
Sembra essere ormai una figura mitologica. Quasi, perché alla fine la sua leggenda è sta tramandata oralmente da chi ha vissuto con i propri occhi quell'era, affermando che sì, non c'era nulla di inventato. Di epico sì, ma di reale, considerando che fino alla fine degli anni '90, con le dovute eccezioni nel nuovo millennio, la figura dello stopper nel calcio è sempre esistita, spazzata via dal pallone 2.0, quello in cui tutti i giocatori, persino il portiere, devono essere bravi coi piedi. Figurarsi chi gioca davanti a lui.
Un tempo si doveva semplicemente stare attaccato all'avversario con le unghie, i denti, gli scarpini, l'aura di potenza a mo' di Super Saiyan. Per forza. Poi, man mano, la rivoluzione del bel gioco, quello che in teoria deve far divertire (?), ha portato via ai difensori la cattiveria, travestendola da regalità e classe. Negli anni 2000 ci sono stati alcuni esempi, ma talmente sporadici da renderli quell'eccezione che conferma la regola. Quando era routine averlo in squadra, lo stopper era visto con stima e allo stesso tempo paura, da parte degli avversari e dei propri compagni. Essere tra i migliori significa essere essenziali, perché quell'attaccante dall'altra parte, da venti goal a stagione, era lo spauracchio numero uno. Fermarlo regalava premi dalla società e applausi dai tifosi. Nei quali ha navigato, nel mare del suo essere fondamentale, Jürgen Kohler.
Per essere uno stopper d'elite non bastava marcare a uomo e colpire gamba o palla senza differenze sostanziali. Bisognava unire questa aggessività, che nel corso del nuovo millennio lo stesso tedesco ha visto solamente nei due spagnoli Piqué e Sergio Ramos, anche l'abilità aerea per colpire la sfera e depositarla alle spalle dell'estremo difensore avversario, e per contrastare il centravanti con una maglia diversa dalla sua. Kohler aveva tutto e per questo viene considerato l'ultimo grande stopper, quando ancora il ruolo aveva un senso logico, centrale davanti alla difesa, in un modulo a quattro dietro.
Eppure Kohler non è stato ben visto in maniera qualitativa nel corso della sua carriera, soprattutto in patria. E' cresciuto nel Waldhof Mannheim, attualmente in terza serie tedesca, per poi mettersi in mostra al Colonia e diventare grande al Bayern Monaco. Prima di lasciare la Bundesliga veniva soprannominato Eisenfuss, ovvero 'Piede di ferro'. Un nomignolo che metteva in mostra la sua grinta, ma che non teneva conto di quanto il ragazzo, con baffetti mori e look completamente anni '80, fosse anche abile a segnare.
Non era adibito al lancio lungo, ma era un perfetto stopper. Nel suo ruolo era il top dei top, capace di fermare i più grandi marcatori e fuoriclasse della storia. Quando approda alla Juventus nel 1991, Kohler ci tiene a spazzare via la voce per cui il suo più grande avversario è Marco van Basten.
Intervistato dal Guerin Sportivo, allora 31enne, il ragazzo di Lambsheim, comune di neanche 7000 abitanti della Renania-Palatinato, si fa scuro in volto e precisa:
"L'avversario che mi ha creato più problemi? Tutti dicono Van Basten, ma è un’assurdità. Contro di me l’olandese ha segnato una sola rete importante, nella semifinale degli Europei ‘88. Quel giorno ho vissuto la più grande delusione della carriera, perché quella manifestazione dovevamo vincerla. Dopo, però, ho sempre bloccato il milanista, in Nazionale a Italia ‘90, in Coppa dei Campioni e nell’amichevole di agosto. Mi è spiaciuto che in campionato contro di noi non ci fosse".
