“È commovente. Dopo averlo letto, non solo ho sentito di capire una po’ di più cosa sia la depressione, ma ho anche compreso di dover smettere di credere nel mito secondo cui i calciatori sono dei supereroi immuni alle critiche o alla pressione”.
Questo virgolettato del ‘Telegraph’ si trova sulla quarta di copertina di ‘A Life Too Short’, pluripremiato libro del giornalista tedesco Ronald Reng, che nel 2011 ha raccontato la tragedia di Robert Enke, portiere tedesco che si è tolto la vita il 10 novembre 2009. Era il numero uno dell’Hannover e di lì a poco avrebbe giocato il Mondiale in Sudafrica da titolare della Germania.
Oggi Robert Enke avrebbe compiuto 45 anni. Probabilmente non sarebbe più in campo e forse nemmeno nell’ambiente del calcio. Sarebbe nella sua casa in campagna, in mezzo al silenzio e alla tranquillità, insieme alla moglie Teresa e alla sua figlia adottiva Leila, che oggi ha 13 anni. Nel 2006 aveva perso la sua primogenita Lara per un problema cardiaco raro che le era stato diagnosticato sin dalla nascita. Aveva solo due anni.
Oggi Robert Enke non c’è più, ma la sua storia è arrivata ad ogni latitudine. La Robert Enke Foundation, costituita con il contributo della federazione tedesca (la DFB), la lega tedesca (DFL) e l’Hannover 96, ha l’obiettivo di aiutare chi lavora nel mondo del calcio e soffre di problemi di salute mentale e sensibilizzare tutti gli appassionati di calcio sul tema: dietro ogni calciatore c’è una persona.









