Jardel Oporto 1999Getty

In Italia si è vista solo la sua ombra: Jardel, il bomber implacabile dai numeri incredibili

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Nel mondo del calcio il termine ‘bidone’ è sinonimo di delusione. A voler essere precisi, in realtà, il ‘bidone’ è colui che con le sue prestazioni va anche ben oltre la delusione, colui che è arrivato con delle aspettative e che se ne è andato per il sollievo di molti. ‘Bidone’ è quel giocatore che solo di rado si è avvicinato alla sufficienza nelle pagelle e che magari ha alternato giocate ‘fantozziane’ a errori talmente clamorosi da diventare a sua volta sinonimo di qualcosa.

Jardel un ingresso nel tutt’altro che esclusivo club dei ‘bidoni’ del calcio italiano se l’è guadagnato con forza. Approdato nel gennaio del 2004 all’Ancona per garantire alla squadra marchigiana quei goal che le avrebbero dovuto consentire di evitare una retrocessione che sembrava già certa, non solo non è mai andato nemmeno vicino a segnare una rete, ma ha lasciato la Serie A dopo tre partite condite da brutte figure e un breve arco temporale fatto di tante uscite notturne, di mattinate viceversa barricato in casa e di una rottura insanabile con il suo allenatore e con l’ambiente che lo circondava.

Quello che era arrivato in Italia era un giocatore troppo lontano dalla forma migliore per poter anche solamente pensare di incidere. Di lui si ricordano i tanti chili di troppo, il saluto alla tifoseria sbagliata nel giorno in cui il popolo di Ancona gli riservò al Del Conero un’accoglienza da superstar (a tradirlo furono i colori del Perugia che erano effettivamente simili a quelli della sua nuova squadra) e quella frase di Galeone che di fatto chiuse in anticipo la sua parentesi in Serie A.

“Deve rimettersi in sesto, nelle condizioni in cui è non può essere presentato”.

La carriera di Jardel però è stata ben altro. Se si pensa solamente al suo breve percorso italiano è stato sì un ‘bidone’ di lusso, ma se si guarda al suo intero percorso è impossibile non rendersi conto del fatto che per anni è stato semplicemente uno degli attaccanti più forti del pianeta.

Per capire chi è stato realmente Mário Jardel Almeida Ribeiro bisogna riavvolgere il nastro e tornare al 1990, quando il Vasco da Gama si assicura la firma di un ragazzino che al Ferroviario, nella sua Fortaleza, scaraventa in rete i palloni con una facilità tale da attirare anche tre o quattro mila tifosi alla volta allo stadio. Vanno tutti lì per lui, stretti sugli spalti come sardine per vedere quell’attaccante che di brasiliano ha poco e che per caratteristiche tecniche sembra uno di ‘quei tedeschi di una volta’.

Al Vasco, Jardel avrà modo per la prima volta di capire cosa vuol dire essere un professionista, ma sarà al Gremio che si guadagnerà le attenzioni di molti. A Porto Alegre trova in Felipe Scolari un allenatore pronto a scommettere forte su di lui e la fiducia sarà ripagata alla grande. Nel 1995 l’Imortal Tricolor verrà letteralmente spinta sul tetto del Sudamerica da uno Jardel che, con sedici reti in diciannove partite, si laureerà capocannoniere del torneo. Le voci delle sue imprese rimbalzano ben presto dall’altra parte dell’oceano e arrivano in particolar modo in uno dei posti forse più lontani e diversi in assoluto dal Brasile: la Scozia.

Grêmio Ídolos Mario JardelReprodução

E’ il gennaio del 1996 quando sembra fatta per il suo trasferimento ai Rangers. A Glasgow sono in molti a fremere al solo pensiero di vedere ad Ibrox quel ragazzo che viaggia quasi alla media del goal a partita, imbeccato in area avversaria da due campioni pronti a mettere a sua totale disposizione tutta la fantasia della quale dispongono: Brian Laudrup e Paul Gasgoigne. La trattativa è data per conclusa, quando l’operazione naufraga in maniera clamorosa.

