
Il Milan è diventato il terreno di battaglia su cui dovrà misurarsi la credibilità del calcio europeo nel prossimo decennio. Il giudizio che attende infatti il club rossonero presso l’Adjudicatory Chamber riveste un’importanza “politica” che va ben oltre l’esame contabile cui invece dovrebbe limitarsi. Le ragioni di questo upgrade che di certo non facilita le cose per la società guidata da Marco Fassone sono molteplici. Non ultimo il tentativo della Uefa di resistere alle forze centrifughe che traghettano il football di alta fascia verso l’entertainment in senso ampio e i ricchissimi guadagni connessi e alle tensioni “diplomatiche” dovute all’utilizzo in chiave geopolitica di questo sport da parte di alcune entità statali.
La UEFA ha creato un set di nuove regole da lanciare il più rapidamente possibile per arginare fenomeni che rischiano di minare gravemente la credibilità e la tenuta del sistema
Non è un caso che a Nyon abbiano dovuto costruire un set di nuove regole da lanciare il più rapidamente possibile per arginare fenomeni che rischiano di minare gravemente la credibilità e la tenuta del sistema. Regole entrate in vigore dal 1° giugno scorso attraverso le quali la Uefa cerca di lasciarsi più ampi margini di manovra contro le pratiche elusive del Financial Fair play. Ecco perché si accentua il discorso della trasparenza (con l’obbligo di pubblicare i bilanci e le commissioni agli agenti), la necessità di armonizzare i principi contabili nella valutazione delle poste di bilancio più “malleabili”, o la sterilizzazione contabile dei prestiti e delle operazioni fra società con un’unica proprietà.
gettyEd ecco perché soprattutto viene introdotta la possibilità di una verifica “a priori” e non più soltanto a posteriori (come avvenuto finora sui bilanci del triennio precedente a quello in cui si giocano le Coppe) in presenza di significativi campanelli d’allarme. Davanti a una situazione debitoria elevata oppure a campagne acquisti dispendiose con uscite che sopravanzano le entrate di 100 milioni – situazioni che possono mettere dubbio la sostenibilità economica – la Uefa potrà allertarsi subito e chiedere anche che il club dimostri di poter reggere e di avere un budget anche per l’anno successivo in linea con i parametri. I poteri di indagine dell’organo di controllo contabile si dilatano dunque oltre la rigida aritmetica per impedire travisamenti e aggiramenti palesi del financial fair play.
Viene introdotta la possibilità di una verifica “a priori” e non più soltanto a posteriori in presenza di significativi campanelli d’allarme: una situazione debitoria elevata o campagne acquisti dispendiose
Come quelli cagionati dal calciomercato del Psg della scorsa estate che ha mandato in frantumi qualunque record economico proponendo posticce giustificazioni agli acquisti di Neymar e Mbappè per 222 e 180 milioni, mascherandoli con una mega promozione del mondiale qatariota nel primo caso e con un prestito annuale con obbligo di riscatto nel secondo. Il quadro di regole applicabile fino al 31 maggio 2018 evidentemente non è stato ritenuto sufficiente a sanzionare questi comportamenti. Se ne saprà di più in ogni caso a metà giugno quando la Uefa si pronuncerà sul Psg all’interno di un settlement agreement.
GettyQuel settlement agreement che al contrario è stato negato al Milan. Sul punto non si possono non notare delle incongruenze nella gestione dei dossier da parte del “Club Financial Control Body”, il quale anche sulle vicende del club rossonero è chiamato a pronunciarsi in base alle regole antecedenti al 1° giugno 2018, essendo un procedimento “vecchio”.È quindi alla cornice normativa standard del Ffp che bisogna attenersi.
