Il web è invaso da top 10. Scopri i più grandi di questo, la classifica di quello. I meno, i ricchi, gli alti, i grassi. Non parliamo poi delle graduatorie classifiche e sportive. Lo accenniamo solo brevemente, promesso. Per riempire una pagina cartacea, coprire un buco nella homepage web o cinque minuti nel palinsesto tv, le slidelist e le gallery citate o scrollare, eccoli. Soggettivo, se non basato su dati classificabili. Una di quelle che attrae di più è relativa ai giocatori più forti fisicamente, magari unita ad un discorso di cattiveria e rabbia agonistica in mezzo al campo. Solitamente non si scappa nella lista degli interpreti scelti - dopo una breve riunione che all'incirca potrebbe recitare così "Fai tu, inserisci i più famosi" -, costantemente gli stessi. Portati a dividere il pubblico relativamente al loro ricordo, come all'epoca delle loro tacchetti, testate, attacchi frontali alla sicurezza personale degli avversari. C'è sempre, Thomas Gravesen. Ma a differenza dei vecchi colleghi, non causa due partiti distinti. Tutti con Thom, per un motivo o per un altro.
Non c'è dubbio, gli avversari erano intimoriti da Gravesen. Forse per il suo fisico da granatiere. Probabilmente per uno sguardo che sembrava seguirti ovunque. Come la Gioconda. In realtà per un mix di entrambi, ma con l'aggiunta di un'intelligenza fuori dal comune. Gravesen, ricordato per aver giocato al Real Madrid, ma anche con Amburgo, Celtic, Everton e la squadra dell'amata città natale danese di Vejle, poteva essere il braccio a disposizione di Raul, Ronaldo il Fenomeno e Zidane, ma occultamente poteva esserne anche la mente. Se non fosse stato bloccato da un disguido tattico. Nell'unica annata ai Blancos, però, nonostante fosse un perno essenziale in mezzo al campo, non veniva giudicato oltre il suo carattere minaccioso, la sua aurea da villain. E nei film, chi è l'eroe verso cui tutti hanno una fascinazione? Ovviamente il nemico, imprevedibile e opposto al prevedibile protagonista.
Ecco, forse Gravesen è stato uno degli ultimi anti-eroi del calcio, prima della rivoluzione di un sistema dell'apparire estremo. Aveva delle emozioni, ma sul campo apparivano solamente quelle che il mondo faceva comodo mostrare. Oggi tutti possono far vedere l'intero spettro, ma spesso queste sono costruite a tavolino, così da chiedere scusa forzatamente o tenersi le parole sulla lingua, donde evitare viaggi nell'etere dei social. Non appena ha capito che i suoi comportamenti oltre la patina del duro e puro potevano renderlo protagonista assoluto dei post Instagram continui, ha preferito eclissarsi. Le storie attorno alla sua figura si sono così ingigantite giorno dopo giorno mentre tentava di rimanere nell'anonimato.
Perché chi è che scrive di protagonisti di cui si conosce l'orario della colazione e ogni minimo battito cardiaco? Nessuno. Anche il pubblico generalista potrebbe annoiarsi (potrebbe). Qualcuno decise di chiamarlo Mad Dog, cane pazzo. Come Buford Tannen di Ritorno al Futuro III, con la differenza che il parente di Beef, bulletto con manie di grandezza, era veramente un pazzo. A Gravesen invece il soprannome venne affibbiato perché beh, oltre le regole canoniche, e un po' troppo limitanti, si comincia a mettere in mezzo la pazzia. Anche se le proprie idee sono semplicemente legate ad una mente sveglia, anticonformista. La sua libertà non limitava quella degli altri. Certo, adora scherzare, ma non così tanto da mettere in pericolo qualcuno.
GettyDA AMBURGO A VELJE IN MOTO: OGNI GIORNO
Il secondo libro dedicato alle avventure di Gravesen è una biografia pregna del suo essere. Non c'è lo stesso Thomas a scrivere la storia dell'ultimo anticonformista Mad Dog, ma il racconto è colmo dell'essenza di Gravesen. Un uomo che probabilmente avrebbe fatto fortuna partendo dalla cittadina rurale di Vejle, di cui è massimo volto, anche se non fosse stato un protagonista del calcio. Ci ha messo del tempo a staccarsi dalla sua cittadina, a vederla solo come un altro punto dello spazio-tempo in cui aveva vissuto. Ai tempi dell'Amburgo, infatti, era solito saltare sulla sua due ruote e tornare in città per dormirci. Faceva qualcosa come 600 km in moto, andata e ritorno, in maniera continua. Ogni giorno. Fino a quando la squadra tedesca se ne accorse, etichettando il comportamento come inaccettabile.
