Giocare a calcio a El Alto è praticamente impossibile per chiunque. L’aria rarefatta dell’altitudine rende un’impresa anche la rincorsa di un pallone, che di suo se ne va un po’ dove vuole e alla velocità che vuole. Serve uno spirito di adattamento non indifferente per chi ha la missione di uscire sportivamente vivo da un inferno. A meno che questo qualcuno non si chiami Bolivia, naturalmente.
Sulle Ande, dopo più di un trentennio, si è tornati a sognare davvero. Sogni alti come i 4150 metri sul livello del mare di El Alto, dove la nazionale di Oscar Villegas disputa le proprie partite casalinghe. Sogni di gloria che fanno rima con Mondiale, un evento più unico che raro da quelle parti: è capitato appena tre volte, due di queste in un’epoca calcisticamente preistorica (1930 e 1950) e l’ultima, indimenticabile, nell’edizione americana del 1994.
32 anni più tardi, la Bolivia potrebbe giocare di nuovo una fase finale della Coppa del Mondo. Ha chiuso settima il girone unico delle Qualificazioni sudamericane, qualificandosi per gli spareggi che si giocheranno a marzo, poco prima dell’inizio dell’edizione statunitense-canadese-messicana. Un evento che non si verificava da più di un trentennio, appunto, e che ha mandato fuori di testa un popolo intero.
Il simbolo è un ragazzino di 21 anni, il ct è uno che nel corso della propria carriera era sempre rimasto nell’ombra prima di oggi. E poi c'è un grande vecchio che non gioca da un bel po', ma che vorrebbe tornare in pista per dare una mano. Personaggi forse improbabili per una storia improbabile, decisamente poco pronosticabile, ma che ha preso forma in maniera sempre più concreta nel corso delle settimane e dei mesi. Fino a dare vita al grande sogno: ripercorrere le orme del Diablo Etcheverry e compagni.
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