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Darwin Nunez story, dall'infanzia difficile al Liverpool: viveva sul fiume in povertà

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Nel giro di soli quattro anni, Darwin Nunez è passato dall’essere un calciatore di ottime prospettive a uno da 100 milioni (bonus compresi) per i vice-campioni d’Europa. Il Liverpool ne ha voluto fare il proprio nuovo numero nove, anche se sulle spalle porterà il 27 lasciato libero da una leggenda del club come Divock Origi. Il belga in 7 anni ha giocato poco e segnato poco, ma tutti goal pesanti. Ecco, diciamo che per il ragazzo uruguagio di 23 anni le prospettive sono decisamente diverse: avrà tanto spazio, segnerà tanti goal. Su questo i dubbi sono pochi. Oggi.

Sì, perché il ragazzo che oggi vede il suo nome affiancato a quelli di fuoriclasse come Memo Salah o paragonato a wonderkid tipo Erling Haaland ha avuto un percorso tutt’altro che semplice. Sia di vita, sia nel calcio. Un’esplosione quasi improvvisa, pure se travolgente. Per un nome che anche al grande calcio nel suo paese ci è arrivato tardi. Non è mai stato un ragazzo prodigio: fino a 19 anni anzi non aveva mai visto nemmeno una convocazione nelle giovanili della Celeste. È finito per essere un altro pezzo da novanta sfornato da un paese che non arriva nemmeno a 4 milioni di abitanti. Più o meno gli stessi della città metropolitana di MIlano.

L’INFANZIA DIFFICILE

Quella di Nunez è stata sin dall’infanzia una vita difficile. Cresciuto ad Artigas, vicino al confine con il Brasile, tracciato dal Rio Cuareim. Viveva con papà Bibiano, la mamma Silvia Ribeiro e il fratello maggiore Junior. Casa sua era costruita sul fiume, era fatta più che altro di bastoni. Una palafitta, che ad ogni piena veniva spazzata via. Viveva in povertà.

“La mia famiglia è di umili origini - ha raccontato in una lunga intervista al ‘Mirror’ - mio papà lavorava in cantiere per 8-9 ore al giorno. Anche quando le sue scarpe iniziavano a rompersi, lui risparmiava per potermi comprare nuovi scarpini per giocare a calcio. Mamma faceva la casalinga. Girava le strade della città per raccogliere bottiglie vuote che rivendeva nei supermercati. A volte andavo a letto a pancia vuota, ma la persona che più di tutti mangiava meno era mia mamma. Spesso dormiva senza aver mangiato nulla perché voleva che io, mio fratello e mio papà ci dividessimo il resto”.

Ogni mattina il piccolo Darwin si presentava a scuola alle 7 per riuscire a prendere qualcosa da mangiare che veniva distribuito. Poi alle 15, a lezioni terminate, andava direttamente agli allenamenti.

“Sono cresciuto in un quartiere povero. Quando vedevo i miei amici, portavano tutti qualcosa che potessimo condividere, come merendine o qualche caramella". 
Darwin Nunez Uruguay 2019Getty

LA CHIAMATA DEL PENAROL 

Il calcio ha sempre fatto parte della sua vita. Giocava nella sua città, fino a quando a 14 anni è stato adocchiato dagli scout del Penarol, la squadra più importante e vincente del paese, con sede a Montevideo. Problema: tra Montevideo ed Artigas ci sono 600 km. Si trovano agli opposti del paese. Il viaggio lo aveva già intrapreso Junior, suo fratello. Si stava allenando con la prima squadra quando Darwin è stato chiamato. Papà e mamma, però, non potevano restare da soli ad Artigas. Così Junior ha deciso di tornare a casa per stare con loro, abbandonando il suo sogno e credendo in quello di suo fratello di poter diventare a tutti gli effetti un calciatore professionista.

A 16 anni, però, tutto sembrava andare a rotoli. Nunez è dovuto finire sotto i ferri per operare un legamento del ginocchio che era saltato. Poi una seconda volta, un paio d’anni dopo, dopo aver giocato sul dolore per mesi, stringendo i denti. Finiva le partite piangendo dal dolore, così è stato costretto a subire un’altra operazione alla rotula.