Decise così di darsi agli scherzi per ambientarsi, come quello di accendere dei fuochi d'artificio al campo di allenamento. Le risate non bastano per coprire la solitudine e così Gravesen permette a tutti gli abitanti della città di disturbarlo a casa propria, nel limite del possibile: nel suo appartamento scrive Gravesen-HSV (abbreviazione del club), così da renderlo riconoscibile ai tifosi. Volete parlare della partita? Prego, accomodatevi.
Un gigante buono, anche perché tra i compagni c'è chi decise di chiamarlo 'Big', come la pellicola in cui Tom Hanks per magia si ritrova nel corpo di un trentenne mantenendo però la mente di un ragazzino. E Gravesen grande lo è davvero. Non alla Yao Ming, ma la larghezza compensa l'altezza: 183 cm, 83 kg di muscoli. Non pensa mai al futuro, si gode il presente come se all'opposto, dovesse entrare nel corpo ci un 80enne il giorno seguente. Fa quello che vuole fare. Le parole che escono dalla sua bocca, i suoi discorsi, a volte sembrano realmente attui a prendere in giro tutti. Come quando convince i compagni di squadra di voler trascorrere le vacanze a giocare alle console videoludiche nello scantinato della signora e del signor Gravesen. Ah, ah. Tutti ridono, non Thomas. Che macina di nuovo km e torna a casa.

IL REAL: LITE CON ROBINHO, DUELLO CON CAPELLO
Riservato, ingenuo. Il mondo di Gravesen difficilmente viene scoperto e non lo fa neppure il Real Madrid. Si concentra sulle sue abilità da lottatore in mezzo al campo, il fisico giusto per sopperire al progetto Perez, non Manatthan, fatto di big, ultrabig e ipermegabig. In mezzo lui, che giocherà titolare sotto Luxemburgo, mettendo da parte euro che investirà una volta chiusa carriera. Arriva dopo cinque anni di Everton, il periodo calcistico più lungo di una carriera che inizierà a 19 anni in patria e si chiuderà nuovamente a Liverpool, a 32, in seguito al ritorno in città per chiudere la carriera. Non sembra proprio che il Real Madrid abbia osservato Gravesen con attenzione, considerando il suo ruolo da centrocampista avanzato negli ultimi tempi di Premier. Il Real lo guarda in faccia e decide che va posto in mediana. Ok.
Nonostante il dubbio tattico, nessuno vuole rinunciare alla cessione. Per il Real Madrid è l'opportunità di aggiungere cattiveria alla squadra, per l'Everton di cedere un giocatore che non rinnoverà per 4 milioni. Gravesen forse è felice dell'occasione, ma non lo dà a vedere. Anche perchè nel gennaio del 2005 succede tutto così in fretta. Si trova al cinema con suo fratello, quando riceve una chiamata del suo agente. Che disdetta, prima dell'intervallo. A 'Fourfourtwo', il danese racconterà:
"Ho detto a mio fratello: 'Devo rispondere a questa telefonata' e sono uscito. Il mio agente ha chiesto: 'Cosa ne pensi di Madrid?' All'inizio pensavo fosse l'Atletico Madrid, quindi ho detto: 'Ma mi piace anche l'Everton'. Ha detto: 'È il Real Madrid'. E io: 'È il Real Madrid?! Ok. Beh, cosa stanno dicendo? Cosa sta dicendo mister Moyes?' Il mio agente ha detto che avrebbero raggiunto un accordo, dopodiché toccava a noi. Da lì, il mio agente è volato giù a Madrid e, poiché era la finestra invernale, il Real Madrid doveva essere molto veloce. Il trasferimento è avvenuto così in fretta".
Ai tempi l'Atletico non è una meta di richiamo a differenza del Real e il disguido iniziale si trasforma rapidamente in sì: vado a Madrid. Capita in un club mentalmente allo sbando, schiavo dei suoi grandi campioni comprati a ripetizione senza una vera programmazione. Un mondo difficile e inquadrato, in cui neanche Gravesen riuscirà a porre rimedio. Un anno e mezzo dopo, quando lascerà la capitale spagnola, verrà etichettato come troppo cattivo per due episodi: una lite con Robinho e un contrasto sin troppo duro con Ronaldo che farà volare un dente del Fenomeno. Oltre il limite dei compagni di squadra.
