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Davide Santon RomaGetty Images

Parla Davide Santon, dal boom degli esordi all'Inter al ritiro a 31 anni: "Dopo il ritiro ero depresso, odiavo il calcio"

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Pensi a Davide Santon e la mente torna sempre lì: al 29 febbraio del 2009, alla sfida di Champions League contro il Manchester United in cui proprio lui, allora gioiello in rampa di lancio all'Inter, annullò un Cristiano Ronaldo già campione.

La carriera di Santon, poi, ha preso pieghe diversissime. Gli infortuni non gli hanno permesso di mantenersi al top, il treno Inter è scappato via, si è ripresentato, ma l'effetto sorpresa di quella notte era già svanito. Fino a un declino lento ma inesorabile e alla decisione, nel settembre del 2022, di lasciare il calcio a soli 31 anni dopo essere stato messo fuori rosa alla Roma.

Da José Mourinho, che lo fece esordire in quell'Inter-United e che lo ha allenato anche a Roma, a un post calcio travagliato dal punto di vista psicologico: di tutto questo Santon ha parlato in un'intervista pubblicata dall'edizione odierna della Gazzetta dello Sport.

  • Davide Santon Cristiano RonaldoGetty Images

    "IL BAMBINO È BRAVO" DI MOURINHO

    "È una frase speciale, come chi l’ha pronunciata. Il soprannome mi è rimasto appeso per la vita: ero davvero un bambino felice in mezzo a tanti giganti. Mou non voleva essere teatrale, come faceva a volte, ma sincero: pensava solo a trasmettere fiducia per il futuro che avevo davanti.

    Una benedizione arrivata troppo presto? No, non era presto, ma forse io ero ingenuo e non pronto a livello mentale. Quando sei lì a 17 anni, non sai quanto sia difficile gestire le aspettative della gente: se stai sotto l’asticella, vieni preso di mira. Dopo il primo anno avevo raccolto tutto, dallo scudetto alla Nazionale, poi mi ruppi il ginocchio: le conseguenze dell’infortunio mi hanno accompagnato fino all’ultimo giorno. Non è stato gestito bene dal punto di vista medico: io, sbagliando, ho seguito le pressioni per tornare il prima possibile. Ma il mio fisico non sarebbe mai stato più come prima...".

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  • COME AVREBBE AGITO OGGI

    "Se all’epoca un mister mi diceva “ho bisogno di te”, io rispondevo “sono pronto”, anche se non lo ero. Quando mi sono rotto il ginocchio la prima volta in U21, ho accettato di giocare la ripresa stringendo i denti e rovinandomi completamente: oggi direi di no e, al rientro, non forzerei più i tempi. Dopo il primo ritorno, ho iniziato a giocare male e, dopo 4 mesi, nuova operazione e fuori altri 8. Da quel momento in poi posso dire di aver giocato spesso con una gamba e mezza. Anche solo per allenarmi dovevo tenere il ghiaccio per ore: una zavorra dal punto di vista mentale. Gli errori, le critiche, gli affanni in campo: erano gocce che scavavano nella testa. Serviva aiuto per provare a rialzarsi".

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  • IL SUPPORTO PSICOLOGICO DOPO IL RITIRO

    "Se ce l'ho ancora? È stato decisivo nei primi 6-7 mesi dopo aver smesso alla Roma: ero depresso, senza meta. Pensavo solo alla mia fine triste, diversa da quella che avrei voluto, eppure ero così stanco... Il calcio era diventato solo sofferenza più che gioia, però nello stesso tempo ero pieno di "se": se avessi fatto quello, se non mi fossi fatto male, se, se... Ma se il rimpianto ti assale, serve aiuto".

  • Davide Santon InterGetty Images

    "ODIAVO IL CALCIO"

    "Per i primi mesi dopo il ritiro non ho visto mezza partita: lo odiavo, ma oggi sono in pace con me stesso. Potevo essere ancora lì, è vero, ma le partite sono belle anche in tv. Ad esempio, che meraviglia vedere il mio Newcastle vincere un titolo dopo 56 anni. Lì, in Inghilterra, ho avuto le 3 stagioni più continue e felici, a parte gli ultimi mesi in cui ero fuori per il terzo intervento nello stesso ginocchio. Non me ne sarei andato mai, ma come facevo a dire di no alla chiamata di Mancini nel ‘15? Significava tornare a casa, non da bambino ma da uomo. Volevo la possibilità di una rivincita, ma il fisico non me l’ha concesso".

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  • LE PESANTI CRITICHE DOPO INTER-JUVE DEL 2018

    "Non ci ho dormito per giorni, da quel momento in poi mi ha affiancato un mental coach. Era diventato tutto troppo pesante perché, se giochi con paura, complichi solo le cose. È stato uno dei momenti più duri, non c’era modo di far dimenticare le mie “colpe”. Per questo andai a Roma e ricordo che, da giallorosso a San Siro, mentre uscivo per l’ennesimo infortunio, tutto il pubblico applaudiva. In quel momento ho capito che non mi odiavano più, che i bei ricordi erano superiori a quelli cattivi...".

  • COSA FA OGGI

    "Avrei voluto fare il commentatore o prendere il patentino, ma basta calcio. Vivo a Roma con la famiglia e ho il mio centro sportivo sui Lidi Ferraresi, dove sono nato. Si gioca a calcio, padel, tennis e l'effetto Sinner spinge tanti ragazzi. Io stesso, quando vedo Jannik, sono estasiato. Lì, tra i campi di padel, cerco l'essenza più genuina dello sport: voglio giocare e senza pressione. Questa parola, "pressione", è quella che mi ha fatto più male, però ora mi sento libero".

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