A rendere impossibile il trasferimento di Jardel in Scozia è il suo status da extracomunitario. Nel frattempo iniziano a circolare anche voci che parlano di un possibile infortunio, della moglie poco propensa a trasferirsi nella fredda Glasgow o ancora uno staff tecnico non totalmente convinto dalle qualità di quel ragazzo che a volte sembra fin troppo macchinoso. Quello che è certo è che l’Europa non può attendere e se non sarà Scozia, vuol dire che sarà qualcosa di più simile al Brasile.

A fiondarsi sull’attaccante sono a questo punto Benfica e Porto. Il club di Lisbona sembra ad un passo dal poter annunciare il colpo, quando a farlo sono i Dragoes. E’ l’estate del 1996 e le attenzioni del mondo del calcio sono tutte rivolte al trasferimento di un altro brasiliano, colui che si rivelerà la sua nemesi: Ronaldo al Barcellona.

Bisogna attendere l’11 settembre 1996 perché l’Europa si accorga realmente di Jardel. Si gioca a San Siro, dove il Milan di Maldini, Boban, Baggio e Weah ospita il Porto per una sfida di Champions League. Al 62’ i rossoneri sono avanti per 2-1 quando Antonio Oliveira decide di giocarsi il tutto per tutto: fuori un centrocampista (Barroso), dentro quel giovane attaccante proveniente dal Brasile. Al 75’ Zahovic dalla destra fa partire un cross verso il cuore dell’area di rigore dove c’è Jardel che, lasciato colpevolmente troppo solo, di testa non lascia scampo a Sebastiano Rossi. Non è finita. All’83’ un tiro ancora di Zahovic diventa un assist per Jardel che di fisico resiste alla marcatura di Maldini si gira e segna ancora. 2-3 al Meazza, a trionfare sono i lusitani.

Al termine di quella stagione i goal saranno 30 in 31 partite di campionato, 35 in 44 se si considera il computo totale. Il Porto sa di aver trovato un bomber di caratura internazionale, quello che non può immaginare è che quella sarà la peggior stagione, dal punto di vista prettamente realizzativo, del brasiliano con i Dragoes.

Nell’annata successiva le reti saranno 39 in 41 uscite, in quella dopo ancora 38 in 39 e nell’ultima a Porto saranno addirittura 56 in 51. Jardel è ormai un attaccante affermato ed ha già messo in bacheca una Scarpa d’Oro e si è laureato per quattro volte consecutive capocannoniere della Primeira Divisao e a chi mette in evidenza il fatto che segnare in Portogallo è molto meno complicato rispetto ad altre parti, lui risponde con i fatti: nell’edizione 1999-2000 della Champions League è il miglior marcatore con 10 reti al pari di Raul e Rivaldo, cosa questa che fa di lui il primo giocatore ad aver vinto la classifica del miglior realizzatore sia nella massima competizione europea per club, che nella Copa Libertadores.

A questo punto sono in molti a pensare che i tempi per il grande salto siano maturi. Il nome di Jardel viene accostato con sempre maggiore insistenza a quello di alcuni tra i più importanti club europei, ma nessuno trova effettivamente il coraggio per puntare forte su di lui. In Italia c’è chi dice che in area sia un fenomeno, ma che le qualità tecniche non siano tali da consentirgli di partecipare in maniera attiva allo sviluppo dell’azione.

Ad approfittare dell’indecisione di tanti è il Galatasaray, che nell’estate del 2000 versa tutti i sedici milioni di dollari previsti dalla clausola rescissoria inserita nel suo contratto per portarlo in Turchia. Il 25 agosto del 2000 è subito apoteosi: i Leoni, dopo aver vinto la Coppa UEFA, sfidano a Montecarlo il Real Madrid nel match che mette in palio la Supercoppa Europea. Jardel prima trasforma il rigore del momentaneo 1-0 poi, nel supplementari, al minuto 103, segna il goal che vale il 2-1 finale ed uno storico trionfo.

Mario Jardel GalatasarayGettyImages

Sembra il preludio per una stagione indimenticabile e arriveranno altri due goal contro il Milan, ma l’annata è costellata da infortuni e alla fine i goal saranno ‘solamente’ 34 in 43 partite (22 in 24 se si considera solo il campionato), il tutto condito con un altro titolo di capocannoniere della Champions (9 reti come Raul). A frenare Jardel in realtà c’è anche altro: la nostalgia per il Portogallo.

