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La "rivelazione religiosa" di Mourinho, il Re di Coppe

“Il club ha dormito per un po’ e si è svegliato parecchio bene”.

Quando José Mourinho, con cravatta “allargata” e camicia sbottonata, capello da businessman alla fine di un’intensa giornata di lavoro, consapevole di aver portato a termine uno degli affari più importanti della sua vita, si presenta ai microfoni dello “spot” di Sky Sports dell’allora Auf Schalke di Gelsenkirchen (oggi Veltins-Arena), parla nei termini di un principe fiabesco intriso di quel tocco magico, e mistico, di chi, salito in cima alla torre più alta del castello, dopo aver sconfitto draghi e creature distanti dalla natura umana, si palesa di fronte a una principessa prigioniera di un incantesimo senza apparente soluzione.

E, in effetti, è così: prima del suo arrivo sulla panchina del Porto, gli unici successi in ambito internazionale risalivano al 1987: una Coppa dei Campioni, conquistata al Prater contro il Bayern Monaco, una Supercoppa UEFA e la Coppa Intercontinentale. Tutto questo, nello stesso anno in cui José, ex difensore, aveva deciso di appendere gli scarpini al chiodo, svestendo la maglia del Comércio e Indústria di Setùbal, a 24 primavere.

Mou, però non era solo riuscito a sconvolgere l’Europa vincendo facilmente una finale di Champions League. Si era appena presentato al mondo del calcio come “l’unico salvatore” capace di traghettarlo all’epoca moderna. Il Messia. Un uomo speciale: lo “Special One”, appunto.

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