La nostra Unpopular Opinion vi porterà a dibattere, discutere, polemizzare e riflettere su concetti, idee e punti di vista che il calcio di oggi ha ormai forse esasperato.
GOALUnpopular Opinion - Conte deve capire che "maniavantismo" e polemiche sul mercato rischiano di rovinare la sua carriera
MA CONTE SMETTERÀ PRIMA O POI DI LAMENTARSI DI QUALCOSA?
Se il "maniavantismo" fosse una disciplina olimpica, Antonio Conte ne sarebbe primatista e leggenda. Se fosse un credo, probabilmente ne sarebbe profeta indiscusso. Messaggero dell'unico verbo calzante in ogni situazione. Hic et nunc, qui e ora. Ma anche prima, dopo e altrove. In qualsiasi contesto. Perché Antonio Conte cade sempre in piedi. Ed è un pregio saper cadere in piedi, intendiamoci. Ma ci cade in maniera rumorosa, fastidiosa. Grossolana.
Chi vi scrive è un fanatico degli allenatori che antepongono le battute al vetriolo alle solite e noiose, banali, dichiarazioni da 0-0. Mi piacciono, insomma, i tecnici "cazzuti": quelli che se la prendono con l'opinionista, che fanno valere la propria ragione anche quando la ragione non tiene e, anzi, sprofonda nelle sabbie mobili della logica e della lucidità. Eppure di Antonio Conte non riesco ancora a comprenderne il più ampio disegno, se è vero, com'è vero, che i vari José Mourinho, Pep Guardiola, Luciano Spalletti (e tutta quella fascia di allenatori che davanti a una telecamera sanno tirar fuori il meglio controbilanciando i già ottimi risultati del campo) un disegno loro, personale, più o meno visibile ce l'hanno. Ecco, quello di Conte proprio non riesco a decifrarlo. O meglio, pensavo di esserci riuscito: e invece no.
Dal minuto zero, anzi, per l'esattezza da quando ha accettato la nomina a guida tecnica della Juventus non ha fatto altro che lamentarsi di qualcosa. E il piano mi sembrava pure semplice, nella sua coerenza: perché il tema era quasi sempre lo stesso. Il mercato. Pensavo di averlo capito: più ti lamenti, più ti fanno il mercato. Non ti fanno il mercato? Allora vai via. Tanto, poi, dalla tua hai il campo, coi tuoi successi e le tue imprese (quella del Napoli lo scorso anno, signori, lo è e non possiamo ignorarlo). Ma la mia incrollabile certezza del disegno di Antonio Conte si è sbriciolata quando ha iniziato a parlare del mercato, sì, ma non dei mancati acquisti, quanto del numero esagerato di innesti. E allora, sì, mi son detto: c'è un problema. E pure grosso.
RICAPITOLIAMO: PERCHÉ È SEMPRE ANDATO VIA?
Torniamo indietro, giusto per contestualizzare. In un giorno di metà luglio del 2014 la Juventus pubblica uno strano video in cui Antonio Conte annuncia la risoluzione consensuale del contratto. Alla base dell'addio dell'allenatore leccese ci sarebbe, secondo le ricostruzioni, il mancato arrivo di Juan Iturbe (neanche fosse Lionel Messi) in bianconero, acquistato qualche ora prima dalla Roma per 22 milioni di euro più bonus. In realtà, già da qualche mese Conte si era mostrato spazientito, culminando il suo fastidio con la battuta, che ha fatto storia, dei "10 euro" nel "Ristorante da 100 euro". E una.
Certo è che per superare un girone con Galatasaray e Copenaghen (togliamo il Real Madrid, che vincerà la Decima proprio in quell'edizione) sarebbe bastato poco. Ma questo è un altro discorso. Conte lascia la Juventus e sposa il progetto della FIGC che gli affida la panchina della Nazionale: due anni (con un ottimo Europeo) e lascia anche quella. Perché? "Dopo il Mondiale c'erano buoni propositi, ma poi si è fatto marcia indietro come i gamberi". Dissapori. Durante la sua esperienza si lamenterà della scarsa disponibilità dei club a concedere i giocatori alla Nazionale: "Purtroppo ci sono situazioni in cui bisogna capire quando si è incudine o martello: in questo caso noi siamo l'incudine", disse, riferendosi ai club di Serie A quasi come a un martello. E va al Chelsea.
