Carismatici. Perfezionisti. Rivoluzionari. L’identikit tracciato è quello di Antonio Conte e Gian Piero Gasperini , probabilmente la miglior proposta che il nostro paese può offrire oggi alla voce allenatori. Il primo ha impiegato meno di due anni per risollevare l’Inter dopo un decennio di magra e restituirle quello status di big del campionato. Il secondo ha stravolto – nel senso positivo del termine – una realtà come quella atalantina che dall’orticello salvezza si è ritrovata a banchettare a più riprese con le grandi d’Europa. Identità, senso di appartenenza e la capacità di ottenere sempre e comunque il massimo dal materiale umano a disposizione.
Sono i capisaldi di due condottieri che in comune hanno tantissimo . Dai primi passi in bianconero sino alle imprese capaci di sovvertire qualsiasi pronostico. Ad intrecciare le trame della loro carriera, però, c’è anche un risvolto curioso quanto negativo. Proprio così perché entrambi hanno vissuto l’unico grande fallimento della loro storia calcistica sulla panchina che oggi è occupata dall’altro . Per intenderci bisogna riavvolgere il nastro di dodici anni quando Conte si siede sulla rovente panchina dell’Atalanta agli albori della stagione 2009-2010, subentrando il 21 settembre ad Angelo Gregucci. La Dea è ferita e paga un avvio di campionato semplicemente disastroso, condito da quattro sconfitte nelle prime quattro giornate tra cui il pesante 4-1 subito per mano del Bari, guarda caso l’ultima squadra allenata dal tecnico salentino. Il responso del campo è di quelli impietosi: ultimo posto in classifica, zero punti, un solo goal fatto e uno spogliatoio sfiduciato sia sul piano tecnico che su quello morale. L’ex capitano della Juventus è il prescelto per ricomporre i cocci di una situazione disperata. Un vero e proprio battesimo di fuoco per un allenatore emergente, alla prima presa di contatto con il pianeta Serie A dopo l’esperienza maturata in cadetteria. La tempra che lo ha sempre contraddistinto da calciatore diviene il perno sul quale costruire il proprio cammino anche dall’altra parte della barricata.
GoalE in tal senso la cultura del lavoro e i risultati offrono da subito un saggio delle sue qualità, oltre a dare un sensibile scossone alla stagione dei bergamaschi: arrivano tre pareggi consecutivi contro Catania (con tanto di espulsione per proteste), Chievo Verona e Milan utili per frenare la preoccupante emorragia di battute d’arresto. Una tripla “x” a cui segue il primo successo sul campo dell’Udinese, bissato una settimana dopo dall’acuto casalingo contro il Parma. Conte è l’antidoto e a Bergamo si respira aria di rinascita . L’Atalanta è nuovamente sui binari grazie al boost di energia che il nuovo allenatore è stato in grado di trasmettere a tutto l’ambiente ma l’effetto, seppur inebriante, è destinato ad esaurirsi velocemente. Gli orobici precipitano senza preavviso in un vortice di negatività. La crisi di gioco e di risultati è di quelle profonde, irreversibili: sei sconfitte nelle successive otto partite sgretolano quel muro di certezze che era stato eretto nel giro di pochissime settimane e certificano l’involuzione di una squadra che in mezzo a quest’aria di cambiamento si è totalmente smarrita. Divergenze tattiche e non solo, perché nell’immediato post partita di Livorno (prima sconfitta della sua gestione) si registra l’insanabile rottura con Cristiano Doni, capitano e totem nerazzurro .
“Cristiano Doni è il leader della squadra, il capitano amatissimo dai tifosi. – si legge nella sua biografia ‘Testa, cuore e gambe’ - Un cosiddetto intoccabile. Mentre esce dal campo io non lo guardo, ma mi dicono che abbia applaudito ironicamente la mia decisione e detto: "Complimenti per la sostituzione". Per me la storia finisce lì”.