Sul diniego del Settlement agreement al Milan non si possono non notare delle incongruenze nella gestione dei dossier da parte del “Club Financial Control Body”
La Uefa in effetti ha opportunamente negato a giugno e dicembre 2017 il voluntary agreement alla società rossonera. Il voluntary non è un patteggiamento come il settlement, ma un accordo tra la Uefa e un club che chiede di poter derogare per alcuni anni ai paletti del financial fair play a fronte di nuovi investimenti (cambio di proprietà, costruzione di uno stadio) e di un credibile piano di rientro. In questo caso, per la Uefa è fondamentale che ci sia la certezza della “continuità” dell’assetto proprietario a cui si concede la deroga, almeno nell’arco temporale di quest’ultima. Certezza che la nebulosa proprietà cinese di Li Yonghong non ha dato. Così come non ha fornito un piano di crescita dei ricavi sufficientemente attendibile. Il Milan peraltro non era sottoposto in quel momento a sanzioni (condizione che inibisce l‘accesso al voluntary) solo perché non si era qualificato per le coppe negli anni precedenti, caratterizzati da deficit ben oltre il limite consentito dei 30 milioni triennali.
GettyMa se il diniego del voluntary appare giusto, altrettanto giusta sarebbe stata viceversa la concessione del settlement. La valutazione contabile della Uefa in questo frangente deve essere circoscritta al conto economico dei tre bilanci antecedenti alla partecipazione all’Europa League della stagione 2017/18. I tre bilanci registrano un deficit di oltre 150 milioni. In passato la Uefa ha ammesso al settlement a club con squilibri anche più marcati. Il rifiuto del settlement al Milan è avvenuto piuttosto per considerazioni attinenti al futuro dell’assetto proprietario e del rifinanziamento del debito da 303 milioni con il fondo Elliott (peraltro solo parzialmente a carico del club).
il rifiuto del settlement al Milan è avvenuto piuttosto per considerazioni attinenti al futuro dell’assetto proprietario e del rifinanziamento del debito da 303 milioni con il fondo Elliott, peraltro solo parzialmente a carico del club.
Un unicum nella giurisprudenza del Financial fair play. Il rinvio al processo davanti alla Adjudicatory Chamber potrebbe preludere addirittura all’esclusione del Milan dalla prossima Europa League. La più grave delle sanzioni finora è stata riservata alla Dinamo Mosca e al Galatasaray (per il mancato rispetto di un precedente settlement). Ridotte all’osso, le argomentazioni della Uefa presuppongono seri dubbi sulla proprietà cinese. Dubbi più che legittimi considerando tutte le notizie giunte al di là e al di qua dell’Atlantico su mister Li. Ma che, è bene ribadirlo, non sarebbero dovute entrare nel giudizio sul settlement e dovrebbero restare fuori in quello della Adjudicatory Chamber. I debiti nell’assetto del fair play finanziario in vigore fino al 31 maggio non rilevano nella loro entità. Ciò che rileva è un fatturato che permetta di pagare gli interessi su quei debiti senza mandare gambe all’aria il conto economico. Se il conto economico è sano posso avere anche un miliardo di debiti.
Getty ImagesInoltre, tra i parametri primari del Ffp c’è la “continuità aziendale” non la “continuità della proprietà”. L’azienda che non deve essere a rischio fallimento è il Milan non il gruppo del signor Li. E alle spalle del Milan c’è il plurimiliardario fondo Elliott pronto a subentrare. L’hedge fund di Singer potrà non piacere a Nyon ma è rispettato e temuto sui mercati e non ha certo problemi di risorse. La scelta delle tempistiche del rifinanziamento poi dovrebbe rientrare nella libertà d’impresa del club rossonero: se ho un debito con un certo tasso di interesse che scade a ottobre e nel frattempo non trovo condizioni migliori perché devo rifinanziarmi a giugno, pagando fino a ottobre interessi maggiori?
Chi va protetto non è il signor Li, ma l’AC Milan, il secondo asset dell’industria calcistica italiana. Anche perché i danni economici e di immagine di una clamorosa estromissione sarebbero di tutto il nostro movimento
In definitiva, il processo al Milan sembra fuoriuscire dai canoni prettamente contabili cui dovrebbe essere confinato. Per questo motivo le istituzioni calcistiche italiane dovrebbero pretendere dalla Uefa maggiore chiarezza sulle motivazioni che ne sono alla base. Quello che va protetto non è il signor Li, ma l’Ac Milan, il secondo asset dell’industria calcistica del Paese. Anche perché i danni economici e di immagine di una clamorosa estromissione sarebbero di tutti (magari quelle stesse istituzioni calcistiche dovrebbero anche pretendere maggiori certezze su chi compra e gestisce i club italiani, ma questa per ora è un’altra questione).


