“La concha de tu madre!”.
L'urlo risuona alto, ma non lo sente praticamente nessuno. Perché ci sono 40000 voci a sovrastarlo. Hanno visto tutti quel che è appena accaduto in campo: il difensore che stende un avversario lanciato a rete, il centravanti che corre verso l'arbitro chiedendone l'espulsione invece dell'ammonizione, il difensore che a sua volta reagisce. Dandogli della spia e gridandogli addosso, appunto: “La concha de tu madre!”. È un tipico insulto alla spagnola con cui si prendono di mira le mamme. E l'attaccante gli risponde: “Guarda che è anche tua madre”. Ed è vero, perché i due litiganti sono fratelli. Diego Milito, centravanti del Racing, da una parte; Gabriel Milito, difensore dell'Independiente, dall'altra.
L'episodio avviene alla Fortaleza, lo stadio del Lanus, il 9 marzo 2003, nel primo tempo di un derby di Avellaneda finito 1-1 e giocato in campo neutro per punire le intemperanze dei tifosi del Racing. Ed è altamente simbolico del rapporto del Principe con l'Academia. Più forte di quello con il Genoa, e addirittura di quello con l'Inter, dove pure ha vinto tutto. Diego Milito è il Racing, il Racing è Diego Milito. Una passione così intensa da arrivare a litigare con il fratello. Una baruffa che quel giorno è iniziata in campo, sotto lo sguardo attonito dei genitori presenti in tribuna, ed è proseguita dopo la partita, prima all'antidoping e poi a casa, guardando i programmi sportivi serali, “fino a quando – ha raccontato Diego – nostro padre non si è arrabbiato”.
Milito ha aperto e chiuso la carriera al Racing. Se n'è andato da campione d'Argentina, è tornato e ha vinto di nuovo. Nel 2014, quando Diego lascia l'Inter, tutti sanno che rientrerà in Argentina. Lì dove tutto è iniziato. È reduce da una notte, quella del 18 maggio al Bentegodi di Verona, in cui hanno pianto tutti. Non per il risultato, un 2-1 in rimonta a favore di un Chievo lanciato dalla doppietta dell'ex Obinna, e nemmeno per il quinto posto tutt'altro che esaltante della squadra di Mazzarri. Hanno pianto tutti perché hanno compreso l'ineluttabilità della fine di un ciclo. È stata l'ultima in nerazzurro di Milito, ma anche degli amici e connazionali Javier Zanetti, Esteban Cambiasso e Walter Samuel. Hanno lasciato tutti assieme, come avevano fatto i senatori del Milan un paio d'anni prima.
Getty“Vado in Italia per Milito – diceva un mese prima il presidente del Racing, Victor Blanco – Ci siamo sentiti al telefono e sta pensando di tornare. Vuole parlare con noi per farci sapere le condizioni e capire il nostro progetto. Credo si possa fare. Sappiamo che non possiamo competere con il mercato europeo, ma aspettiamo di riunirci con lui”.
L'accordo si trova. Milito firma con il Racing a metà giugno, pronto per il campionato che prenderà il via di lì a due mesi. Ha 35 anni, ma nella parte bianca e azzurra di Avellaneda non l'ha dimenticato nessuno. E non l'hanno dimenticato i tifosi, che alla notizia del suo ritorno esplodono di gioia. Anche se quando se n'è andato non era il centravanti letale che sarebbe diventato col passare del tempo. 37 goal in 148 partite, media non da buttare, per carità, ma neppure paragonabile a quella che lo consoliderà nel panorama europeo.
“Chi scelgo tra il Milito giovane e quello adulto? Il secondo: il giovane non segnava mai... – ha scherzato Lisandro Lopez, l'ex attaccante di Porto e Lione, racinguista nel midollo come il Principe – In seguito ha fatto 70 milioni di goal. Aveva una capacità di apprendimento impressionante”.
Il giovane “che non segnava mai”, in ogni caso, nel 2001 ha realizzato da subentrato una rete decisiva contro il Colon, fondamentale per aiutare il Racing a centrare una sofferta salvezza. E qualche mese dopo si è laureato campione d'Argentina con un club fallito due anni prima, rinato dalle proprie ceneri e capace di interrompere un digiuno di 35 anni. È lì che l'Europa ha notato quel centravanti magro, istintivo, non ancora letale ma potenzialmente devastante. Il Genoa, il Saragozza (assieme al fratello), di nuovo il Genoa, l'epopea all'Inter.
Quando Milito viene presentato al Racing per la seconda volta, il proposito è sempre lo stesso: “Salir campeón”, diventare campione. Forse non immagina davvero che il desiderio possa trasformarsi in realtà. Perché per il Racing, ancora una volta, sono anni di discreta mediocrità. Sulla panchina biancazzurra è transitato anche Diego Pablo Simeone, ma il miracolo del 2001 non si è più ripetuto.
TelamMilito ci mette poco a lasciare il segno. Alla prima di quel Torneo de Transición, transizione di nome e di fatto verso un super campionato da 30 squadre, il Racing vince per 3-1 in casa del Defensa y Justicia e una delle reti è proprio del Principe, che al braccio porta la fascia di capitano: stop di petto su assist scodellato da Hauche e definizione perfetta davanti al portiere. Ne arriverà un altro alla quarta giornata, su rigore, contro l'Arsenal. E poi un altro ancora pochi giorni più tardi all'Independiente, che però rimonterà fino al 2-1 finale.