Questa parentesi fa sorridere. Conte vince la Premier League, mica poco, e conferma di essere uno dei migliori allenatori al mondo. Perché essenzialmente questo è il leccese: uno dei migliori. Senza se e senza ma. Lo è ancora oggi eh, va sempre ribadito. Eppure... eppure anche al Chelsea, il Chelsea di Roman Abramovich, il Chelsea negli anni dell'esplosione della Premier League come oggi la conosciamo, in un mondo sempre più social in cui i brand massimizzano i guadagni anche grazie alle campagne mediatiche, ecco, anche al Chelsea ha trovato il modo di lamentarsi. E, indovinate, anche dai Blues va via per le strategie di mercato.
Abramovich spende per lui 144,8 milioni di euro nel 2016 e 253,8 milioni di euro (tra estate e inverno) nel 2017. In totale, in due anni, 398,6 milioni di euro. Quasi 400 milioni. Non è contento, stando alle dichiarazioni ("Da questa estate, il club decide su ogni singolo giocatore da acquistare. Il mio compito è fare l’allenatore e migliorare i giocatori. Di sicuro, non incido molto sul mercato"), e viene esonerato. Rilascia, tra le altre cose, una frase che vi darà l'effetto di una deja-vu. "In futuro, se ci fosse la possibilità, dovremmo cercare di comprare solo due o tre giocatori, non otto". L'abbiamo già sentita di recente, sì.
All'Inter le cose non cambiano mica: sta due anni, vince lo Scudetto, poi va via. "Il mio progetto non è mai cambiato": chiede che non vengano ceduti i migliori, ma la proprietà vorrebbe un mercato da 100 milioni di euro di attivo e la cessione di uno o due Top Player (che gli eventi successivi diranno essere Hakimi e Lukaku, dato che lasceranno i nerazzurri proprio nell'estate del 2021). Ancora questo maledetto mercato.
The Athletic, poi, ci aiuta a ricostruire il suo addio al Tottenham: indovinate? Incomprensioni sul mercato. Conte giudica "non facile" il mercato degli Spurs che gli consegnano Bentancur e Kulusevski poco dopo il suo arrivo e giocatori come Richarlison, Bissouma, Spence e Perisic nella stagione successiva. Ma no: lui, stando alle cronache, avrebbe voluto Bastoni e Hakimi. Quindi incomprensioni. Le solite.
- PubblicitàPubblicità
MANI AVANTI DAL MINUTO ZERO: TRA "RETROPENSIERI" E "MIRACOLI"
Ora: tornando alla conferenza stampa che ha aperto il campionato scorso del Napoli, Antonio Conte ha parlato, anche lì, di mercato. Lo ha fatto mettendo le mani avanti sin da subito, anticipando i temi che, di solito, sciorina nei mesi cruciali della stagione. "Quanto al mercato, la situazione purtroppo è molto più complicata: è tutto bloccato e non posso dire nulla": e questo concetto se l'è trascinato dietro per quasi tutta l'annata che, poi, lo avrebbe portato a vincere lo Scudetto. E una volta chiede scusa ai tifosi azzurri, e un'altra parla di una "situazione che si aspettava migliore", precisando, puntualmente, di essere lì "per aiutare il Napoli". Sembra quasi uno di passaggio.
All'indomani dell'esordio disastroso contro il Verona, culminato con un 3-0 secco al Bentegodi, la società gli fa il mercato richiesto: arrivano Lukaku, Gilmour, McTominay e Neres negli ultimi giorni. Costo totale della sessione estiva: 150 milioni di euro. Con Osimhen non ancora ceduto. Eppure non è contento. Certo, poi a gennaio gli vendono Kvaratskhelia e lui parla di giocatore che "non è stato rimpiazzato", alla chiusura della sessione invernale. "Non buttiamo fumo negli occhi", ci dice. Un po' ha ragione: la sua rosa è inferiore a quella dell'Inter, ma deve giocare in una sola competizione. E si lamenta uguale. "Non voglio mettermi a capo di situazioni che non devono esser un miracolo, ma frutto della programmazione". Ah, questa programmazione.
