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Lyle Foster and Vincent Kompany.Getty

Vincent Kompany, l'ex difensore che ha riportato il Burnley in Premier

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Noordwijk è uno dei quartieri più poveri d’Europa. Ci crescono tanti immigrati, operai, persone senza lavoro. Si trova nella parte nord di Bruxelles ed è un mix di etnie e culture differenti. Lo era anche nel 1986, quando molti si trasferirono dall’allora Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, stretti tra la povertà di un paese enorme e disfunzionale e il pugno duro del regime di Mobutu.

È da lì che viene Pierre Kompany, che proprio quell’anno diventa, assieme a sua moglie Jocelyn, genitore di Vincent. Nessuno al tempo sapeva, che quel bambino sarebbe diventato uno dei difensori centrali più forti della sua generazione e, ora, un allenatore con enormi margini di crescita.

  • LA SCALATA VERSO IL SUCCESSO

    Vincent trascorre l’infanzia assieme al fratello François e alla sorella Christel, vivendo perlopiù con il padre. Dopo il divorzio, infatti, loro madre va a vivere nelle Ardenne.

    Gioca come tanti bambini nei campi di quartiere, dove il cemento la fa da padrone e dove le partite durano un tempo indefinito. Lì, all’età di 14 anni, nemmeno troppo presto, viene notato da uno scout dell’Anderlecht, che nota in lui un fisico imponente e una buona dose di talento.

    Nel club più importante del Belgio, Kompany si forma, fino a esordire a 17 anni. È il 2003 e Kompany non fa qualche presenza sporadica, no. Diventa un titolare inamovibile, mette insieme 29 presenze in campionato e 9 in Champions League. Su di lui arriva l’Inter, che però non riesce a chiudere un accordo.

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  • LA CONSACRAZIONE

    Nel 2006, già nel giro della nazionale da un paio di anni, viene acquistato dall’Amburgo per sostituire il connazionale Van Buyten, passato al Bayern Monaco. Lì vive anni difficili. Un brutto infortunio lo tiene fuori dal campo per quasi tutta la prima stagione, mentre nella seconda litiga con l’allenatore, Huub Stevens. Kompany vuole disputare le Olimpiadi di Pechino, l’Amburgo glielo vieta e minaccia azioni legali. Alla fine la questione si risolve prima che si crei il problema. Ad agosto 2007 lo acquista il Manchester City.

    In quegli anni il City non è ancora una delle regine del calcio mondiale, ma Kompany diventa immediatamente uno dei talenti più importanti della Premier.

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  • MANCHESTER NEL CUORE

    Rimane nella sponda azzurra di Manchester per 12 anni, diventa il capitano, scende in campo 360 volte, segna 20 goal. Diventa un’icona della squadra vincente prima con Roberto Mancini, poi con Manuel Pellegrini e Pep Guardiola e, contemporaneamente, arriva anche terzo ai Mondiali del 2018. Nonostante qualche infortunio, Kompany è un vero e proprio pilastro del suo club e della nazionale, ma, nel 2019, a scadenza di contratto, capisce che è il momento di tornare a casa.

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  • UNA NUOVA VITA

    Il 19 maggio 2019 annuncia il ritorno all’Anderlecht, nelle vesti di giocatore-allenatore. Un ruolo insolito, che dice tanto della caratura e del carisma di Vincent Kompany. L’inizio non è decisamente folgorante: nelle prime tre giornate conquista solo due punti, peggior inizio di stagione degli ultimi 21 anni nel club. A quel punto, capisce che deve fare un passo indietro. Torna a fare solo il difensore e il capitano, lasciando in panchina prima il coallenatore Davies, poi il vecchio mister, Franky Vercauteren.

    A fine stagione Kompany annuncia il ritiro e a quel punto, dopo aver solo assaggiato l’esperienza, assume in toto il ruolo di primo allenatore dell’Anderlecht. I risultati sono abbastanza buoni, ma non esaltanti. Firma un quadriennale, ma a maggio 2022, tre anni dopo il suo ritorno in Belgio, risolve il contratto con la squadra biancomalva.

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  • ANCORA IN INGHILTERRA

    Passano solo pochi mesi e Kompany trova subito un’altra squadra in cui allenare: il Burnley appena retrocesso dalla Premier League cerca un allenatore che possa provare a riportarli nel massimo campionato inglese e punta proprio su Kompany. Scelta rischiosa, ma che si rivelerà vincente.

  • UNA NUOVA VITA, DI NUOVO

    Il Kompany del Burnley è molto diverso da quello dell’Anderlecht. Più consapevole del ruolo che ricopre, più autorevole, sempre carismatico e deciso, come quando rimprovera i suoi giocatori per un atteggiamento distratto o perché lo contraddicono. I risultati si vedono:

    Il Burnley ha infatti appena conquistato la matematica certezza di partecipare alla prossima Premier, dominando per tutta la stagione, che ancora non è terminata.

    Gioca con un 4-2-3-1, un modulo che permette alla sua squadra di sfruttare al massimo il gioco sulle fasce, garantendo al contempo una solidità difensiva notevole.

    Ed è proprio questa, forse, la grande eredità del Kompany giocatore: la forza, il non tirare mai indietro la gamba, puntando su grinta e ordine, bastone e carota, come nella più classica delle tradizioni.

    Nella stagione in corso ha una media di più di 2 punti a partita: non male per un quasi esordiente che alle sue prime esperienze aveva un po’ faticato. Con la promozione in tasca, è il caso di dirlo: la scelta del Burnley è stata quella giusta. Ora Kompany, che ha ancora un anno di contratto, potrà concentrarsi sul futuro, sul ritorno in Premier, stavolta nelle vesti di coach. E chissà che emozione proverà quando tornerà nella città che lo ha accolto, che sia Old Trafford, lo stadio dello United, o che sia l’amato Etihad, dove ha saputo costruire partita dopo partita i successi di una squadra di fenomeni, che spesso è ricordata per la qualità degli attaccanti, ma che trova equilibrio soprattutto grazie alla difesa.

    Lì incontrerà Pep Guardiola, l’allenatore cui una volta non diede ascolto.

    Era il 6 maggio del 2019, meno di due settimane dall’annuncio del suo addio: la partita era quella tra il Manchester City e il Leicester. Partita chiusa, dura. Kompany arriva a 30 metri dalla linea di porta avversaria, alza la testa, guarda il pallone. Guardiola gli urla “Don’t shoot”, non tirare.

    Vincent fa finta di non sentire, per un attimo dimentica di essere un difensore tutto fisico e poco piede e calcia più forte che può. La palla si insacca sotto l’angolino e regala al City la vittoria e a Kompany il goal più bello della sua carriera.

    Determinazione e carattere, tratti distintivi del difensore che ora da allenatore sta stupendo il calcio inglese.

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