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Julio Ricardo CruzGetty Goal

Julio Cruz, El Jardinero senza rimpianti: goal e altruismo nel sangue

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Leggende metropolitane, miti da sfatare, storie talmente radicate che una volta sviscerate e spazzate via, fanno perdere l'aura di immortalità tutta attorno. Non sempre, però, guardare oltre il palcoscenico porta alla delusione. Non sempre osservare dietro le quinte fa perdere qualcosa. Anche se qualcosa di cui si era convinti non è poi reale, c'è così tanto di cui parlare ed analizzare che il punto forte non è il solo. Quando si parla di Julio Ricardo Cruz, il suo soprannome, El Jardinero, è sempre stato un surplus della sua persona, una ciliegina su una torta dolce e gustosa per milioni di tifosi. Alcuni rimmarranno delusi nel constatare che in realtà non era veramente un giardiniere prima della sua sontuosa vita calcistica, ma fermarsi alla mancata professione proletaria sarebbe folle.

Cruz, del resto, è più livelli. E' romanticismo e nostalgia per chi lo chiama Jardinero, giardiniere o no. E' sentenza, per quanto riguarda quei tifosi dell'Inter che vedono in lui una delle più atomiche armi contro la Juventus. E' un nemico onorevole per gli stessi fans bianconeri, che hanno vissuto duelli a volte positivi e a volte negativi, ma sempre immersi nella stima. E' consapevolezza di vivere la vita al massimo senza mai cedere nei rimpianti e nei rimorsi: semplicemente doveva andare così. E' presente e futuro di chi ha saputo guardare oltre il pallone 24 ore su 24, sempre e comunque. A tutti i costi.

Del resto Cruz  è sì rimasto nel calcio, ma da consigliere. Osserva il figlio Juan Manuel, che come il Jardinero sta crescendo nel Banfield. Lo guarda e con rispetto di ex calciatore, più che padre, indica in che modo anticipare l'avversario, come resistere alle provazioni, come attaccare il primo palo ed anticipare gli avversari.

Cruz più che un agente è qualcuno che vede nel figlio, e in altri giovani ragazzi, il modo di mostrare che l'Argentina ha ancora tanto da dare in termini di attaccanti forti fisicamente e non solamente sguscianti e dediti al dribbling, quello ubriacante sulla fascia o incollato al piede nello stretto in mezzo al campo.

A 'Il Posticipo', Cruz racconta il suo nuovo mondo così. Politica, beneficenza, osservatore e consigliere:

"Ho lasciato l'Italia e sono tornato in Argentina. Mi sono goduto un po' la vita. Al primo anno sono stato benissimo con la mia famiglia e i miei bambini. Al secondo ho fatto un po' di politica: ho lavorato con l'ex presidente Mauricio Macri. Sono stato con loro quattro anni. Poi mi sono allontanato perché la politica non fa per me. Ho scelto di fare beneficenza. Da tre-quattro anni faccio il papà. Seguo mio figlio Juan Manuel: gioca nel Banfield, un anno prima della pandemia è diventato professionista. Sto aiutando lui ed altri ragazzi: voglio che facciano una bella carriera.

Penso a quello che sto vivendo con mio figlio. Non pensavo che sarebbe diventato così grande al Banfield dove ho cominciato io. Mi somiglia molto anche dal punto di vista fisico. Vederlo capocannoniere della sua squadra è stata una bella sorpresa. Spero che possa fare quello che ho fatto io nel mondo del calcio. Sto parlando con alcune squadre per portarlo in Europa: in Inghilterra o in Italia, meglio ancora".

Julio Ricardo CruzGetty

Cruz ha vissuto l'Olanda, ma soprattutto l'Italia delle grandi città. Milano, Roma, Bologna. La vita delle metropoli fa per lui, non quella delle campagne. Vuole tenersi occupato seguendo i figli, dopo aver provato a seguire l'azienda agricola di famiglia La Lorenita:

"Me ne sono occupato dopo aver smesso. Pensavo alle mucche. Era una bella cosa. Però se sei stato nel calcio per tanti anni, la cosa migliore è fare quello che hai sempre voluto. La fazenda rappresenta un momento della mia vita: ce l'ho ancora, ma non ci faccio caso. Poi io non sono fatto per la campagna".

Ogni tanto ci ha provato, ad immergersi nella natura. Quei pochi momenti sembrano aver sovverchiato il resto della sua vita per il grande pubblico, ma la realtà è che Cruz ci ha provato, si è divertito per un po', senza mai confermarsi. Del resto l'erba dei campi è stata legata a lui in tutta la vita, con quel soprannome, il Jardinero, divenuto una seconda pelle. Si è narrato per anni di come il Banfield lo abbia scoperto mentre per caso, durante una pausa del suo lavoro da giardiniere, ha fatto vedere ai pari età come si amoreggiasse con il pallone.

