Dall'istante in cui, alla vigilia dell'esordio in campionato, Antonio Conte ha messo le mani avanti sul mercato, con quell'atteggiamento, quelle parole, quella sensazione di "son qui perché non c'era altro", è partito il countdown (irreversibile) verso l'addio di un allenatore che tra febbraio e marzo ha, nella maggior parte delle sue esperienze, posto le basi per un addio che poi, puntualmente, si è concretizzato alla fine della stagione.
Antonio Conte è fatto così: accetta la sfida, carica l'ambiente, brucia le fondamenta (non sempre in senso positivo), ma mettendo sempre le mani avanti. E allora, gente, "It's showtime". Sale in cattedra di nuovo. "La mia storia è questa, però mi piacerebbe in futuro sedermi ogni tanto anche in pole position" (oddio, alla Juventus, dopo il primo Scudetto, aveva il vuoto dietro e quando si è trovato in pole all'Inter ha preferito mollare tutto dall'oggi al domani...): maniavantismo. Di nuovo.
Perché una volta è il mercato, in generale, un'altra il sostituto di Kvaratskhelia che non arriva, poi il desiderio di partire davanti a tutti, col favore del pronostico. Nulla di nuovo: fasi preparatorie di un processo che lo ha sempre visto "di passaggio". Com'è che diceva qualche settimana fa? Ah, sì: a Napoli "per aiutare il club a crescere". Eh, ciaone.