Nel primo caso, fu una scivolata di Gravesen a provocare la reazione di Robinho: colpire con un pugno mister Thomas non è una buona idea e così scatta la rissa. Separati, i compagni si schierano con il brasiliano. Così come Fabio Capello, che ha intenzione di affidarsi ad Emerson in mezzo:
"E' un giocatore un po' particolare. Tatticamente lavora bene, ma il suo comportamento a me non piace".
Messo sul mercato, prima della nuova destinazione ha tutto il tempo di salutare a suo modo Capello, gli ex compagni e il Real Madrid:
"E' arrivato e senza avermi mai visto giocare mi ha detto in maniera molto arrogante che aveva altre idee. Non mi ha mai dato una possibilità, era egoista. Non sapeva nemmeno come mi chiamo. I giocatori? A volte si comportavano come pezzi di merda. Spesso la squadra è andata in pezzi perché solo pochi stavano correndo. Se un giocatore è una superstar e guadagna più di tutti gli altri, allora dovrebbe fare da apripista, ma non l'ha fatto. Non so cosa avessero visto in me al Real, ma non sono un centrocampista difensivo, almeno non mi vedo così. Avrebbero dovuto ingaggiare Carsley che giocava dietro di me all'Everton, ma sono felice che abbiano commesso l'errore. Robinho? Ho fatto un paio di contrasti forti ma non l'ho lasciato con nessun livido. Ha reagito colpendomi e dandomi un paio di calci, quindi ho reagito. Sarebbe stato meglio se non lo avessi fatto. La tv spagnola, che aveva filmato la sequenza degli eventi, ha deciso di non mostrarli. Chissà perché?".
CONOSCI MICA UN RISTORANTE A GLASGOW?
Viene spedito a Glasgow, ingaggiato dal Celtic per due milioni con due obiettivi: vincere l'Old Firm e battere i Rangers. Il che, è la stessa cosa. Thomas, anche in Scozia è sempre Thomas. Gravesen lo è solo per gli avversari, per i tifosi e i media. Anche davanti alla stracittadina forse più importante del mondo, si scompone mostrando il suo vero lato: quello del ragazzo che non ha mai lasciato la Danimarca. Sempre autentico, oltre le etichette. Quelle che vorrebbero la più attesa sfida dell'anno una guerra tra nemici pronti a scannarsi l'un l'altro. Non lui.
Nel tunnel degli spogliatoi, tra i sorrisi forzati e la massima concentrazione, Gravesen si avvicina al contendente blu Barry Ferguson, simbolo e capitano dei Rangers:
"Mi approcciò dicendomi: 'Ehi tu, conosci qualche buon ristorante per mangiare a Glasgow?".
Per cattolici e protestanti, una volta venuti a conoscenza del fatto, sembrerà veramente assurdo come un ragazzo di trent'anni chieda informazioni su dove andare a cenare in una città che non conosce. Sei pazzo Thomas. Lui no, ma gli altri sicuramente sì. Anche perchè in quella gara Gravesen segnerà uno dei due goal con cui il Celtic supererà i rivali storici. Ma guai a non prendere sul serio la sfida fuori dal campo: non sia mai. Solo sangue e sguardi infuocati. Seh, certo.
Alla fine Gravesen non era realmente un centrocampista avanzato, nonostante il buon numero di reti messe a segno, ma obiettivamente fungeva meglio come mastino davanti alla difesa. Se ne sono accorti più gli altri, mentre lui era intento a far altro. Magari a dribblare due o tre uomini in mezzo al campo. I suoi piedi erano particolari: educatissimi, ma anche spesso fuori asse al momento di intervenire sul pallone. Eppure era dannatamente efficace, anche se con metodi un po' duri. La somma dei gialli ricevuti in carriera sfiora il numero di novanta, ma davanti ad un colore acceso, l'altro si rivela essere pallido: tre rossi in 400 gare.
Un dato che probabilmente stupirù di tutti. Gli stessi che sgraneranno gli occhi nel sapere che Gravesen aveva una sua mossa speciale. Come un lottatore di wrestling. La Gravesinha. Ovvero? Fingeva di scivolare per ingannare l'avversario e superarlo in dribbling. Quanta beltà.
