Piccini ValenciaGetty Images

Piccini corona il sogno azzurro: dalla Segunda División all'Italia

A 26 anni, quelli della cosiddetta maturità calcistica, quando nel curriculum si contano zero presenze in Nazionale è difficile immaginare che il bello debba ancora venire. E invece, come nelle favole, il brutto anatroccolo Cristiano Piccini è definitivamente diventato un cigno, al punto di essere ricordato anche dall'ambiente Italia.

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Assieme al sampdoriano Tonelli, il ct Mancini ha deciso di chiamare lui per rimpiazzare gli infortunati Romagnoli, D'Ambrosio e Cutrone, costretti a lasciare il ritiro di Coverciano. Una prima volta inattesa per un terzino onesto, mai sopra le righe e, soprattutto, incapace di ricevere in Italia quell'attenzione e quella considerazione che si è dovuto guadagnare all'estero. Prima in Spagna, quindi Portogallo, infine ancora in Spagna.

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Oggi Piccini gioca nel Valencia, non esattamente ai vertici della Liga (la formazione di Marcelino è mesta quattordicesima, con 9 punti in 8 giornate) ma comunque in un club glorioso impegnato nei gironi di Champions. È titolare inamovibile o quasi: ha messo assieme 7 presenze complete su 8 in campionato, più altri 90 minuti contro il Manchester United all'Old Trafford.

Un'ascesa che in pochi, probabilmente, si sarebbero aspettati. Forse nemmeno lui, che fino a pochi anni fa vivacchiava tra Serie B e Serie A in prestito dalla Fiorentina, la squadra del suo cuore nelle cui giovanili ha iniziato la carriera. Carrarese, Spezia e Livorno, in attesa di una chiamata, quella viola, mai arrivata. Fino alla decisione di emigrare, per rifarsi una nuova vita e ricominciare da zero la carriera.

"A un certo punto serve avere la fortuna di trovare un allenatore che abbia il coraggio di buttarti dentro, e io non l’ho avuta - diceva Piccini un anno fa, intervistato da 'Repubblica' alla vigilia della gara di Champions League tra il suo Sporting e la Juventus - Non sono andato via per soldi, ma per una prospettiva di carriera”.

Scelta azzeccata, come hanno decretato i posteri. Ma che fatica all'inizio: la prima stagione da 'straniero' (2014/15) di Piccini è coincisa con la promozione in Liga del Betis, sì, ma lui è sceso in campo solo 12 volte in Segunda Divisón, e nemmeno tutte da titolare. Poi, pian piano, tutto si è sistemato col passare del tempo. Questione di maturità, di ambientamento, di allenatori giusti. Come Jorge Jesus, che nel 2017 lo ha voluto allo Sporting dandogli immediatamente fiducia. "In tre mesi mi ha insegnato più cose sull’arte di difendere di quante ne avessi imparate prima", diceva ancora Piccini nel settembre del 2017.

Miglioramenti che andavano di pari passo con un sogno a tinte azzurre. Perché sì, Piccini la Nazionale la sognava già all'epoca: "Sono qui anche per farmi notare. Tre anni fa non ero pronto, adesso sì. Ero un terzino di uno e novanta che pensava quasi solo a correre, anche perché fino ai 18 anni ero un attaccante. Ma oggi sono diverso”.

Sogno realizzato, finalmente. Piccini è stato convocato per la prima volta nell'Italia. Non da prima scelta, ma poco importa. "Lo seguivamo da tempo, può avere un futuro importante. Almeno all'estero gioca...", lo ha elogiato Mancini in conferenza stampa. Ripensando ai tempi in cui l'ex viola aspettava invano una chiamata dalla Serie A, mai considerazione fu più azzeccata.

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