"Quando ero all’Inter mi sono infortunato gravemente alla testa. Ho avuto forte paura di dover smettere di giocare. Appena è successo avevo tutta la parte sinistra del corpo paralizzata ed ero anche consapevole che l’intervento era molto complicato, oltre a poterci essere delle complicazioni. Mi hanno dovuto aprire la teca cranica e hanno rimosso dei pezzi di osso che erano entrati nel cervello, per poi ricostruire tutto. Stare in terapia intensiva non è per nulla semplice. Sei sottoposto continuamente ad esami, vieni svegliato ogni ora e ti riempiono di domande, oltre a sentire cosa succede agli altri pazienti. Non è facile da gestire, ma ero contento di essere vivo.
Prima di rientrare in campo ho dovuto fare un secondo intervento per chiudere i fori al cranio provocati dall’operazione. Con quelli non avrei avuto l’idoneità per tornare a giocare. Inizialmente ho anche avuto dei momenti di vuoto, dovuti ai farmaci che prendevo. Sono passato dalla paura della morte a quella di non poter più essere la persona di prima. Tutt’ora ho timore per il mio futuro. Non è stato semplice tornare in campo. Quando ho giocato contro il Verona per esempio, Pazzini che è stato un compagno ed è un amico, per saltare, apriva spesso le ali. Io chiamavo Marco, Materazzi, che mi diceva: 'Tu stai al centro, sui rinvii larghi vado io a saltare, fratello'. Ci sono stati anche avversari che chiedevano il cross su di me sapendo che avevo paura di saltare. Con alcuni di loro mi sono preso la mia rivincita con qualche pestone. Fa parte del gioco".