Se "andarci vicino conta solo a bocce", non si può neanche negare una certa componente di fortuna, nelle faccende che riguardano l'essere umano. E non si può, a volte, prescindere da essa. Lautaro Martinez sa che il calcio non è solo "come giochi, quando giochi e con chi giochi", ma anche "come arrivi" al momento in cui, poi, si decide tutto. Ed è per questo che non si nasconde più.
Un po' è stato così anche nel 2010, quando quella che sembrava l'ennesima stagione da psicodramma, con uno Scudetto consegnato alla Roma e tanti dubbi sul cammino europeo (ben prima della partita dell'Olimpico l'Inter aveva parzialmente compromesso la sua qualificazione dai gironi agli ottavi, ricordiamo), si trasformò nell'apoteosi nerazzurra culminata col successo di Madrid.
"Uomini forti, destini forti", avrebbe detto un'ex conoscenza dell'Inter: Thuram, Calhanoglu e gli altri pilastri stanno visibilmente meglio, Lautaro segna con continuità. Rimangono i problemi fisici, ma verranno smaltiti piano piano: persino Simone Inzaghi ha svestito i panni da pompiere per indossare quelli da "demone sfrontato" a gesti, il tre in conferenza, e a parole. L'Inter può fare il Triplete, sì. Può farlo pur sapendo che, in Europa, ci sono squadre maggiormente attrezzate per vincere la Champions League. E c'è un "ma", comunque: a differenza delle altre italiane che nel corso degli anni ci hanno provato, i nerazzurri ci sono già riusciti. E questa consapevolezza, una sorta di "ammazza-ossessione" (che non esiste, proprio per questo motivo), può essere d'aiuto.