Ed invece il siparietto presenta una coda al veleno perché negli spogliatoi del Picchi la situazione precipita quando il numero 72, visibilmente nervoso, colpisce la porta con un pugno .
“Io mi giro e do un pugno alla porta a mia volta. Come lui. E aggiungo: " Guarda che i cazzotti li sappiamo dare tutti". Lui si avvicina verso di me con il chiaro intento di cercare uno scontro. "Credi di farmi paura?", grida facendosi largo tra i compagni che cercano di trattenerlo . "E tu credi di intimorirmi con questi gesti?", replico senza problemi. I dirigenti e i giocatori si mettono in mezzo per riportare la calma”.
Il clima è tesissimo e a gettare ulteriore benzina sul fuoco c’è la presa di posizione della famiglia Ruggeri, schierata senza troppe remore dalla parte del calciatore:
“Non ti preoccupare, ci salveremo. Ma Doni non possiamo cederlo, altrimenti ci mettiamo contro l'intera piazza”.
Per un’Atalanta che continua a raccogliere poco o nulla sul campo, c’è una piazza che inizia ad insorgere e le contestazioni contro dirigenza e squadra diventano triste routine dalle parti di Zingonia. In mezzo un paio di battiti vitali rappresentati dalla vittoria in casa del Siena e dal pareggio contro l’Inter, prontamente ridimensionati dalla figuraccia in Coppa Italia che costa l’eliminazione contro la matricola Lumezzane . Conte assorbe i colpi, tira dritto per la sua strada e alla vigilia della gara con il Napoli sgancia la prima bomba di un weekend che si preannuncia bollente .
"Quello che ho ottenuto me le sono sempre guadagnato, e sono in Serie A perché me lo son meritato. – le parole in conferenza stampa riportate da BergamoNews - Dove sono andato ho sempre fatto bene, ho portato le mie idee e su quelle idee sono andato avanti. Se poi mi devo prostituire per leggere qualcosa a mio favore io questo non lo farò mai. Io andrò avanti con le mie idee, giuste o sbagliate che siano. Finora si son sempre dimostrate giuste, sotto tanti punti di vista, compresi i tredici punti che ho fatto con l’Atalanta e che ripeto sono da media salvezza. Nonostante siano pochi per me, e sono arrabbiato per questo. Comunque c’è un allenatore qua che ha delle idee, che è già una cosa strana, e va avanti con quelle : far giocare a calcio la squadra, coltello fra i denti, correre e menare più degli altri. Ci posso riuscire o no, si può essere d’accordo o meno, ma io vado avanti così. Il lavoro è la mia unica arma, forse per questo il tifoso atalantino apprezza”.
Il giorno seguente a Bergamo si consuma il triste epilogo: l’Atalanta crolla in casa 0-2 sotto i colpi di Quagliarella e Pazienza. A fine gara, nel parcheggio adiacente allo stadio, la curva esplode di rabbia. Doni e compagni tentano la via della mediazione senza esito, ma quando dalla pancia dell’attuale Gewiss Stadium sbuca Conte il detonatore è definitivamente azionato. Il confronto è durissimo, tanto da chiamare in causa l’intervento delle forze dell’ordine per scongiurare il peggio . È la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Conte rassegna le dimissioni e rinuncia persino alla buonuscita pur di archiviare la questione il più velocemente possibile. Un ciclo apertosi sotto una buona stella e deflagrato in soli 108 giorni. Avari di soddisfazioni dal punto di visto dei risultati - 13 punti in 13 partite - ma sicuramente vissuti con intensità ed energia. Alla Antonio Conte, insomma.
