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La tragedia di Robert Enke, il portiere tedesco morto suicida a 32 anni

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“È commovente. Dopo averlo letto, non solo ho sentito di capire una po’ di più cosa sia la depressione, ma ho anche compreso di dover smettere di credere nel mito secondo cui i calciatori  sono dei supereroi immuni alle critiche o alla pressione”.

Questo virgolettato del ‘Telegraph’ si trova sulla quarta di copertina di ‘A Life Too Short’, pluripremiato libro del giornalista tedesco Ronald Reng, che nel 2011 ha raccontato la tragedia di Robert Enke, portiere tedesco che si è tolto la vita il 10 novembre 2009. Era il numero uno dell’Hannover e di lì a poco avrebbe giocato il Mondiale in Sudafrica da titolare della Germania.

Oggi Robert Enke avrebbe compiuto 45 anni. Probabilmente non sarebbe più in campo e forse nemmeno nell’ambiente del calcio. Sarebbe nella sua casa in campagna, in mezzo al silenzio e alla tranquillità, insieme alla moglie Teresa e alla sua figlia adottiva Leila, che oggi ha 13 anni. Nel 2006 aveva perso la sua primogenita Lara per un problema cardiaco raro che le era stato diagnosticato sin dalla nascita. Aveva solo due anni.

Oggi Robert Enke non c’è più, ma la sua storia è arrivata ad ogni latitudine. La Robert Enke Foundation, costituita con il contributo della federazione tedesca (la DFB), la lega tedesca (DFL) e  l’Hannover 96, ha l’obiettivo di aiutare chi lavora nel mondo del calcio e soffre di problemi di salute mentale e sensibilizzare tutti gli appassionati di calcio sul tema: dietro ogni calciatore c’è una persona.

  • Robert EnkeGetty Images

    I PRIMI ANNI DI ROBERT ENKE

    Robert sin dall’adolescenza era un ragazzo piuttosto introverso, che cercava di combattere la sua timidezza rifugiandosi nel pallone. Doveva essere un attaccante, ma è stato messo in porta. Per ‘Enkus’, come lo chiamavano i suoi (pochi) amici più stretti, è stata la svolta in termini di carriera, ma psicologicamente l’impatto con il ruolo è stato ancora più difficile di quanto potesse immaginare: la pressione dell’errore sempre dietro l’angolo, la responsabilità della porta, la necessità di essere perfetti alimentavano i suoi demoni interiori.

    Giocava con il Carl Zeiss Jena, la squadra della città in cui è nato, nell’ex Germania est. Era il 1995 quando dovette sfidare il VfB Lipsia, nel campionato di 2. Bundesliga, nella sua prima stagione da professionisa. Iniziò da titolare: lo era diventato abbastanza a sorpresa. A 18 anni giocò contro l’Hannover e il Lubecca, poi arrivò la terza partita, appunto contro il Lipsia.

    Dopo tre minuti, Enke si lasciò sfuggire un tiro apparentemente innocuo di Guido Hoffmann. Entrò in crisi. Nonostante un paio di ottime parate, nel primo tempo chiese all’allenatore Eberhard Vogel di essere sostituito. Il tecnico si rifiutò. Enke giocò il secondo tempo, poi se ne tornò in panchina fino a fine stagione.

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  • Robert EnkeGetty Images

    IL GLADBACH, LA SVOLTA

    Le sue doti, specialmente con le nazionali giovanili tedesche, avevano convinto il BorussiaMönchengladbach ad assicurarsi le sue prestazioni. Era il 1996: il Borussia aveva vinto nel 1995 la DFB-Pokal e sognava di tornare ai fasti degli anni ’70. Contava su star come Stefan Effenberg a centrocampo e il portiere UweKamps, secondo giocatore di sempre dietro a Berti Vogt per presenze nella storia dei Fohlen.

    L’approccio di Kamps con i più giovani non era esattamente morbido. Enke lo subì in modo particolare: il veterano lo metteva sotto pressione, lui non riusciva a rispondere. La timidezza che ritornava. Nella prima stagione era il terzo in graduatoria, passava più tempo con la seconda squadra nelle serie minori che insieme alla prima. E ciò gli lasciava un senso di disagio.

    Aveva persino pensato di smettere con il calcio, si era informato su quali lavori alternativi potesse svolgere. A dargli la forza di andare avanti è stato MarcoVilla, attaccante di origini italiane, di un anno più grande di lui e che era uscito a trovare subito spazio nella prima squadra. Con Villa affrontò anche il servizio militare: fu la sua ancora.

    Così Enke decise di non mollare: venne promosso a secondo nella stagione successiva, prima di diventare addirittura titolare nell’estate 1998. Nella maniera più imprevedibile: Kamps ricadde male dopo un salto in allenamento, rompendosi il tendine d’Achille. Sul mercato arrivò l’esperto Jörg Schmadtke, ma la decisione dell’allenatore Friedel Rausch fu quella di dare la maglia da titolare a Robert, che intanto era entrato anche nel giro dell’Under-21. Rimase tra i pali fino a fine anno, quando arrivò un’amara e inesorabile retrocessione. 

