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Haaland MichuGetty

Il goal al Bernabeu e quello "mancato" al San Paolo: Michu, l'idolo di Haaland passato da Napoli

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Il 2016 è un anno molto importante per il calcio, per una serie di motivi sparsi, in buona parte volti a gettare le basi e a definire l’era che si sarebbe aperta all’indomani dei Mondiali del 2018. Poco più tardi, insomma.

In quel periodo lì Erling Braut ha già cambiato il suo cognome da Håland a Haaland, ma di lui i club europei hanno appena iniziato a prendere informazioni. Il Salisburgo, ad esempio, ha raccontato più avanti di aver chiesto ai propri scout in Norvegia di registrare le partite dell’attaccante con la maglia del Bryne già in quel periodo lì, prima del trasferimento al Molde che ha, poi, mostrato (pur non del tutto) il talento del figlio del buon Alf-Inge.

Il 2016, però, è anche l’anno in cui, a quasi tremila chilometri a Sud-Ovest, Miguel Pérez Cuesta ritorna a casa, dopo una lunga riflessione che lo porta ad accettare sì i propri problemi fisici, ma a non appendere gli scarpini al chiodo a ventinove anni. Lo scenario delle Asturie è suggestivo e suggerisce una certa meditazione, quasi catartica: ha scelto Langreo, a venti minuti dalla sua Oviedo, ma è solo di passaggio.

Che poi, il suo nome per esteso può apparire effettivamente poco indicativo. “Michu”, quando ritorna in Spagna, non gioca una partita dall’ottobre del 2014: Young Boys-Napoli, Europa League. Risultato finale: 2-0 per gli svizzeri. A pensar adesso, a quell’attacco completato da Duvan Zapata (e un Gonzalo Higuain “panchinato” per l’occasione), si finisce per provare quel senso di straniamento profondo legato all’epifania, alla rivelazione, dell’inesorabile scorrere del tempo: sono passati più di nove anni, sì. La carta d’identità di Victor Osimhen, in quel periodo, segnava i quindici (sedici a dicembre) e Khvicha Kvaratskhelia era uno dei ragazzini della Dinamo Tblisi. Quando Ruddy Buquet fischia l’inizio di quella gara, “Michu” non sa che sarà l’ultima per quindici mesi: “l’altra”, la successiva, arriva nel gennaio del 2016. Appunto: il 2016.

  • IDOLI

    Dopo aver esordito in prima squadra, parecchio più a Nord di Oviedo, Erling Haaland è stato da poco scartato dall’Hoffenheim: questa storia è già iconica. Una settimana più tardi del provino effettuato in Germania, i tedeschi rifiutarono le richieste dell’entourage del ragazzo che chiedeva, stando alle ricostruzioni, cinque mila euro al mese contro i duemila proposti e fissati dal tetto massimo stabilito dal club. Probabilmente i tremila euro di differenza più importanti della storia dell’Hoffenheim: forse, forse no.

    A metà ottobre Haaland si divide tra i “grandi” e la seconda squadra, tra la 1. Divisjon e la 3. Divisjon, tant’è che tra il 15 e il 16 ottobre gioca due gare: una con il Bryne II, l’altra con il Bryne. Una terminata 2-5 con una doppietta, contro l’Algard, l’altra finita 0-0 contro l’Hodd, da subentrato. Su Instagram posta una serie di foto per celebrare i due goal: la prima lo ritrae in un’azione di gioco, la seconda mentre sta scambiando palla. In un’immagine precedente, scattata al fianco di Erik Botheim (oggi alla Salernitana), c’è lo stesso tag delle altre due: michuoviedo9. Sì. Miguel Pérez Cuesta. “Michu”.

    “Secondo i report medici, la situazione della mia caviglia destra è arrivata a un punto in cui sono costretto a ritirarmi”.

    Il quadro clinico emerso dagli ennesimi esami effettuati dallo spagnolo non lascia spazio alle buone notizie: nell’estate del 2017 “Michu” pubblica una lettera aperta sul proprio profilo Instagram. “Grazie per i ricordi". Lascia il calcio a 31 anni: tra i like c’è anche quello di Erling. È nato a Oviedo, Miguel, e del Real Oviedo, oltre che uno dei prodotti del settore giovanile, è anche uno dei più grandi tifosi.

    Insieme a Santi Cazorla e Juan Mata fa parte di quei giocatori chiamati a fare una scelta importante nel 2003, all’indomani del fallimento del club (di cui diventeranno azionisti, nel 2012): Santi e Juan passano rispettivamente al Villarreal e al Real Madrid, “Michu” venne promosso dalla cantera alla prima squadra, chiamata a scalare le categorie dalla Tercera.