GoalAncora più fugace e amara fu l’apparizione di Gian Piero Gasperini sulla sponda nerazzurra dei Navigli. E’ l’estate del 2011 e dopo quattro anni e mezzo passati a fare le fortune del Genoa, per il tecnico piemontese arriva la tanto attesa chiamata di una big . Non una qualunque perché quell’ Inter - nonostante sia al crepuscolo di un ciclo che ha toccato il suo apice con Josè Mourinho in versione pigliatutto - sfoggia sulla maglia la coccarda di campione del mondo . Le scorie post Triplete non sono sparite e dopo l’annata in chiaroscuro passata attraverso la staffetta Benitez-Leonardo urge un’operazione rilancio. La scelta di Massimo Moratti ricade appunto sul Gasp ma l’avventura in quel di Milano si apre in un clima di non troppo velato scetticismo circa il suo effettivo valore alla guida di una grande che lotta per obiettivi da grande. Dubbi ulteriormente alimentati da una campagna acquisti che si discosta totalmente dalle aspettative dell’allenatore, evidenziando una sfiducia di fondo da parte della società stessa. Ai saluti ci sono Eto’o e Pandev, eroi del Triplete. I vari Jonathan, Ricky Alvarez, Castaignos, Diego Forlan e Zarate sono il nuovo che avanza, quantomeno sulla carta.
“ Moratti parlò del possibile ritorno di Mario (Balotelli, ndr), ma mi disse che lo volevamo solo io e lui – l’aneddoto svelato anni dopo da Gasperini e riportato da Esquire.com – Pensavo che allenatore e presidente fossero abbastanza …”
Di tempo per rimuginare sul mercato non ce n’è perché il 6 agosto, nell’insolita cornice di Pechino, si fa già sul serio. Per la “prima” alla guida del biscione c’è subito il crash test contro il Milan campione d’Italia. In palio la Supercoppa Italiana. Sneijder estrae dal cilindro la punizione capolavoro all’incrocio, nella ripresa la premiata ditta Ibrahimovic-Boateng smonta i piani spingendo la coppa tra le mani del Diavolo. Le cose non migliorano nemmeno in campionato. Il debutto sul prato del Renzo Barbera di Palermo è un’altalena di emozioni ma alla fine ridono soltanto i rosanero: Milito illude, Miccoli firma il ribaltone che vale il 4-3 finale. Il diagramma è piatto. La squadra non ha né capo né coda e dopo soli quattro giorni stecca ancora. Questa volta è la Champions League a fare da scenario al clamoroso tonfo interno contro il Trabzonspor.
“ Per la prima e ultima volta in vita mia rinunciai alle mie idee . Sbagliai. Se devo morire, muoio con coerenza”, dichiarò qualche anno dopo a Premium Sport, sottolineando come né la squadra né la società, con Moratti in primis, digerivano le sue idee, su tutte quella della difesa a tre.
“Anche Conte in questi anni qualcosa ha vinto con la difesa a 3. L’ha usata Guardiola e ora perfino l’Inter. Allora era un tabù pazzesco, anche per il Milan. Squadre prigioniere della propria storia. Che delusione per l’idea che avevo di Milano, città dinamica, all’avanguardia. La verità è che io e l'Inter non c'entravamo nulla, due filosofie agli antipodi. Fu un errore che non ripeterò più" .
Il destino pare ormai scritto e il pareggio a reti inviolate in casa della Roma finisce soltanto per prolungare l’agonia di una settimana. Il 21 settembre, infatti, lo Stadio Silvio Piola di Novara è la Caporetto : Meggiorini e due volte capitan Rigoni fanno calare il sipario. Il Novara festeggia la prima storica vittoria in A 55 anni dopo l’ultimo successo ottenuto in massima serie contro la Pro Patria. Nella storia, a suo modo, ci entra anche Gasperini, esonerato dopo appena 73 giorni e protagonista della peggior partenza negli ultimi ottant’anni di storia interista . L’unico insieme al traghettatore Corrado Verdelli (2003-2004) e all’ungherese Ferenc Molnar (1941-1942, sotto la nomea di Ambrosiana) a non aver mai vinto una partita ufficiale sulla panchina della Beneamata. Un “primato” impietoso a certificare la storia di un amore mai nato.




