Tutta quest'agitazione in giro per il mondo ha evocato un ricordo lontano: ad un tratto torna tutto a galla. Non in maniera perfetta, visto il triste, doloroso e complicato momento. Un benvenuto troppo presto enunciato, poi il no. Il cambio di rotta e di passo. Era il 2003, era del primo SARS-coronavirus, anni luce lontano dal secondo, il SARS-coronavirus covid-19 che ha cristallizzato il globo. Era la fine dell'epoca romanista di Cafu, verso l'oriente, non così misterioso, ma ricco e pieno di storia. Divenuto Milano e il Milan.
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Ha vinto il Mondiale da qualche mese, o senhor. Da capitano, Cafu. Ma va per i 33 anni il pendolo, sempre sorridente. Corre, difende e attacca, mostra alle generazioni del passato e a quelle del futuro cosa significa sfrecciare su e giù per quella fascia. In pochi sono riusciti a fare come lui nella storia del calcio. Pochissimi a dire il vero. Sta per lasciare la Roma, è il perfetto uomo da presentare all'amata società, ma a quell'età c'è il dubbio su cui sguinzagliare l'investigatore privato. Non può ancora essere così forte, all'altare del nuovo matrimonio. E invece sì, sarà leggenda anche col Milan. Non è ciò di cui dobbiamo parlare.
Il racconto in esame è dell'Asia di inizio millennio, in cui la SARS partita da Guangdong, Cina, contagia 8000 persone uccidendone 800. Dati così infinitamente distanti da quella del 2020. Il nuovo e il vecchio coronavirus, agli opposti su grado di diffusione. Ma allora c'era preoccupazione, grande preoccupazione. Tanto da annullare la trasformazione in Cafu, ancora sudamericano ed europeo.
L'epidemia della prima SARS-coronavirus dura dal 2002 al 2004. Il contratto di Cafu scade nel 2003. Lascia la Roma e gli affetti, saluta con una lacrima che scende e si perde nel Tevere, torna in Brasile per combattere la saudade con la saudade. Ha firmato un pre-contratto con gli Yokohama Marinos, club militante nella prima serie giapponese: se ne parla a gennaio di quell'anno. I brasiliani sono ben accetti nella J-League, stanno creando un bel libro di ricordi. Lui, il capitano dei Campioni del Mondo in carica può essere la punta di diamante. Il pendolino di diamante.
Poi, il Milan. Si fa avanti, carico della gloria, della possibilità di rimanere nel grande calcio e credere in lui. Non è ancora il calcio dei grandi vecchi la Serie A. Sì ci punta, ma i boomer non sono poi così essenziali. I giovani sono realmente il futuro. Poi le eccezioni, quei vecchietti terribili che hanno molta (ma molta) più energia e voglia di vivere dei giovani. O senhor.
Cafu vede il Milan, il Milan convince Cafu. Ma è un uomo di parola e i Marinos hanno già annunciato il suo arrivo. Uno di quei casi in cui l'ufficialità non lo è completamente, anche perchè il diretto interessato è svincolato e può liberarsi dietro pagamento di penale. C'è la SARS, salta tutto. Salta il presunto pre-accordo, la parola data, il filo che collega brasiliani e Giappone. La Serie A è libera dal coronavirus, dalla mediocrità (con rispetto) della J-League e dall'essere dominatori incontrastati, senza una sfida vera e propria. In Italia c'è, eccome.
Ivano Antonelli parla, spegne le speranze nipponiche. All'International Stadium di Yokohama si accende la tv, si guardano i sottotitoli e si rimane di sasso:
"Cafu non ha firmato niente con nessuno e in questo momento stiamo ancora valutando cosa fare. E' vero che ad un certo punto abbiamo preso in considerazione il Giappone, ma non se ne è fatto nulla anche per via della SARS".
Da Yokohama si annuncia il pre-contratto, dall'Italia per bocca dell'agente di Cafu si smentisce, qualche settimana dopo, quella penna che si alza per finire sul foglio:
"Cafu non ha firmato niente con nessuno. Quindi nessuna squadra può dire ad un'altra di mettersi l'anima in pace. Marcos non ha firmato niente".
La firma finisce su quel foglio il 9 giugno 2003. Ma non c'è un contratto scritto in giapponese e nemmeno in lombardo. In Italiano, un po' rosso e un po' nero. Cafu è del Milan, lontano dal Giappone, dal virus, da eventi estranei e ad un passo, sfumati tra annunci e mezze, presunte, verità.