E di fatto, Kohler non soffrirà più Van Basten dopo quella grande realizzazione del 1988, in cui l'olandese andrà oltre il mito in finale, con la famosa girata d'antologia stampata su francobolli e magliette. Al massimo il tedesco conterrà a fatica Marco Simone, nei match contro il Milan, ma contro di lui il Cigno di Utrecht avrà poche opportunità. Il tedesco si legherà al dito la sconfitta di Euro '88, tanto da vincere ogni duello successivo con il più grande bomber rossonero dell'epoca.
Euro 1988 non sarà mai dimenticato, considerando come nel 1991 Kohler si ricorderà ancora della più grande delusione, anche davanti ai Mondiali 1990 vinti in Italia. Anche in quel caso Van Basten, nelle fasi precedenti alla finale conquistata contro l'Argentina, non avrà la meglio. Come non la avrà El Pibe de Oro, l'altro grande dell'epoca su cui Kohler metterà occhi, piedi e ogni mezzo a sua disposizione per vincere il torneo internazionale. Maradona sarà bloccato fino al minuto 85, quando Brehme porterà i suoi a vincere la coppa, sollevata al cielo di Roma dal grande amico Matthäus.
Maradona, Van Basten, primi della lista per gloria eterna, ma di certo non gli unici. Perché Kohler avrà modo di sfidare alcuni dei più grandi interpreti d'attacco della storia, nei suoi vent'anni di carriera. Vinti i Mondiali, lasciato il Bayern Monaco, Kohler viene ingaggiato dalla Juventus, mecca del calcio di inizio anni '90 con cui continuerà a vincere, come in ogni maglia indossata.
In bianconero solleverà la Coppa UEFA e lo Scudetto, poi batterà Madama in finale di Champions difendendo l'ultimo dei suoi club, il Borussia Dortmund. Ergendosi a muro, a volte anche un po' strafottente, contro i tentativi di Rummenigge, Batistuta, Signori. Chi amico, chi solo avversario.
Una volta cambiata maglia, arrivato il momento di affrontare i compagni di vita in Nazionale o dopo un trasferimento, Kohler si dimenticava del passato, affamato di gloria e vittorie, senza mai essere stopper d'urto. Per questo era oltre. Certo, era duro nei contrasti e per nulla intenzionato a tirar indietro la gamba, ma la sua era una foga "corretta", come disse Van Basten durante i loro eterni duelli.
Lo stesso Kohler, interrogato sulla sua presunta cattiveria, ai tempi della Juventus ebbe da ridire:
"Ma no, sono fantasie. In otto anni di carriera non mi hanno mai espulso, e nessun mio avversario si è infortunato seriamente. È chiaro che nel mio ruolo i colpi si prendono e si danno, però io non esagero mai. I tacchetti al limite del regolamento? Una leggenda anche quella.
È una storia vecchia. Quando giocavo nel Waldhof Mannheim, il mio allenatore mi suggerì di usare tacchetti lunghi 18 millimetri per aumentare l’aderenza al terreno negli scatti. Però non mi sono mai sognato di trasformarli in armi improprie. Anche in Germania, del resto, le suole vengono controllate dall’arbitro...".
Kohler riceverà in effetti cartellini rossi solamente negli ultimi di carriera, con una condizione fisica sempre meno al top e dunque più portata ad errori da espulsioni, dovuti più a ingenuità e difficoltà che alla cattiveria. A 37 anni, dopo aver per anni pensato di lavorare nella sua agenzia di assicurazioni a Monaco, comincerà ad allenare: la Germania Under 21, il Duisburg e giù a scendere tra dilettanti e giovani. Consapevole di di un calcio ormai cambiato, i suoi insegnamenti da stopper non verranno comunque recepiti meno nel corso del tempo. La necessità di essere elegante è diventata prioritaria nel calcio, ma quando davanti agli occhi si mostra qualcuno capace di coniugare cattiveria, qualità e tecnica, ci si interroga su chi abbia avuto dietro, come insegnante, quel ragazzo. Se tedesco, probabilmente Kohler. König (re) degli stopper.


