ha drasticamente diminuito i contatti dopo l'addio congiunto all'Atletico Mineiro (2015).
“Ognuno ha la sua vita. Se Ronaldinho crede che il suo stile di vita sia corretto, rispetto la sua scelta. Se un giorno avrò l'opportunità di incontrarlo nuovamente, di spiegargli quello che ho vissuto e che sto vivendo oggi, glielo dirò”.
Oggi Jô compie 37 anni, gioca in patria nell'Amazonas e ogni tanto ripensa al Manchester City. Senza troppi rimpianti, se non quello di essere arrivato in un momento di transizione della storia del club.
"Shinawatra aveva venduto ed era appena andato via Eriksson, proprio colui che mi aveva chiesto al City – il suo racconto a 'espn.com.br' – Ma nonostante questo, per me è stato un sogno giocare in Premier League. Il City era ancora una squadra di metà classifica a quei tempi, ma stava progredendo. L'adattamento non è stato semplice: venivo dalla Russia e mi trovavo catapultato nel campionato più difficile del mondo”.
Treccine, goal, alcol, Ronaldinho. La Nazionale, il Manchester City. Lo status di giocatore più caro della storia degli inglesi, anche se solo per qualche settimana. Ne ha di cose da raccontare, Jô. Idolo al Corinthians e all'Atletico Mineiro, ma dimenticato dalla Premier League. Nonostante un tempo a guidare l'attacco del City ci fosse lui, mica Haaland.
