Terzo posto in classifica in Serie A e primato nella nuova formula della fase campionato di Europa League. Alzi la mano chi ci avrebbe scommesso appena tre mesi fa, quando Marco Baroni si è seduto sulla panchina della Lazio tra lo scetticismo generale.
Una mossa rischiosa da parte del presidente Lotito e del direttore sportivo Fabiani, che hanno puntato sull’ex Verona, alla prima grande chiamata da allenatore della carriera, per risollevare un ambiente deluso per la stagione alle spalle e per le dimissioni di Maurizio Sarri, poi replicate dal suo successore Igor Tudor.
A completare il quadro gli addii illustri di calciatori che hanno fatto la storia recente della società capitolina e che rappresentavano pilastri sia dal punto di vista dello spogliatoio che sotto l’aspetto tecnico-tattico.
Colonne del calibro di Ciro Immobile, Luis Alberto e Felipe Anderson, senza dimenticare Danilo Cataldi, rimpiazzati da giocatore giovani e in rampa di lancio. Scommesse di qualità più che certezze, per un nuovo ciclo iniziato con qualche dubbio.
Niente nomi altisonanti, come probabilmente si aspettava la piazza per riaccendere l’entusiasmo, ma un allenatore che dopo la gavetta in giro per l’Italia si è guadagnato la grande chance in una piazza importante e ambiziosa come quella biancoceleste.
Sin dal primo giorno, Baroni ha sempre evidenziato la consapevolezza di avere a disposizione un’occasione da sfruttare al meglio e di volerlo fare attraverso la cultura del lavoro e una mentalità offensiva che a tratti di zemaniana memoria.
Fattori determinanti che hanno portato in poche settimane risultati positivi e l’entusiasmo di una piazza che si sta già innamorando del suo condottiero, uno ‘da Lazio’, che con profilo basso si sta guadagnando la stima di tutti e sta convincendo a suon di risultati.