Nonostante tutto, è riuscito a ritagliarsi il suo spazio fino alla prima squadra, con cui ha esordito poco più che diciottenne, ritagliandosi anche un discreto spazio, ma senza mai affermarsi da subito come grande bomber.

Nel 2018 è stato anche chiamato dalla nazionale under-20, con cui un anno dopo ha disputato il Mondiale di categoria in Polonia. Non finito benissimo, però: eliminazione agli ottavi e critiche continue, pesanti, soprattutto per lui. 

“Passo molto tempo sui social, ho visto commenti che non mi sono piaciuti e mi hanno fatto sentire male. Ho dovuto parlare con lo psicologo nella nostra squadra, mi ha aiutato molto. Ora ho smesso di leggere ciò che viene detto su di me. Uso il telefono solo per parlare con famiglia, amici e parenti”.

L’ANNO ALL’ALMERIA

Con il mercato estivo del 2019 in chiusura, per Nunez arriva una chiamata quasi inattesa: lo vuole l’Almeria, in seconda divisione spagnola. Lui accetta, nonostante la categoria. E permette al Penarol di mettersi in tasca 10 milioni più 5 di bonus, una cifra di una qual certa rilevanza per il Sudamerica. 

Dopo un inizio in sordina, il ragazzo uruguagio ha iniziato ad avere sempre più spazio, fino a  diventare un inamovibile da inizio novembre, quando in panchina è subentrato Guti. Sì, proprio quel Guti. Non è riuscito a riportare l’Almeria in Liga, avendo perso al primo turno dei playoff contro il Girona, ma in compenso ha portato ad un altro livello Nunez, che sotto la sua gestione ha iniziato a trovare la porta  con clamorosa regolarità.

Darwin NunezGetty Images

I 16 goal di fine campionato gli valgono le attenzioni di club ben più blasonati: impensabile vederlo ancora per un anno in una seconda serie, pur di livello come quella spagnola.

“Quando sono arrivato era un ragazzino, poi è maturato molto - ha detto Guti al 'Chiringuito' - È un nove puro: rapido, potente, vede la porta, gli manca un po’ il gioco associativo ma avrà nu grande futuro. Sono stato molto sorpreso che nessun club spagnolo non lo abbia acquistato, visto la stagione che ha disputato. Molte delle vittorie che abbiamo ottenuto fuori casa sono arrivate grazie a lui…”.

Quando è stato ceduto al Benfica, il club spagnolo si è riservato il 20% sulla plusvalenza. La cessione al Liverpool ha fruttato un totale di circa 4-5 milioni al club andaluso.

BENFICA E LIVERPOOL, LA CONSACRAZIONE

Il resto è storia. Due stagioni al Benfica, nessun trofeo ma il titolo di capocannoniere della Liga portoghese con 26 goal al secondo anno, dopo che nel primo aveva consegnato addirittura più assist che segnato reti. Giusto per dimostrare di essere diventato un giocatore ancora più completo, ancora più forte.

Il doppio quarto di finale contro il Liverpool ha convinto definitivamente anche Klopp e i suoi ad investire su di lui: nella sconfitta ha comunque trovato il modo di brillare. E ha scelto il contesto giusto, visto che ad Anfield era già seguito con attenzione dagli scout.

La tappa portoghese, alla fine, si è rivelata la migliore scelta della sua carriera. Così come lo era stata quella di partire dalla Liga2 piuttosto che da qualche altra parte. Un percorso coronato dal trasferimento in Premier League con un ruolo da protagonista.

Un traguardo inimmaginabile ripensando alla sua infanzia, quando il suo più grande sogno era quello di poter comprare una casa ai suoi genitori, sin da quando giocava a calcio nelle strade della sua città.

“Ho continuato a lavorare duro perché mamma e papà per me hanno fatto grandi sacrifici. Ora è il momento di restituire qualcosa a loro per ciò che hanno fatto. L’amore di un padre è unico: è stato lui a dimostrarmi che i beni materiali non sono tutto”.

Mamma e papà ad Artigas non vivono più in una palafitta sul fiume.

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