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  • NELLA STORIA

    È un trequartista atipico alto e non troppo veloce (anzi): sopperisce con la tecnica la capacità di leggere alla perfezione le azioni pericolose. La sua, però, resta una carriera dai tanti “se” e qualche “ma”: basti pensare che dovrà aspettare la stagione 2011/12 per esordire in Liga. Alla scadenza del contratto con il Celta Vigo, con cui aveva firmato nel 2007, passa al Rayo Vallecano, al ritorno in massima serie.

    Adesso faremo una cosa che può spiazzare, ma seguiteci. Fischio iniziale di José Luis Paradas Romero, “Michu” tocca per Raul Tamudo che serve José Marìa Movilla che perde palla sull’attacco di Lassana Diarra, con Gonzalo Higuain che si abbassa e rifinisce per Angel Di Maria, che cede il pallone di nuovo a Diarra. Il francese, in un attimo di confusione, sbaglia un retropassaggio: “Michu” riconquista e scarica a Tamudo, che prova un destro dai trenta metri che trova la respinta corta di Iker Casillas. “Michu” brucia Sergio Ramos e Raphael Varane e insacca: al Santiago Bernabeu sono passati quindici secondi e il Rayo conduce 0-1 sul Real Madrid di José Mourinho. Il risultato finale dirà 6-2: l’altro goal dei Rayistas lo segna ancora “Michu”, di testa.

    Alla sua prima stagione in Liga segna quindici goal in trentasette presenze, trasferendosi allo Swansea, in Premier League, e ricevendo la convocazione, con tanto di maglia da titolare, in Spagna-Bielorussia dell’ottobre del 2013, in un tridente completato da Pedro e David Silva. I suoi goal sono pesantissimi: segna quattro reti nelle prime tre giornate in Inghilterra, ma va a segno anche nello 0-2 contro l’Arsenal all'Emirates (una doppietta), e nel 2-1 con il Manchester United a Old Trafford. E, ovviamente, quello in finale di Capital One Cup (oggi Carabao) contro il Bradford, dopo aver eliminato il Chelsea. Alla fine della stagione termina al quinto posto della classifica marcatori (con diciotto “firme”), dietro a Robin van Persie, Luis Suarez, Gareth Bale e Christian Benteke, e davanti a Romelu Lukaku. Ed è più o meno lì che inizia il calvario.

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  • IL RIMPIANTO DI NAPOLI

    “E’ nu piacere sta cca’! Ce verimmo int’o San Paolo!”.

    Problemi al ginocchio, poi alla caviglia: al Napoli non va diversamente. Da tutti è ricordato per quanto accadde il 19 agosto del 2014. Andata dei preliminari di Champions League contro l'Athletic Bilbao: all’80’ il parziale è di 1-1. C’è un pallone messo in mezzo che, però, dopo l’intervento della difesa rimbalza lentamente, quasi rasoterra, all’altezza del dischetto del rigore, proprio dove c’è “Michu”.

    “Vorrei segnare tantissimi goal, ma mi metto a disposizione: metto pure i guanti da portiere, se serve”.

    Qualcuno, quella sera all’allora “San Paolo”, avrebbe voluto che le parole rilasciate in conferenza stampa, in sede di presentazione, fossero state più di una semplice battuta. Perché “Michu” incredibilmente non calcia. Ancora oggi, rivedendo l’azione, resta un mistero il perché di quella scelta: prende la rincorsa, poi sceglie di servire José Callejon, lontano dalla porta. Più probabilmente la chiave di lettura migliore la offre “a caldo” Riccardo Gentile in telecronaca: “Non se la sente”.

    Al suo debutto con gli azzurri, “Michu” ha segnato irrimediabilmente tutto il resto della sua esperienza in Italia, caratterizzata da infortuni e sei presenze totali. Nessun goal. Nessuna emozione, se non quel “tiro mancato” che ha inciso sull’eliminazione dalla Champions, in maniera proporzionale di quanto “Michu” abbia inciso nel percorso di crescita di Erling Haaland. 

    Appesi gli scarpini al chiodo, Miguel Pérez Cuesta entra a far parte della dirigenza del Burgos: nel febbraio del 2020, dopo la definitiva “prima” esplosione del norvegese prende una maglia del club spagnolo, mette il numero diciassette e il nome di Haaland e la spedisce a Erling che risponde. “Wow what a legend”. Un regalo dal suo idolo: inaspettato come altre imprese di “Michu”. Il goal al Bernabeu e quello non siglato al San Paolo tra queste.

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