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Takefusa KuboGetty

Takefusa Kubo ci ha spiegato cosa vuol dire "aspettare un talento"

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La prima volta che abbiamo sentito parlare di Takefusa Kubo, il Barcellona è campione d'Europa in carica e si prepara a ritornare sul tetto del mondo battendo in finale, a Yokohama, il Santos, grazie a una doppietta di Lionel Messi e alle reti di Xavi e Cesc Fabregas.

In termini puramente geografici, tutto questo avviene a poco più di sedici chilometri dalla città di Kawasaki, nella prefettura di Kanagawa, proprio mentre Takefusa, allora un bambino di dieci anni, viene acquistato dai blaugrana. Sì. E' lì che abbiamo sentito parlare per la prima volta di Kubo, in effetti.

La seconda volta, invece, è stata quando il suo trasferimento al Barça (insieme ad altri) costò ai catalani il blocco di due finestre di calciomercato sanzionato dalla FIFA per alcuni errori nell'iter di acquisizione dei calciatori minorenni.

In entrambi i casi, a risaltare è un'etichetta che il mondo e la storia del calcio hanno già affibbiato a molti tra i giovani calciatori che si sono susseguiti come "talenti puri" prima di Kubo: il "nuovo Messi". O, se volete, il "Messi giapponese".

La sua storia, a differenza di quella di Leo, ha vissuto diverse deviazioni: se nel 2023, però, si parla ancora di Takefusa come di uno dei più interessanti prospetti del panorama calcistico internazionale, non tutto è andato perduto lungo il percorso. Anzi: forse qualcuno ha fatto bene ad aspettarlo.

  • CI VUOLE PAZIENZA

    L'avventura di Kubo al Barcellona, in verità, non va come ci si aspetta: non è tanto il paragone con Messi a pesare, quanto un sistema che, nel giro di pochi anni, dopo il rilevamento degli errori burocratici e il conseguente blocco del mercato, ha portato a rivedere alcune dinamiche interne sulla crescita dei talenti della Masia.

    Insomma, a Kubo, a quattordici anni, non resta altro che fare le valigie e ritornare in Giappone, all'FC Tokyo, una volta evidenziata l'irregolarità nel suo tesseramento e in quello di altri ragazzi che, al di là delle etichette, avrebbero voluto vivere e concretizzare il sogno di esordire, un giorno, tra i blaugrana.

    Nel novembre del 2016 diventa il secondo giocatore più giovane a fare il suo esordio in un campionato in Giappone, dopo l'ex Catania Takayuki Morimoto: ad aprile, nel 2017, sarà invece più giovane a segnare una rete in J3 League, con il Tokyo Under 23 contro il Cerezo Osaka.

    In termini anagrafici, questo si traduce in "quindici anni e dieci mesi": sorvoliamo sul facile pensiero, intriso di immaginazione, su "cosa si fa e dove si è, di solito, a 15 anni". Un goal sì, ai videogiochi: a casa, dopo aver studiato.

    Tra il 2017, anno del suo debutto in prima squadra, e il 2019, Kubo è ancora in Giappone: vive un'esperienza in prestito agli Yokohama F·Marinos. Ttra l'altro con un uomo che, nel nostro presente, si sta prendendo delle belle soddisfazioni al Tottenham: Ange Postecoglou.

    Poi ritorna al Tokyo: cresce e mette insieme diverse buone prestazioni. Ha aspettato tanto, ma la chiamata è arrivata: dalla Spagna, di nuovo, ma questa volta il Real Madrid. La "vendetta" sportiva perfetta.

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  • DELUSIONE BLANCOS

    Ma perché, allora, la storia di Kubo è sempre sembrata quella di un ragazzo che non è riuscito a esprimere il suo potenziale? Perché siamo portati, spesso, ad associare un talento assoluto alla squadra d'appartenenza, quando, invece, non è indice di alcunché.

    Nel caso del giapponese, ad esempio, non si può parlare di un ragazzo che non è riuscito a esprimere il suo potenziale, anzi: lo sta facendo, giorno dopo giorno, dopo aver girovagato un po'.

    Questo è il punto: l'andirivieni di esperienze in prestito accumulate tra il 2019 e il 2022. Il Real Madrid lo cede al Mallorca e alla sua prima stagione in Liga mette insieme 34 presenze e 4 reti. Se non sono numeri da fenomeno, a diciotto anni, questi, quali possono esserlo?

    L'anno successivo è al Villarreal: e qui, no, non va benissimo. Poche presenze, una sola rete in Europa League contro il Maccabi Tel Aviv: a metà stagione i Blancos lo richiamano e lo "passano" al Getafe. E si riprende.

    Tra il 2021 e il 2022 ritorna a Mallorca per la definitiva consacrazione: il Real Madrid, che ha ormai da tempo messo da parte la voglia di aspettare e coltivare i talenti, meno efficace di una vittoria "qui e adesso" favorita dai numerosi investimenti sul mercato, ci crede meno. Sempre meno, nonostante gli ottimi numeri.

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  • NELLA "CONCHA"

    Arriva una chiamata, nella sede del Real Madrid: proviene da Donostia. Donostia: da "Done Sebastian", probabilmente. San Sebastian. E' la Real Sociedad, che nel progetto di Imanol Alguacil vede l'espressione massima delle potenzialità di Takefusa Kubo.

    La spesa del cartellino, a pensarci, è folle: poco più di sei milioni per un giocatore che, da un momento all'altro, può accenderti, cambiarti e risolverti la partita. La Real Sociedad, però, non è nuova a idee del genere.

    Nella "concha", nella conchiglia, Alguacil ci ha trovato una perla: alla sua prima stagione a San Sebastian totalizza nove reti in quarantaquattro presenze tra Liga, Copa del Rey e Europa League. In questa, invece, ne ha già segnate tre in cinque partite.

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  • ASPETTARE SERVE

    Kubo, per chiarire meglio, è il senso ultimo del concetto di "aspettare i talenti", spesso fin troppo superficiale all'atto pratico, resto difficile, nella sua applicazione, da un calcio fin troppo veloce e legato ai risultati.

    Il Barcellona, quando lo ha acquistato all'età di dieci anni, nel 2011, non aveva visto male: il Real Madrid, quando lo ha riportato in Europa nel 2019, neanche. Entrambi i club, mostruosi nella loro portata, però, non hanno avuto (per ovvi motivi) la pazienza né la possibilità di puntare su un talento come Takefusa Kubo che, adesso, è pronto al salto definitivo.

    Dopo essere esploso, finalmente, al termine di un percorso che, a differenza di Lionel Messi (non è un paragone il nostro, sottolineiamo), lo ha messo alla prova, plasmandone il carattere. Perché Kubo è Kubo, oggi, e non più "il nuovo Leo" o il "Leo giapponese". Dopo una lunga attesa: perché aspettare, a volte, serve.

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