“Abbiamo dei Top Player e, scusate se sembrerò arrogante, abbiamo anche un Top Manager. Per favore, non definitemi arrogante perché quel che dico è vero: sono un Campione d’Europa. Non sono uno dei tanti: io mi sento speciale (“Special One”)”.
La prima conferenza da “Messia” del Chelsea mette in luce un Mourinho che, con il passare degli anni, verrà meno alle sue stesse premesse: il volto disinteressato, freddo, verrà tradito dalle emozioni. Si presenta ai microfoni con un inglese eccellente, aspetto già mostrato negli anni precedenti, e una capacità dialettica che farebbe breccia su chiunque.
Anche alla prima conferenza in Italia, da allenatore dell’Inter, farà comprendere a tutti i presenti, e non, di aver perfettamente capito il contesto sociale in cui si sta sviluppando il percorso calcistico dei nerazzurri e della Serie A. “Io non sono un pirla”, in verità, non è solo una frase intrisa di ironia: avrebbe potuto dire qualcos’altro, ma no. Ha usato proprio “pirla”: uno dei termini più utilizzati nell’area lombarda. Ha pubblicamente sfidato l’aspetto comunicativo del Paese, certamente non abituato, almeno in quel momento, a una scheggia impazzita come Mou.
La sua è stata una rivoluzione: mediatica, sociale, calcistica. Non è stato il miglior calcio mai messo in pratica in Italia, ma sicuramente il miglior “drama” (a lieto fine) in due atti, o due anni, che l’interismo ricordi. Ha messo insieme aspetti entrati a far parte della nostra cultura calcistica a tal punto che citarli, per quanto iconici, sarebbe superfluo.
Al principio del punto più alto della sua carriera, compie alcune mosse che ancora oggi trovano poche spiegazioni: il 26 agosto l’Inter acquista Wesley Sneijder. Tre giorni più tardi è in campo, dal primo minuto, nel Derby vinto contro il Milan per 4-0: l’olandese causa l’espulsione di Gennaro Gattuso. Più in generale, è uno dei migliori in campo: José lo ha voluto a tutti i costi, anche più di altri, a fine mercato. Sarà lui a segnare la rete che “salverà” i nerazzurri a Kiev, contro la Dinamo, ai gironi: Mou sapeva. Sapeva tutto: lo sapeva in anticipo. Non toglie dal campo Goran Pandev, nel Derby di ritorno, frenando la sostituzione: gli permette di battere la punizione che, poi, regalerà il 2-0. Sapeva: vedeva prima.
Nella “rivelazione Mourinhana”, di matrice puramente religiosa, trovano spazio i miracoli che, negli anni, sono stati tramandati dai suoi discepoli, in un Vangelo fitto di aneddoti che, ancora oggi, vengon fuori come perle di una stagione che consegnerà all’eternità il Mago di Setubal. Uno degli ultimi lo ha raccontato proprio Wesley Sneijder a RTL7.
“Qualche settimana prima della finale di Champions, Mourinho ha chiamato Materazzi nel suo ufficio e gli ha detto: ‘Ecco una lettera, la metto in una busta, aprila dopo la partita’. C’era letteralmente il risultato della finale contro il Bayern Monaco”.
L’abbraccio a Materazzi, fuori dal Santiago Bernabeu di Madrid, nella notte del Triplete, è il momento in cui Mou è stato tradito dalle sue emozioni: la “rivelazione Mourinhana” è compiuta, come aveva previsto. Il Messia ce l’ha fatta.