Io la ricordo la primissima conferenza stampa in clima “matchday” di Antonio Conte sulla panchina del Napoli, uno spettacolo intriso di lamentele e frasi che celavano malcontento, dopo un mercato evidentemente non all’altezza delle sue aspettative. Spazientito, sembrava aver aperto, neanche il tempo di muoversi all’interno della sua area tecnica, una crisi che la squadra azzurra, reduce da una stagione fallimentare, non meritava. Poi sono arrivati i colpi di fine estate.
Fatico a dimenticare anche le altre parole verso la società: la missione che si è intestato per “aiutare il Napoli”, venire in suo soccorso (ma chi gliel’ha chiesto?). Gli accenni al “miracolo”: ma siamo seri. A definirla una “Leicester italiana” si rischia di mancare di rispetto a chi i problemi di formazione li ha davvero: il Napoli che con Antonio Conte vince lo Scudetto non è una favola, no, ma non è la più forte del campionato. Forse neanche la seconda e neppure la terza più forte. Però non ha le coppe.
E allora il Milan di Stefano Pioli? Eh, ma il Milan di Stefano Pioli, almeno fino a dicembre, le coppe (la Champions) l’aveva. Il Napoli di Conte no: alla fine della stagione quattro centrali, due laterali di difesa a destra e due a sinistra. Sei centrocampisti, due ali a destra e due a sinistra. Tre attaccanti centrali (se si conta anche Raspadori). Sono numericamente quasi due formazioni. E nomi comunque importanti: i rossoneri che nel 2022 hanno battuto l’Inter nella corsa al Tricolore sono ancora, attualmente, la formazione più scarsa a esserci riuscita. Però, e senza voler essere democristiano, posso dirlo: se non è la più scarsa Scudettata degli ultimi 20 anni, poco ci manca. Quindi sì, applausi comunque.