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Roberto MerinoGetty Images

Roberto Merino: il "Maradona delle Ande" rimasto legato alla Salernitana

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Tra le figure retoriche di significato, la più diffusa e quella immediatamente più comprensibile anche ad un pubblico meno avvezzo a determinate sfumature è la metonimia.

Con questo astruso termine che deriva dal greco si indica quel "procedimento linguistico espressivo che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un’altra in base a una relazione di contiguità spaziale, temporale o causale".

Tramite questo processo linguistico dunque chiamiamo genericamente "Polaroid" le fotografie stampate istantaneamente su pellicola o "Cleenex" i fazzoletti, sovrapponendo il nome della marca a quello del prodotto.

Allo stesso modo, definire un calciatore "Maradona" accostandovi l'area geografica di provenienza tende a indicare un'eccellenza. Un talento puro, che in qualche modo ricorda quello del fenomeno argentino prematuramente scomparso nel 2020.

Dai Carpazi agli Urali, passando per i Balcani, non esiste catena montuosa che non abbia avuto il suo Maradona.

Potevano quindi le Ande esimersi dal dare i natali alla propria versione del fenomeno? Certo che no.

Un'altra costante è che i Maradona di tutto il mondo in comune con Diego Armando hanno avuto ben poco, ma hanno condiviso tutti lo stesso destino: grandi aspettative, puntualmente deluse dalla prova dei fatti.

  • DAL PERU' ALLA SPAGNA: LA STORIA DI UNA FAMIGLIA

    Ecco in questa nostra storia l'appellativo di Maradona delle Ande se lo prese Roberto Merino, calciatore peruviano classe 1982.

    Una carriera, la sua, che sembrava destinata a rimanere impressa e che invece è scivolata via un flop dietro l'altro.

    Oltre 20 squadre cambiate nel corso degli anni, quasi sempre in categorie inferiori o in campionati dal tasso di competitività piuttosto modesto.

    Una storia familiare non semplice la sua. La famiglia patisce una vita in povertà, all'interno di un contesto politico-economico pesantemente gravato da inflazione senza controllo e instabilità.

    Un obiettivo, cercare fortuna altrove. Due strade da prendere: tentare quella del sogno americano o mettere un Oceano tra casa propria e il futuro trasferendosi in Europa.

    Vince la seconda. La famiglia Merino si trasferisce in Spagna e da qui inizia a scrivere un nuovo capitolo della propria vita.

    Il piccolo Roberto non è tanto alto ma con il pallone tra i piedi è molto bravo e inizia a farsi notare. Da giovanissimo viene notato da alcuni osservatori della Masia del Barcellona, ma viene scartato dopo qualche tempo. La classe c'è, ma è troppo piccolo per il calcio che si aspettano al Camp Nou.

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  • IL GIRO DEL MEDITERRANEO

    A nemmeno diciott'anni finisce nelle mani del Mallorca, che lo mette sotto contratto e a disposizione delle proprie formazioni giovanili.

    La convinzione dalle parti delle Baleari era quella di essersi aggiudicati uno dei talenti più fulgidi del Sudamerica negli anni a venire, e con il vantaggio di non aver bisogno di quel fisiologico periodo di adattamento che investe gran parte dei calciatori che arrivano dal Nuovo Continente.

    Un presentimento che fu prontamente smentito dai fatti. Merino non riuscì mai a esordire con il club in Liga, limitandosi a un paio di apparizioni in Intertoto e una in Coppa del Re.

    L'anno successivo gioca con regolarità, ma con il Mallorca B in Segunda Division B, l'allora Serie C spagnola.

    Il club delle Baleari se ne separa nel 2000, cedendolo al Malaga per permettergli di proseguire il suo processo di crescita.

    Ma il passaggio dal Mediterraneo alla penisola non gli giova. Anche in Andalusia lo spazio è poco e prevalentemente riservato alla squadra B.

    Il calcio spagnolo, malgrado le sue caratteristiche fisiche che gli garantiscono agilità e velocità, non sembrano fare per lui. O meglio, non sembrano convincere chi ha deciso di portarlo lontano da Perù. Meglio provare a mettersi in gioco in un altro Paese e in un campionato meno esoso.

    Arriva dunque il Servette, squadra svizzera, dove il peruviano lascia un discreto ricordo fatto di 3 goal in 12 presenze e la dimostrazione di essersi adattato meglio di prima alle richieste del calcio europeo.

    Dopo una rapida e infruttuosa seconda esperienza in Spagna con il Murcia, Merino trova la sua dimensione nel campionato greco con la maglia del Atromitos.

    Scaricate le pressioni di dover dimostrare di essere il Maradona delle Ande, nell'Ellade il peruviano si impone come uno dei migliori profili del biennio 2006-2008.

    E grazie a questo rendimento torna a stuzzicare le fantasie di chi ancora immagina che dentro a quei 168 centimetri e a quel piede sinistro possa celarsi l'eldorado calcistico.

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  • LA QUASI SVOLTA DI SALERNO

    Arriva un'offerta dall'Italia, più precisamente dalla Salernitana a quei tempi in Serie B.

    L'accoglienza a Salerno è molto calorosa. Merino è un colpo che riesce a dare entusiasmo a una piazza sulla quale aleggia lo spettro del fallimento economico e della retrocessione.

    La sua qualità fatica però ad emergere, se non a sprazzi. Il momento più alto della sua esperienza in Campania è senz'altro il goal spettacolare realizzato all'Arechi contro l'Albinoleffe il 18 aprile 2009.

    Un sinistro fatato lasciato partire da 40 metri, che disegna una parabola imprendibile per il portiere avversario.

    Merino si prende un pomeriggio da protagonista, che lo lega indissolubilmente al cuore dei tifosi granata. Un affetto che anche in tempi recenti, di ritorno a Salerno per un'iniziativa di calcio giovanile, ha visto il peruviano venire investito dal calore della gente.

    Le strade però si separano quando la Salernitana viene dichiarata fallita ed è costretta a ripartire dalla Serie C.

    E da quel momento in poi Merino inizia la girandola di squadre e maglie diverse che caratterizzeranno la seconda parte della sua carriera.

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  • GIRAMONDO

    Dopo una stagione da nababbo in Arabia Saudita con l'Al-Nassr, il trequartista torna in Sudamerica. Un tourbillon di squadre, dalle peruviane Union Comercio, Club Juan Aurich all'UTC Cajamarca, alla colombiana Deportes Tolima fino alla Thailandia, dove gioca con la maglia del Pattaya United.

    Il grande amore di Merino però resta l'Italia e quando si presenta l'occasione di tornare non se la lascia scappare. Prima una fugace esperienza alla Nocerina, poi una sfilza finale di esperienze italiane in serie minori antecedenti al ritiro.

    Torres, Puteolana, Spoleto e Sora. Poi arriva il momento di dire basta. Il 1 gennaio 2020 annuncia il suo ritiro dal calcio giocato.

    Fa sorridere che a un giramondo come lui venga quasi il presentimento che qualche cosa, di lì a breve, avrebbe stoppato tutto.

    Merino lascia pochi mesi prima dello stop ai campionati e alla mobilità di miliardi di persone nel mondo a causa del Covid.

    Quello stesso mondo in cima al quale sarebbe dovuto salire il peruviano, ma che invece lo vedrà rimanere inchiodato a terra. La metonimia maradoniana, almeno, non gliela potrà togliere nessuno.

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