Così, al Racing iniziano a capire che potrebbe davvero essere l'anno giusto. Dopo il ko nel Clásico, nel quale peraltro Milito deve uscire per infortunio, Cocca spara: “Preferisco perdere con l'Independiente e vincere il campionato”. Senza il Principe, ai box per quasi un mese, l'Academia le prende in casa anche dal Lanus. Poi comincia a cambiare marcia, pur tra alcuni alti e bassi e un inopinato 0-2 casalingo contro l'Atletico Rafaela. Espugna la Bombonera, batte il River, infila una sfilza di 1-0 che valgono oro.
Il 30 novembre del 2014, penultima giornata, il Racing fa visita al Rosario Central. Ha due punti di margine sul River secondo e deve vincere a tutti i costi. Dopo lo 0-1 di Gaston Diaz, è proprio Milito a chiudere i conti con una doppietta che sa tanto di titolo. “Ci manca ancora una finale – dice il capitano dopo la partita – ma mi tolgo il cappello di fronte a questa squadra”. Il sogno diventa realtà due settimane più tardi: è un colpo di testa dell'ex genoano Ricardo Centurión a vincere la resistenza del Godoy Cruz in un Cilindro magnificamente vestito a festa, con tanto di strepitoso sventolio generale di sciarpe e bandiere a pochi secondi dal fischio finale. Alla fine della partita, con la figlioletta Agustina in braccio, Milito prende in mano un microfono e parla direttamente alla gente presente allo stadio:
“Non ho parole, sono emozionato. In questo momento ho tante persone da ringraziare, principalmente la mia famiglia, che mi ha sostenuto quando ho deciso di tornare. E poi i miei figli, che oggi possono godersi questo trionfo, visto che nel 2001 non c'erano. Vederli così felici mi riempie il cuore di gioia. Ringrazio Victor Blanco e la dirigenza per lo sforzo che hanno fatto. E poi, chiaro, ai miei compagni, che hanno un'umiltà incredibile. Ringrazio la gente che lavora tutti i giorni con noi. Quando sono tornato sognavo un giorno così. Ora posso dire che siamo campioni”.
È il punto più alto della seconda esperienza di Milito al Racing. Non il capolinea. Nel 2015 l'Academia partecipa alla Copa Libertadores, ma sorprendentemente viene eliminata ai quarti di finale dai paraguaiani del Guaraní. L'ex nerazzurro fa ampiamente il suo, nei gironi segna quattro volte, ritrova l'amico Lisandro Lopez, però il peso dell'età inizia a farsi sentire. In campionato il Racing non è più quello dell'anno precedente, ma arriva comunque quarto. Milito è decisivo in un altro clásico contro l'Independiente, finito nelle mani biancazzurre grazie a una sua rete. Alla fine dell'annata la tentazione del ritiro è forte, ma Diego decide di andare ancora avanti e firma il rinnovo: c'è un'altra Libertadores da giocare. Ma dopo sei mesi, tre reti e un'altra precoce eliminazione dalla Copa, il momento di dire stop arriva veramente.
Contro il Temperley, il 21 maggio del 2016, nel giorno in cui nasce la terza figlia e in cui il destino, a lui che ha fatto del numero 22 un simbolo da esibire sulle spalle, gli regala il il 22° goal della sua seconda esperienza al Racing (con tanto di rigore sbagliato), uno spettacolare Cilindro colorato di bianco e azzurro è tutto per Milito. Prima della gara, il club gli consegna una targa commemorativa. Al minuto 22 la partita si ferma per un riconoscimento da brividi. Tra striscioni e cartoncini con la scritta “Gracias Milito”, la gente gli dedica il solito coro: “Milito hay uno solo”. Evidente riferimento al fratello Gabriel, simbolo dell'Independiente. Lo intonavano anche una ventina d'anni prima, ma Gabi ha sempre rivendicato per i propri tifosi la paternità del canto. Quando gli hanno chiesto chi sia il vero Milito, Diego ha tagliato corto sorridendo:
Télam“Nostro padre dice sempre che di Milito ce n'è uno solo ed è lui”.
Al Milito del Racing dedicheranno una via, l'Avenida Diego Milito: è quella che conduce al Cilindro e si interseca con l'Avenida Ricardo Bochini, che sua volta porta dritta al Libertadores de America, lo stadio dell'Independiente, che dista meno di mezzo chilometro dall'impianto dei rivali. Poco dopo l'inaugurazione, nell'agosto del 2016, qualcuno ha pure rubato il cartello stradale...
Ma non finisce qui, perché dopo il Milito bis tocca al Milito ter. Che si snoda sotto un'altra veste: quella del direttore sportivo. Un paio d'anni, dal 2017 al 2019, e un altro titolo argentino, il terzo, conquistato ancora una volta all'ultima giornata. Fino a quando il Principe decide di lasciare, questa volta in maniera traumatica, in contrasto con il presidente Blanco, annunciando la propria decisione in un video:
“Non condivido le idee e il modello di gestione del presidente. Non ho nulla contro Victor (Blanco), ha l'autorità di scegliere le politiche e le linee guida del club e io lo rispetto, essendo stato votato dai soci. Evidentemente non ho avuto potere di persuasione, non sono stato ascoltato. Non ho chiesto di cacciare alcuni dirigenti, ho solo chiesto di essere lasciato lavorare in pace. Ho tentato di convincere il presidente a rompere con vecchie strutture che resistono da molto tempo, lasciare da parte vecchie politiche da anni 90”.
Milito, dopo il ritiro, è stato segretario tecnico del Racing ed ora è senza squadra. Ma il percorso del cuore porta sempre lì, nell'Avellaneda bianca e azzurra. Il posto dove il Principe è diventato re.