Il Galatasaray non può fare altro che prenderne atto e così, nell’estate del 2001 si consuma il trasferimento allo Sporting. Ritrovata la serenità, Jardel torna ad essere devastante e i numeri paradossalmente faticano anche a raccontare quanto netta fosse la sua superiorità rispetto agli avversari: 42 goal in 30 partite di campionato che gli valgono anche il quarto titolo di campione del Portogallo, 55 in 41 se si considerano tutte le competizioni.

A 29 anni Jardel è più forte che mai, tuttavia non c’è posto per lui nel Brasile che prenderà parte ai Mondiali del 2002. Ha ‘avuto la colpa’ di giocare nello stesso periodo di Ronaldo, il più forte di tutti, il Fenomeno, e le caratteristiche dei due non si sposano. Scolari, uno dei tecnici che lo conosce meglio in assoluto, sa quanto sia forte, ma per la sua squadra ha pensato ad un attacco più tecnico e a giocatori come Rivaldo, Ronaldinho, Denilson e Kakà, ma anche ad elementi come Edilson e Luizao che oggettivamente non si sono mai avvicinati ai suoi livelli.

Quel Brasile vincerà il Mondiale e quell’esclusione contribuirà a cambiare qualcosa nella testa di un giocatore che sa che probabilmente non avrà altre occasioni per salire in cima al mondo. Da questo momento in poi inizierà una seconda fase della sua carriera, quella che lo condurrà ad un finale diverso da quello che avrebbe meritato.

Anche allo Sporting se ne accorgono presto. Jardel si allena poco e male, si infortuna con una frequenza insolita e quando parte per il Brasile non dà notizie di sé per giorni. La bellissima moglie Karen l’ha lasciato ed è tornata a Fortaleza e iniziano a circolare voci che spaventano. C’è chi parla di depressione, chi di droga, chi ancora dice che la prima accompagni la seconda o viceversa.

I goal nella stagione 2002-2003 saranno solo 12 in 21 partite, una miseria per uno come lui, ma la cosa non deve sorprendere: per Jardel ormai il calcio non è più una priorità e Supermario ha lasciato il posto a Mario e ai suoi fantasmi, come raccontato al canale Youtube 'Pilhado'.

“Sono entrato nel mondo della droga quando giocavo in Europa, l’ho fatto per curiosità. Incontrai alcune persone che me la offrirono. La consumavo regolarmente quando ero in vacanza perché sapevo che durante le competizioni ci sarebbero stati i controlli antidoping. Quando hai tanti soldi, le trappole e le tentazioni sono molte”.

La sua carriera scivolerà via tra Inghilterra, Italia, Argentina, Spagna, Brasile, di nuovo Portogallo, Cipro, Australia, Bulgaria ed Arabia Saudita. Un lungo girovagare per il mondo, vissuto più come un’attrazione che come un vero e proprio bomber. Chi accorreva allo stadio lo faceva per vedere cosa era diventato colui che per anni aveva fatto tremare le difese di mezza Europa.

PS Jardel

In molti, quando parlano di Jardel, ricordano soprattutto la seconda parte della sua carriera, ma l’ex bomber brasiliano, che nel 2012 ha appeso gli scarpini al chiodo, spesso rivendica con orgoglio quanto fatto e ottenuto.

“Io sono entrato nella storia, sono unico e lo dico con umiltà. Quello che oggi fa Lewandowski, ovvero segnare 45 o 60 goal l’anno, io l’ho fatto per sei o sette stagioni di fila. Se giocassi oggi varrei tra i 150 ed i 200 milioni di euro”.

La gloria dei bei tempi è ormai lontana, ma fortunatamente anche i problemi, che pure sono stati tanti, sono ormai un ricordo.

“Mi sono liberato di quelle cose e mia moglie è stata fondamentale in questo. Mi è stata vicina anche nelle situazioni più semplici. Spesso mi accompagnava alle feste, sapeva che in certi contesti è più facile che certe cose accadano, soprattutto dopo aver bevuto. Ora voglio dare una buona immagine di me ai miei figli, fare qualche lavoro sociale e tenere lezioni affinché i giovani non commettano i miei stessi errori”.

Per uno che ha segnato oltre 450 reti in carriera, forse è questo il goal più importante in assoluto.

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