20 ANNI DI FANTANTONIO

di Renato Maisani con Pierluigi Pardo

Nella vita di ogni atleta arriva sempre un lampo capace di stravolgere tutto, nel bene o nel male. Quel lampo capace di colpire la sua vita e trasformarla in un sogno, lo stesso Antonio Cassano lo raccontò così 8 anni dopo nella biografia scritta a quattro mani con Pierluigi Pardo. La storia di un ragazzo che dal nulla, in un istante, ebbe tutto. Che dalla povertà passò al lusso, dall’anonimato alla celebrità, dalle stradine di Bari Vecchia agli stadi più affascinanti del Mondo.

Qualche anno dopo, Woody Allen, nel monologo iniziale del suo capolavoro “Match Point”, rese celebre attraverso una pallina da tennis, il pensiero secondo il quale in un attimo si possa passare dal tutto al niente, in un batter di ciglia.

Il fenomenale regista americano, però, attribuiva un importante peso specifico alla fortuna, definendola persino più importante del talento. Cosa succede, allora, quanto talento e fortuna si fondono insieme? Spesso e volentieri, a quanto pare, nasce una stella. E la stella che il 18 dicembre del 1999 illuminò il cielo di Bari era quella di Antonio Cassano.

Ci risiamo. Un’altra citazione cinematografica, allacciandoci a queste parole dello stesso Cassano, risulta d’obbligo. Quanto accaduto in quella fredda notte del San Nicola di 20 anni fa è infatti il più classico degli “Sliding Doors”. Tutti, nella nostra vita, ci ritroviamo a viverne parecchi. Quello vissuto da Cassano fu però un bivio davvero estremo: quel goal infatti non servì soltanto a trasformargli la carriera, ma gli stravolse letteralmente la vita.

Oggi quella notte magica compie 20 anni. Sì, ne sono già passati 20. Nel frattempo abbiamo cambiato moneta, abbiamo vinto un Mondiale e abbiamo fatto in tempo a non qualificarci ad un altro. E intanto la carriera di Antonio Cassano, iniziata ufficialmente proprio vent’anni fa, è da poco finita. Quale migliore occasione, allora, per riviverla partendo proprio da quella notte?

Il lampo da cui è iniziato tutto

“Genio e sregolatezza” è un’espressione della quale spesso si abusa ma che come nessun’altra riesce a descrivere alla perfezione Antonio Cassano. Per l’intera carriera ha viaggiato come su un ottovolante impazzito, alternando con una  - sì, quella sì - straordinaria regolarità, improvvise impennate e vorticosi tonfi, serate da sogno e momenti da incubo, eccessi da bullo apparente e umani momenti di sconforto. 

Puntuale – almeno in quello sì - ogniqualvolta sembrava essere ad un passo dalla definitiva consacrazione, realizzava il più assurdo degli autogoal. Perché, almeno in maniera figurativa, Cassano è certamente l’attaccante che può vantare il maggior numero di autogoal in carriera. 

Ma nonostante il suo inguaribile autolesionismo, FantAntonio è riuscito nella non facile impresa di diventare uno dei calciatori più amati dai bambini. E per chi da bambino è cresciuto col sogno di diventare calciatore, questo è un traguardo che vale più di uno Scudetto. Che, per inciso, Antonio è riuscito comunque a conquistare tanto con la maglia del Real Madrid quanto con quella del Milan. 

Nel “calcio vero” non ne avrà segnati mille, ma ne ha comunque messi insieme 149. Decisamente meno di quelli che avrebbe potuto realizzare sfruttando appieno il suo talento, ma non per questo pochi per un ragazzino che per anni aveva vissuto con la speranza di poter vivere giocando a calcio. 

 “A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario. Me ne mancano 8, prima di pareggiare”. La quarta di copertina della biografia pubblicata nel 2008 sintetizzava già alla perfezione il desiderio di riscatto del fuoriclasse barese. Ed è stato forse proprio questo senso di “giustizia” a trascinarlo verso alcuni di quegli eccessi attraverso i quali mirava, forse inconsciamente, a compensare quella sensazione di ingiustizia legata proprio a quella vita da disgraziato. 