A 32 anni e con un conto in banca non proprio da operaio, Gravesen decide che la notorietà non fa più per lui. Il calcio sarà lontano dalla sua vita per otto lunghi anni. Continuare la carriera, anche in patria, avrebbe portato i tifosi a fermarlo continuamente, tra autografi e richieste di sguardi minacciosi. Sapete, no? Decide così di recarsi nel paese occidentale che più di tutti ha un tenore di vita alto, enormi possibilità in ogni campo, ma un amore per il calcio non ancora svilupposi appieno. Sceglie dunque il Nevada e in particolare Las Vegas per continuare la sua vita.
VIVA LAS VEGAS. E IL PADEL
Si dice che giocando nei casinò, Gravesen abbia messo insieme 100 milioni di euro. Lui, a Fourfourtwo', ci ha scherzato su, chiedendo però maggiore privacy:
"Solo 100? Dove è il resto? No dai, lasciamo che finanze e vita privata siano finanze e vita privata. Posso dire però che Las Vegas è fantastica, avevo come vicini Nicolas Cage ed André Agassi".
Non smentisce nè conferma nel corso del tempo e più fonti confermano l'abilità di Gravesen al blackjack e in generale con le carte. Spesso ha perso, ma ha mantenuto la sua villa nel quartiere di Summerlin al Billionaire's Row. Lì i prezzi oscillano tra i 5 e i 15 milioni di dollari. Diciamo che occorre una fortuna, anche per chi ha avuto una vita da calciatore professionista. Non, soprattutto, negli ultimi anni, ma in un calcio con stipendi infinitamente più bassi, soprattutto ad Amburgo o Glasgow.
Insieme a lui c'è Kamilla Persse, per alcuni modella, per altri agente immobiliare. Nella vita del fu calciatore non è tutto nero o bianco, si cerca di lavorare sul grigio dell'incertezza. Sicuro è invece il periodo passato con la pornostar Kira Eggers tra il 2005 e il 2008. Thomas Gravesen sembra avere vissuto cento vite, perchè la sua vita l'ha sempre vissuta al massimo.
Non solo ascoltando sè stesso, ma anche i consigli degli altri. Come quello del suo mentore Ole Fritsen, essenziale nella sua crescita: ex Nazionale danese e leggenda del Vejle Boldklub, disse al giovane Grav di immaginarsi tre pietre in una mano. Bene, queste dovevano mentalmente passare nell'altra. Non era un modo per invitare il giocatore ad usarle contro gli avversari, ma bensì per concentrarsi su altro e non lasciarsi andare alla rabbia per un intervento subito o un fastidio generatosi nell'aria.
Ha pensato bene a cosa fare della sua vita, scegliendo di tornare nel calcio. L'età aveva aggiunto numero dopo numero, e la possibilità di giocare non era più nemmeno analizzabile. Comunque neanche pensata. A Gravesen però, il pallone manca. Ottiene così un incarico in patria come commentatore sportivo ed opinionista. Ci torna in pianta stabile dopo essersi cresciuto, aver lavorato in un negozio di ricambi per auto durante la prima parte di carriera (solamente perchè aveva del tempo libero, giustamente) e sfruttato ogni momento per andare a salutare i suoi genitori.
Si trasferisce in uno degli attici più costosi della città, acquistato anni prima. Di quelli in cui il garage è collegato direttamente all'appartamento tramite un ascensore. Tutti sanno che abita lì, ma Gravesen è comunque lontano da tutto, come ha sempre voluto. A inizio 2021 decide di metterlo in vendita per la modica cifra di due milioni di euro circa per puntare ad una nuova location, forse all'interno del terreno di 4.280 metri quadrati vicino alla spiaggia di Daugaard.
Gravesen ha operato diversi investimenti a Vejle, tra cui il Vejle Padel Center: l'enorme struttura dedicata al padel, sport di moda del momento, è attualmente in costruzione e avrà al suo interno 13 campi al coperto e 4 campi all'aperto per le giornate estive. Un centro da 100 metri di lunghezza, 55 e di laghezza e 12 di altezza. L'idea dell'ex nazionale danese (con cui ha giocato 66 gare, tra cui il match sospettato di biscotto contro la Svezia negli Europei 2004) è quella di ospitare sia professionisti che giocatori amatoriali:
"Vogliamo creare un'esperienza wow quando entri in questo centro. Come quando sono entrato per la prima volta al Bernabéu di Madrid e poi ho scoperto che era solo un campo da calcio".
Era solo un giocatore da top ten dei più duri, Thomas Gravesen? Allora si potrebbe anche dire che la terra è piatta. E fidatevi: non lo è.