Conte, però, si mostra scontento anche della gestione arbitrale: a novembre, dopo un Inter-Napoli, parla di "retropensieri". Scontro Anguissa-Dumfries e rigore per i nerazzurri: "Che significa che il VAR non poteva intervenire?". E poi: "Il VAR dovrebbe correggere gli errori o valutare situazioni sfuggite alla vista dall’arbitro. Usato così crea solo retropensieri da parte di tutti". Si presenta così, a DAZN.
Certo, a pensarci ora stona un po', considerando le dichiarazioni rilasciate dopo l'ultimo Napoli-Inter: "Secondo me una grande squadra deve fare le corrette valutazioni e capire perché oggi ha perso, se no crea alibi ai giocatori e penso che questo sia nocivo". Dopo Lecce-Napoli, e dopo il rigore assegnato ai salentini e sbagliato da Camarda, aggiunge altro: "Noi rimaniamo sereni e fiduciosi, sperando che certe lamentele non condizionino la classe arbitrale e Rocchi. [...] Noi non ci lamentiamo e stiamo zitti, ma non siamo scemi, questo sia chiaro". È la stessa persona?
MA CONTE ADESSO È CONTENTO O NO?
Arriviamo al dunque: tutto questo lamentarsi rischia di ritorcersi contro la sua, finora, grande carriera. Antonio Conte è, come abbiamo detto, e lo ribadiamo, uno dei migliori allenatori non solo in Italia, ma al mondo. Una garanzia per chi vuole vincere anche con una rosa inferiore a quella più forte: queste sono tutte cose che sappiamo. Eppure, a un certo punto, bisognerà dirgli che è vero, è antipatico perché vince, e fin qui non c'è nulla di male (meglio avere allenatori antipatici che allenatori noiosi), ma che se continua così corre il rischio di cucirsi addosso gli abiti del vincente... ma fino a un certo punto.
Anche perché il gioco è presto svelato: Conte arriva, mette le mani avanti dicendo che la rosa non è all'altezza e prepara il terreno per una stagione da outsider. Poi continua a mostrare insofferenza e riceve dal mercato quello che gli serve: e a quel punto non è più mica tutto questo outsider. Per tutte le settimane successive ribadisce il concetto di "aiuto", di "miracolo sportivo" e convince tutti che, alla fine, non ci si può sedere a un ristorante da 100 euro con 10 euro. Al termine del campionato, vinto come al solito (per sua bravura), dice che è stato qualcosa di quasi irripetibile e che va costruito un progetto. Servono rinforzi, ancora. Serve migliorarsi perché c'è l'Europa: ed è qui che chi vi scrive ha smesso di capire il suo disegno. Perché nonostante quello che probabilmente è stato miglior mercato della storia del Napoli, con rinforzi mirati e nomi importanti, ha detto che "sono troppi nove acquisti". Ma come?
"Eravamo obbligati a fare mercato, avevamo una rosa striminzita", spiega: Manna gli dà ragione. Ora: concettualmente, il discorso di una rosa con un'ossatura destinata a traballare con tanti innesti ci può anche stare, se a parlare non fosse Conte. Colui che ha sempre chiesto un certo mercato, ovunque sia stato, e che adesso di un certo mercato si lamenta. Perché in fin dei conti è quello che fa da sempre: mostrarsi scontento, pure dopo una prestazione come quella di Eindhoven, che dovrebbe far dire che in Europa, e sarebbe anche ora, può sicuramente fare meglio di una sconfitta per 6-2. Ma tanto, anche lì, forse, troverebbe qualcosa che non va.
- PubblicitàPubblicità

