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ChivuGetty Images

Il retroscena di Chivu: "A Roma finite le partite vomitavo sempre, ho avuto bisogno di uno psicologo"

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Cristian Chivu è un personaggio storico della Serie A. Ha giocato per la Roma e per l'Inter, ha gioito e ha vinto. Fino a poco tempo fa era ancora in seno al club nerazzurro, come allenatore della Primavera.

Ma l'avventura italiana del romeno non è stata caratterizzata solo da momenti semplici e felici. Nel conto c'è un po' di tutto: il celebre infortunio alla testa che lo costrinse a giocare con un casco protettivo, ma anche un rapporto a tratti non semplice con il pubblico giallorosso.

Una questione che lo stesso Chivu ha raccontato in un'intervista a Cronache di Spogliatoio, con tanto di dettagli su un modo complicato di vivere le partite all'Olimpico.

  • "A ROMA VOMITAVO, SONO ANDATO DALLO PSICOLOGO"

    "Nel periodo a Roma ho avuto bisogno dell’aiuto di uno psicologo. Venivo fischiato e vomitavo tutte le partite. Quando Capello lasciò la Roma per andare alla Juventus, in un'intervista mi chiesero se in futuro mi sarebbe piaciuto lavorare di nuovo con lui. Risposi di sì in quanto Capello era un grande allenatore. Il giorno dopo il titolo del giornale fu ‘Chivu vuole la Juve’. Da quel momento ogni volta che scendevo in campo venivo fischiavo da tutto il pubblico dell'Olimpico. 

    In una partita contro la Samp mi lussai l’alluce. Qualche giorno dopo mi chiamò Spalletti dicendomi che non c’erano difensori disponibili e se me la sentissi di giocare, mancavano due giorni alla partita ed ero in stampelle. Non potevo abbandonare il gruppo. Saltai la rifinitura e mi presentai direttamente allo stadio in stampelle, mi fecero le infiltrazioni e giocai. Tutto lo stadio mi fischiò. Mi misi a piangere dall’ingiustizia. In quel periodo finite le partite vomitavo sempre. Provavo un mix di rabbia, stress e ansia. Ne uscii grazie allo psicologo e alle mie risorse interiori… e alla vittoria nel derby con la Lazio, da lì finirono i fischi".

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  • LA CHAMPIONS LEAGUE CON L'INTER

    "Vincere la Champions è stato bellissimo, ma rispetto alla finale a me rimane più in mente la semifinale contro il Barcellona. All’andata entrai a partita in corso, mentre al ritorno si infortunò Pandev nel riscaldamento, quindi Mourinho mi mise esterno alto a sinistra, ma con il compito di stare a uomo su Dani Alves. Giocai anche mediano dopo l’espulsione di Thiago Motta. Per raggiungere la finale difendemmo con le unghie e con i denti. Però devo ammettere che da allenatore ho vissuto una partita ancora altrettanto emozionale, la semifinale scudetto del campionato Primavera che poi abbiamo vinto. Alla fine del primo tempo stavamo perdendo 3-0, siamo riusciti a pareggiare 3-3 negli ultimi dieci minuti della partita. Dato che in campionato abbiamo totalizzato più punti di loro. Il giorno dopo li ho ringraziati: ‘Ho vinto campionati e Champions League ma con questo risultato mi avete profondamente emozionato. Ve ne sono grato’".

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  • "SONO STATO IN TERAPIA INTENSIVA"

    "Quando ero all’Inter mi sono infortunato gravemente alla testa. Ho avuto forte paura di dover smettere di giocare. Appena è successo avevo tutta la parte sinistra del corpo paralizzata ed ero anche consapevole che l’intervento era molto complicato, oltre a poterci essere delle complicazioni. Mi hanno dovuto aprire la teca cranica e hanno rimosso dei pezzi di osso che erano entrati nel cervello, per poi ricostruire tutto. Stare in terapia intensiva non è per nulla semplice. Sei sottoposto continuamente ad esami, vieni svegliato ogni ora e ti riempiono di domande, oltre a sentire cosa succede agli altri pazienti. Non è facile da gestire, ma ero contento di essere vivo.

    Prima di rientrare in campo ho dovuto fare un secondo intervento per chiudere i fori al cranio provocati dall’operazione. Con quelli non avrei avuto l’idoneità per tornare a giocare. Inizialmente ho anche avuto dei momenti di vuoto, dovuti ai farmaci che prendevo. Sono passato dalla paura della morte a quella di non poter più essere la persona di prima. Tutt’ora ho timore per il mio futuro. Non è stato semplice tornare in campo. Quando ho giocato contro il Verona per esempio, Pazzini che è stato un compagno ed è un amico, per saltare, apriva spesso le ali. Io chiamavo Marco, Materazzi, che mi diceva: 'Tu stai al centro, sui rinvii larghi vado io a saltare, fratello'. Ci sono stati anche avversari che chiedevano il cross su di me sapendo che avevo paura di saltare. Con alcuni di loro mi sono preso la mia rivincita con qualche pestone. Fa parte del gioco".

  • IL RAPPORTO CON MOURINHO

    "Mourinho a Bergamo mi disse: ’Corri come mia nonna’. In realtà da lui ho appreso come coerenza e credibilità siano fondamentali per un allenatore. Ho vinto un campionato primavera con l’Inter e ho fatto tutta la trafila dall’under 14, prima di tutto volevo capire se mi piacesse questo mestiere, e la risposta è assolutamente sì. Ci vuole una passione immensa. Dopo la finale di Coppa Italia nel 2010 mi ha convocato nel suo ufficio per dirmi che non avrei giocato l’ultima partita di campionato contro il Siena, così che potessi prepararmi mentalmente e atleticamente alla finale contro il Bayern Monaco ed un avversario come Robben. L’importante è mantenere la parola, come fece lui, se no poi iniziano i casini, soprattutto nelle grandi squadre dove ci sono giocatori di grande personalità.

    Invece, una volta a Bergamo stavamo perdendo 2-0 e mi ha sostituito al 25’. Quella partita giocavo ala sinistra, un ruolo che non facevo da quando avevo 14 anni. Perdemmo 3-1 e finita la partita ci fu una riunione dove ci criticò individualmente uno ad uno. Mi disse che sua nonna avrebbe giocato meglio di me. Io non capivo, nonostante fossi fuori ruolo avevo dato il massimo per la squadra. Finita la riunione mi disse che la partita dopo avrei giocato difensore centrale, il mio ruolo preferito. Rimasi molto sorpreso. Il valore aggiunto di José è proprio la sensibilità nel capire quale sia la scelta giusta per il bene del gruppo".

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