Shay Given ansima, e ha pure ragione: a Baltimora, nel Maryland, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto le temperature toccano i 30 gradi. Si suda, insomma: ma c’è qualcosa, nel suo sguardo, che ha dell’incredulo.
La Metro di Milano, la Verde, superata la fermata “limite” di Cascina Gobba si divide in due direzioni: la prima, nota, è per Cologno Nord. La seconda, per Gessate, offre più opzioni: tra queste c’è anche Cernusco sul Naviglio, baciato dal Naviglio della Martesana. Ecco, Shay Given da Lifford, Irlanda, ansimante, in una caldissima e sudatissima notte del M&T Bank Stadium di Baltimora, intorno al 74’ ha appena preso goal da Cristiano Biraghi da Cernusco sul Naviglio. A quasi mezz’oretta, in Metro, dal centro di Milano: il centro del suo cuore, nerazzurro.
Resta addosso un bizzarro senso di curioso inadeguatezza, ripensando a quella conclusione che ha fatto da cornice alla prima Inter post Triplete: la raccontiamo, brevemente. Calcio d’angolo battuto da Amantino Mancini, ma pallone messo fuori da Joleon Lescott: al limite dell’area arriva Biraghi. Non ha neanche compiuto 18 anni, Cristiano, ma merita di stare tra i giocatori chiamati da Rafa Benitez per la Pirelli Cup. Un enorme trofeo con le orecchie grandi, sollevato a fatica, contro il Manchester City, da Ivan Ramiro Cordoba, con l’aiuto fondamentale di Marco Materazzi.
Sulla simbologia di quel momento ci torniamo, ovviamente, tra poco (avrete capito dove vogliamo andare a parare, in qualche modo). Biraghi è mancino, come vedremo nel corso degli anni, e a quella palla rimbalzata via da Lescott approccia esattamente come farebbe un mancino: misurando i passi e la postura, nell’unica maniera possibile per metterla all’incrocio dei pali. Poi porta le mani al volto: non sa che, però, rimarrà l’ultimo giocatore dell’Inter a segnare al Manchester City. E tutto questo, a poche ore dalla finale di Coppa Italia che lo vedrà protagonista contro i nerazzurri da capitano della Fiorentina, ma soprattutto a due settimane dalla finale di Champions League di Istanbul, assume i caratteri propri di un “segno del destino”.