Si è narrato di come la sua bravura nel calcio era tale che una serie incredibile di personaggi orbitanti attorno al calcio, da scout ad allenatori, fino agli immancabili dirigenti, pregassero Cruz di lasciare il giardinaggio e il verde di tale arte per spostarsi sul verde del terreno pallonaro. Niente di più sbagliato, niente di più elevato astrattamente dopo un unico piccolo episodio. Uno di quelli che accadono nel calcio e che nel 2021 sarebbe subito scoperto.

Julio Cruz, El Jardinero, per qualche secondo, un istante incollato senza possibilità di staccarlo, volente o nolente:

"È nato quando ero negli Allievi del Banfield: un giorno mi ero messo a giocare col tagliaerba e qualche giornalista mi aveva visto. Alla mia prima partita ho fatto un gol molto pesante con cui abbiamo vinto 2-1 alla Bombonera contro il Boca. Tutti i giornalisti si chiedevano chi fossi.

Volevano intervistarmi, ma non mi andava. Al lunedì un giornalista, che mi aveva visto giocare, mi ha battezzato "Il Giardiniere", ma io non tagliavo davvero l'erba dello stadio del Banfield. La storia del mio soprannome è nata così".

Quando scelse il Bologna nel 2000, veniva da quattro stagioni consecutive in doppia cifra. Ariente, punta di spessore, mascella squadrata, quattro medaglie d'oro tra River Plate, Banfied e Feyenoord. La Serie A era il gotha del calcio, fine ultimo e desiderio massimo per chiunque. Poteva giocare in Premier League, ma in rossoblù erano passati grandi campioni e lui voleva essere uno di loro. Tre annate, 30 goal e in mezzo quel 2001/2002 che rimarrà per sempre stampato nella mente dei tifosi.

Julio Ricardo CruzGetty

L'Inter in lacrime, la Roma ad un passo dalla gloria, la Juventus sul tetto d'Italia, la Lazio elevata al ruolo di demiurgo. Nel 2002 Cruz ha una folgorazione dopo quell'ultima giornata di Serie A, figlia di Poborsky, cugina di Simeone e nemica di Gresko, amica di Del Piero e distruzione di Ronaldo. A Julio Ricardo è sempre piaciuto aiutare, altruista fino al midollo. Sudamericano. Ora lo fa col figlio e con la beneficenza post attività politica, un tempo ci ha provato, riuscendoci, supportando compagni più famosi, immergendosi nei sogni dei tifosi e nei desideri di rivalsa:

"Quando ho saputo che l'Inter mi voleva, tutti mi dicevano di cercare un'altra squadra. Al Bologna avevo fatto bene e tante squadre erano interessate a me. Ho scelto l'Inter perché c'era Cuper. Il 5 maggio 2002 avevo visto Lazio-Inter: i nerazzurri avevano perso uno scudetto all'ultima giornata in maniera molto strana, non ci volevo credere.

Volevo andare all'Inter per fare qualcosa di buono. Sentivo che vincere lì sarebbe stato speciale. Purtroppo dopo il mio arrivo Cuper è andato via, ma sapevo di essere nella squadra giusta. All'Inter mancava un po' di fortuna. C'erano buoni giocatori che non vincevano niente da tanti anni.

Calciopoli? E' stata una pagina scura del calcio italiano. Tanti pensavano che c'era qualcosa che non andava, ma nessuno ne aveva la certezza finché non è uscito tutto quello che è uscito. Ho cercato di spiegare che gli italiani non erano quelli che avevano fatto Calciopoli. Chi ha sbagliato ha pagato: giusto così. La giornata più brutta con l'Inter? Non me la ricordo. All'Inter ho vissuto solo tante cose belle".

Cruz ha vinto 14 trofei in carriera. Julio Ricardo ha segnato 10 reti alla Juventus. Ha disputato 22 gare con la Nazionale argentina. I tifosi si sono inchinati a lui, portandolo a dire calmi, sono io che dovrei farlo. Ha vissuto al top la sua vita calcistica, ma per qualcuno l'ultimo gradino non è mai stato raggiunto. Forte sì, top no. Soprattutto perché nell'estate 2009, mentre l'Inter stendeva il filo nerazzurro dell'eternità, veniva ceduto alla Lazio. Come Suazo ha mancato di poco il Triplete, per pochi mesi, per poche settimane. Eppure, alza le spalle, sorride e pensa in positivo, perché il periodo meneghino era chiuso, senza rammarico.

Chi pensa ancora che Julio Ricardo Cruz sia soprannominato Jardinero per un reale passato da giardiniere, cappellino sul capo e felci ovunque, dovrebbe fare lo stesso: la verità non intacca la leggenda. Nessun rimpianto.

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