A proposito di eccessi: come dimenticare l’outfit col quale si presentò all’esigente stampa spagnola in occasione del suo primo giorno al Real Madrid?

Un ricordo che fa sorridere ma che descrive alla perfezione l’approccio di FantAntonio al successo. Perché Cassano non si è mai nascosto e non ha mai avuto peli sulla lingua. Spesso questo ha rappresentato un boomerang, ma ha sicuramente contribuito a dare di lui un’immagine trasparente che in pochi possono vantare.

La trasparenza e la spontaneità hanno sempre rappresentato il suo “credo”.

E di questo, col tempo, se ne sono accorti in tanti. Da Capello a Pradè, da Gentile a Prandelli da Delneri a Stramaccioni: Cassano li ha sempre affrontati a viso aperto, senza pensare alle conseguenze. Spesso pagandole, quelle conseguenze.  

Ma se è riuscito a diventare un’icona del calcio italiano, Cassano lo deve anche proprio alla sua sregolatezza. Nel febbraio del 2004, ad esempio, una delle sue prestazioni più sontuose è stata “impreziosita” da un gesto iconico, indimenticabile. Il riferimento va alla doppietta realizzata nello storico 4-0 rifilato dalla Roma alla Juventus del ‘nemico’ Marcello Lippi: quel giorno FantAntonio illuminò la scena in lungo e il largo prima di decidere di apporre la sua firma indelebile col celebre calcio alla bandierina. Spezzata. Per scommessa. 

Neanche a dirlo, la doppietta arriva. La bandierina viene spezzata in due. Cassano viene ammonito ma sorride. Lo definirà il il più bel cartellino giallo della sua vita. Sarà sicuramente una notte indimenticabile, alla quale ha apposto la sua firma. A suo modo, naturalmente.

Ma la carriera di Cassano porta con sé anche qualche rimpianto. Uno, forse il più grande, riguarda proprio quell'inevitabile addio alla Roma. “Se avessi ascoltato il consiglio di Francesco Totti – ha raccontato qualche anno fa al ‘Corriere dello Sport’ - probabilmente sarei rimasto a Roma per dieci, quindici anni insieme a lui. Quello è stato il consiglio che mi ha dato e che dovevo ascoltare. Però al mio solito sono andato d’istinto, di testa mia. Ho sbagliato, e chi è causa del suo mal pianga se stesso».

Nonostante questo, tuttavia, di soddisfazioni è riuscito a togliersene non poche. Ha vinto lo Scudetto e la Liga, ha vestito la gloriosa maglia del Real Madrid, ha disputato tre campionati europei ed un Mondiale, ha vissuto da protagonista assoluto uno dei derby più sentiti d’Europa con addosso la maglia della Sampdoria, ha fatto innamorare di sé milioni di ragazzini e realizzato tanti goal indimenticabili. Mica male per uno che, a detta di tanti, ha espresso meno del 50% del proprio potenziale.

Rimane tuttavia un piccolo rammarico: chissà cosa sarebbe successo se avesse incontrato qualche anno prima la donna in grado di stravolgergli la vita, forse persino più di quel celebre aggancio di tacco. “Carolina mi ha regalato l’equilibrio, non ho più bisogno di fare il matto per essere felice, perché c’è lei”, ha dichiarato in occasione di un'intervista rilasciata a “Donna Moderna”. Forse però, o almeno ci piace pensarlo, il genio di Cassano non sarebbe stato lo stesso senza quella dose di follia che lo ha spinto a pensare di poter superare in dribbling due mostri sacri come Panucci e Blanc proprio nel giorno del suo debutto da titolare in Serie A.

Adesso il celebre pareggio è arrivato. Ai “17 anni da disgraziato” hanno fatto seguito i 17 da miliardario, che adesso sono diventati 20. Nel frattempo Cassano ha detto addio al calcio giocato, è diventato direttore sportivo e opinionista televisivo, e ora è pronto a tuffarsi nei prossimi 17. Vivendo la vita “diciassette anni” alla volta, senza pensare troppo e continuando a sognare. Come faceva quel bambino tra le bancarelle del mercato di piazza Ferrarese.