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  • Robert EnkeGetty Images

    L'ESTERO, GIOIA E DOLORE

    Enke era sprecato per la seconda serie. E le offerte sul tavolo non tardarono ad arrivare: poteva andare al Monaco 1860, ma decise di accettare la chiamata del Benfica, dove sarebbe stato allenato da Jupp Heynckes. Fu una decisione che spiazzò anche Teresa, che dovette così rinunciare ai suoi studi per seguirlo in Portogallo.

    Era l’inizio di luglio. Era già tutto programmato. Firma, presentazione. Ma Robert tentennò. Iniziò a porsi domande, proprio nel momento in cui doveva inchiostrare l’accordo con quella che sarebbe stata la sua nuova squadra. Alla fine firmò. Ma la sera stessa cambiò idea: in pieno attacco di panico, decise che voleva andare via. Ci vollero diversi giorni per ritrovare la serenità e poter iniziare la nuova avventura con le Aguias.

    In tre anni, Enke giocò da titolare sotto ogni allenatore che si alternò sulla panchina del Da Luz (Mourinho compreso). Ritrovò la serenità. Fino al 2002, anno della scadenza del contratto, in cui era arrivato il momento di provare ad andare ancora più in alto: Ferguson lo avrebbe voluto a tutti i costi al Manchester United, invece Enke scelse il Barcellona.

    Lì trovò un altro santone come Louis Van Gaal, ma tra i due il feeling non scattò mai, tanto che addirittura durante le trattative per andare in Blaugrana il tecnico gli disse che nemmeno sapeva chi fosse, quando Enke cercava rassicurazioni. Esordì col Novelda in Coppa del Re, la sua squadra fu eliminata. Frank de Boer, allora capitano, gli diede pubblicamente la colpa. Victor Valdés dirà che Enke venne “gettato in pasto ai leoni”.

    Andò in prestito al Fenerbahce, ma dopo un esordio in casa perdendo 0-3 venne bersagliato dai tifosi. Decise di tornare subito in Spagna. Si allenò a parte per 4 mesi. A gennaio andò al Tenerife, dove però non fu altro che una comparsa. Furono mesi che psicologicamente lo distrussero: su consiglio del suo procuratore, iniziò ad essere seguito da un terapeuta.

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  • Robert Enke memorialGetty Images

    HANNOVER, SALVATAGGIO E CROLLO

    Le panchine al Tenerife, in seconda serie spagnola, sembravano la fine della sua carriera ad alti livelli. Invece ad Hannover decisero di puntare subito su di lui. In un ambiente per nulla frenetico, senza le pressioni dei top club, Enke riuscì a trovare continuità. Giocava sempre, riceveva riconoscimenti continui, era diventato anche capitano nel 2007 e si era legato al club con un lungo contratto.

    Tutto sembrava andare per il meglio. Da fuori. Enke era anche in nazionale, si giocava l’eredità di Kahn e Lehmann insieme a Manuel Neuer, ma sembrava il favorito per andare da titolare in Sudafrica al Mondiale del 2010. Due anni prima era stato una riserva a Euro 2008, perdendo in finale.

    Era un portiere da nazionale. Giocava, convinceva, riceveva riconoscimenti continui. Ma conviveva con la depressione, uno spettro che spesso tornava a fargli visita. A peggiorare le cose la morte della piccola Lara, che lo distrusse emotivamente. Non si riprese mai del tutto. Tanto che tra il settembre e l’ottobre del 2009 Enke non giocò nemmeno una partita a causa della depressione.

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  • Robert Enke funeralGetty Images

    IL SUICIDIO

    L’8 novembre 2009 Robert Enke giocò la sua ultima partita, un 2-2 contro l’Amburgo. Due giorni dopo, si tolse la vita gettandosi sotto ad un treno regionale che stava transitando ad un passaggio a livello ad Eilvese, nei dintorni di Hannover. Lasciò un biglietto alla moglie, i cui dettagli non sono mai stati diffusi. Aveva perso la sua battaglia con la depressione.

    La cerimonia funebre si svolse nello stadio di Hannover, dove già nei precedenti giorni tantissimi tifosi avevano portato fiori e candele. Il calcio lo commemorò fermandosi per un minuto e ciò accade ancora nel weekend più vicino all’anniversario della sua morte.

    In Germania è stato istituito infatti il “Ged-Enke Minute”, il “minuto di pensiero”. Un minuto di silenzio per ricordare Robert e soprattutto per sensibilizzare chiunque faccia parte del calcio o chi lo segua sul tema della salute mentale degli atleti. Più delle parate, più dei numeri: la vera, fondamentale eredità di Robert Enke.

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