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che guevaraGetty Images

"Hasta la parada, siempre": quando Che Guevara fu portiere dell'Independiente Sporting

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"Hasta la victoria. Siempre". Un mantra, una frase pronunciata e regalata per sempre al grande libro della storia dell'umanità da Ernesto Guevara. Per molti, più semplicemente, Che.

Una vita spesa nella lotta alle disuguaglianze. Scottato dall'esperienza vissuta con i propri occhi, che passavano repentinamente dall'osservazione dell'opulenza più sfrenata alla miseria crescente e degradante delle classi meno abbienti.

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri. Se fosse ancora tra noi, Che Guevara assisterebbe a questa deriva anche nel mondo del calcio.

  • L'INFANZIA A ROSARIO

    La vittoria. Anzi, la Victoria. Con la c. Oggi un'ossessione per le squadre diventate aziende o proprietà parastatali, che ogni anno investono milioni e milioni di euro scavando sempre di più un solco tra di loro e i "comuni mortali".

    Non era certo questa la Victoria che inseguiva Che Guevara. Come non puntava a diventare una serigrafia riprodotta su milioni di maglietta indossate anche (e forse soprattutto) da chi del suo messaggio non ne ha mai fino in fondo capito la portata.

    Al fascino dei soldi e delle vittorie facili, Ernesto ha sempre preferito il fascino della sfida, del perseguimento di un ideale.

    Il futuro Che era nato a Rosario in una famiglia benestante e progressista il 16 dicembre 1928. Non una data qualsiasi, bensì quella in cui il Rosario Central vinceva la sua seconda Copa Nicasio Vila ai danni dei rivali del Newell’s Old Boys.

    Un'infanzia, la sua, vissuta nel privilegio. Lo stesso che una volta diventato adulto avrebbe sempre cercato di combattere per rendere il mondo un posto un po' più equo. Merito di papà Ernesto e mamma Celia, che però a differenza di altre famiglie agiate educano i propri figli alla cultura e all'impegno sociale.

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  • ERNESTO, DETTO FUSER

    L'amore per l'anticonformismo e la voglia di differenziarsi dagli schemi precostituiti caratterizza da sempre la sua vita. E non a caso, una volta cresciuto, Ernesto non ha dubbi su quale squadra sostenere per il resto della vita. Boca Juniors? River Plate? No, gracias. Si tifa Rosario Central.

    La sua grande passione è però un altro sport di quelli dapprima inventati e poi esportati in tutto il mondo dagli inglesi: il rugby.

    Con la palla ovale sotto braccio, Ernesto è una furia. Un vero e proprio trascinatore, al punto che gli amici e i compagni di squadra arriveranno a chiamarlo Fuser, forma contratta di Furibondo Serna, appellativo che deriva dal cognome materno de la Serna.

    Il nome di Che Guevara non passerà certo alla storia per il suo contributo nel mondo dello sport, ma il fascino del futbol non lascia indifferente nemmeno una delle figure più importanti e influenti del XX secolo.

    La scarsa dimestichezza con il pallone tra i piedi e una seria forma di asma ne limiteranno i movimenti in campo, motivo per il quale al momento di fare le squadre nei campetti della periferia di Rosario si parte da una certezza: Guevara va in porta.

    Saper respingere il pallone dalle insidie avversarie sarà una caratteristica che gli tornerà utile in futuro, in uno degli episodi più incredibili della sua rocambolesca vita.

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  • TANTA SPERANZA, POCHI SOLDI

    Capito che lo sport non sarà mai il suo mestiere, Ernesto studia e diventa medico. Inizia dunque a esercitare la professione, ma l'incontro con Alberto Granado e un carattere facilmente inquadrabile lo porteranno lontano dalla sua città natale prima e dalla sua Argentina poi.

    Motocicletta e diario, si parte con l'amico di una vita per andare a raccontare il Sudamerica e metterlo a nudo agli occhi del mondo in tutte le sue disparità e le ingiustizie.

    Una delle tappe di questo viaggio per scoprire il continente e fornire cure ai malati di mezzo Sudamerica porta Che Guevara e Granado in Colombia, nella piccola città di Leticia.

    I soldi sono pochi e bisogna inventarsi qualcosa per sbarcare il lunario e poter proseguire la loro avventura tra gli ultimi e i dimenticati.

    Proprio a Leticia, i due si inventano di essere calciatori professionisti per farsi ingaggiare e tirare così su un po' di denaro per foraggiarsi.

    Certo, un occhio attento avrebbe subito capito la panzana vista la scarsa dimestichezza con il pallone dei due argentini. Ma a quei tempi il piccolo Independiente Sporting non poteva certo permettersi di badare troppo alla qualità. E quindi via, una maglia a testa e si scende in campo per un torneo locale, la cui vittoria finale avrebbe fornito un bel gruzzolo.

    Granado si piazza a centrocampo, dove riesce persino a spiccare in mezzo al livello pressoché scadente dei compagni di squadra.

    Che Guevara non può che andare in porta e guidare il resto della squadra dalla linea di fondo. Del resto la leadership non gli è mai mancata e le rivoluzioni non si guidano certo da sole.

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  • REALISMO MAGICO

    Il Sudamerica, si sa, è la terra del realismo magico, che ha trovato la sua massima espressione nella produzione letteraria di Gabriel Garcia Marquez. Qui, e qui soltanto, aspetti soprannaturali serpeggiano tra le pieghe della realtà e l'impossibile diventa possibile.

    E allora può succedere anche che un club minuscolo come l'Independiente Sporting riesca a cavalcare trionfalmente fino alla finale.

    Grande protagonista di questa epopea degli ultimi non può che essere il futuro Che, all'epoca ancora sconosciuto ai più e che quando si trova a occupare i 7 metri che separano un palo dall'altro torna ad essere il Fuser di quando portava la palla ovale da una parte all'altra del campo da rugby.

    L'Independiente si arrenderà solamente ai calci di rigore, ancora nemmeno istituzionalizzati dalla Fifa. Ma non serve un pezzo di ferragli da sollevare al cielo per qualche istante per consegnare Che Guevara alla memoria collettiva.

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  • SOCIALISMO REALE

    Con i soldi messi raccolti dall'esperienza colombiana, i due riusciranno a rimettersi in cammino con la motocicletta per continuare a denunciare le tante, troppe ingiustizie che affliggono la classe lavoratrice sudamericana.

    Da quel momento in poi Che Guevara abbandonerà lo sport per dedicarsi alla rivoluzione socialista contro i vari regimi che, in Sudamerica e in Africa, attraverso metodi tutt'altro che democratici soggiogano le classi meno abbienti.

    Ben altre saranno le sue imprese, fino al giorno della sua tremenda morte voluta e perpetrata il 9 ottobre 1967 dai commilitoni del governo fascista boliviano, anti guerrillero e sostenuto senza neanche troppi camuffamenti dalla CIA statunitense.

    Ma di quel magico torneo resta ancora oggi traccia sui suoi diari. “Parai un rigore che resterà per sempre nella storia del Leticia” scriverà in uno dei resoconti di quei giorni colombiani. La victoria, quella vera, con la c, doveva ancora arrivare.

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