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Francesco TottiGetty Images

Totti e l’orgoglio di vincere lo Scudetto con la Roma: “Per me è un gradino sopra al Mondiale”

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Francesco Totti, nel corso della sua straordinaria carriera, si è guadagnato un posto al tavolo dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi.

Autentica leggenda della Roma, in giallorosso ha vinto da capitano uno storico Scudetto, prima di laurearsi poi campione del mondo con la Nazionale Azzurra nel 2006.

Totti, nel nuovo episodio di 'Fenomeni', il format originale di Prime Sport condotto da Luca Toni, ha rivissuto alcuni dei momenti più importanti del suo percorso da giocatore e parlato anche della sensazione provata quando ha appeso gli scarpini al chiodo.

  • “MI VOLEVA IL MILAN E SONO STATO VICINO AL REAL”

    “Quando avevo dodici anni venne Ariedo Braida a casa nostra e offrì 160 milioni di lire per portarmi al Milan. Mia mamma mi voleva proteggere e voleva che restassi alla Roma, quindi non se ne fece nulla. Nel 2004 fui invece vicinissimo al Real Madrid: in quel caso è mancata solo la firma, ma sono stato io a non metterla. Successivamente ci fu la possibilità di andare negli Stati Uniti per giocare in MLS e Mihajlovic mi chiamò per andare al Torino. Non avrei però mai potuto accettare e non mi sono pentito. La mia scelta è sempre stata la Roma: ho subito pensato ‘qua sono nato e qua muoio’. Qualcuno potrà battere i miei record in giallorosso, ma sarà impossibile superare il mio affetto e il mio legame con la gente. Non sono mai stato più grande della Roma: ci siamo portati in alto a vicenda.”

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  • “LO SCUDETTO UN GRADINO SOPRA IL MONDIALE”

    “Io non ho vinto uno Scudetto, ho vinto lo Scudetto, con una maglia, quella della Roma, disegnata su di me. Viverlo da capitano, simbolo della Roma e romanista, è stato indescrivibile.

    Vincere Mondiale e Scudetto sono i sogni che ogni calciatore vuole realizzare: per me il primo era lo Scudetto. Qualcuno dirà che sono pazzo, ma io lo metto un gradino sopra.”

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  • “IL CALCIO A BALOTELLI? UNA COSA CHE COVAVO DA TEMPO”

    “Ancora oggi non mi rendo conto di aver sputato contro Poulsen: un gesto brutto, che da calciatore non avrei accettato di subire e del quale mi vergogno. Il calcio a Balotelli? Una cosa che covavo da tempo. Era giovane ed era un fenomeno, ma anche arrogante e presuntuoso. Quel giorno il mio obiettivo non era pareggiare la partita, pensavo solo che se mi fosse capitata l’occasione per mandarlo in curva, l’avrei colta.

    Poi l’ho sentito e gli ho chiesto scusa, l’abbiamo buttata sul ridere. Il pugno a Colonnese? Mi disse che Cristian non era mio figlio e non ci ho più visto.”

  • “SPALLETTI ARRIVÒ PER FARMI SMETTERE”

    “Secondo me Spalletti, nel 2016, arrivò alla Roma per farmi smettere, assecondato dalla società. Con lui ogni volta c’erano dei problemi, era uno Spalletti opposto rispetto a quello del 2005. Forse è convinto che io lo abbia fatto allontanare per prendere al suo posto Ranieri, ma non è vero. La società convocò me e altri giocatori per chiederci chi volessimo tra Mancini, Ranieri e altri. Sul mio addio fu la società a dirmi che dovevo smettere: vennero a casa mia a dirmi che avrei giocato l’ultimo derby. Non sono stupido, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento, ma mi sentivo ancora bene con le gambe e con la testa. Forse in quell’occasione la Roma mi ha deluso più di Spalletti. Avevo detto che per la Roma avrei dato tutto, che avrei giocato anche gratis.”

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  • “DOPO IL RITIRO HO PIANTO PER TRE SETTIMANE”

    “Quando ho smesso di giocare mi sono sentito senza la terra sotto i piedi. Noi calciatori siamo schematici, per tanti anni facciamo tutti i giorni le stesse cose e io mi sono trovato in difficoltà, spaesato. Non sapevo cosa fare, cosa pensare, come organizzarmi e cosa aspettarmi. Per tre settimane ho pianto tutti i giorni: ero spaventato e freddo con tutti, sentivo un’atmosfera paurosa. Rileggevo in bagno la lettera di addio e piangevo, pensavo che quei venticinque anni erano volati. Ero convinto che avrei fatto una partita di addio, ma dopo le emozioni di quel giorno all’Olimpico ho capito che non ci sarebbe potuto essere un altro addio al calcio e alla Roma. Quel giorno è stato come il distacco tra una madre e un figlio.”