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Gianluca Pessotto, 'Il Professorino': dalle Giovanili del Milan ai successi con la Juventus

"Schopenauer e Dostojevski sono i miei autori preferiti, ma è 'Il piccolo principe' il libro che mi ha maggiormente affascinato; attraverso una favola per bambini, lo scrittore ha voluto trasmettere l’insegnamento di quei valori che vanno contro il materialismo imperante della nostra società. Penso di essere così anch'io; sin da piccolo ho sempre preferito l’essere dall’apparire" - Gianluca Pessotto

Calciatore generoso, trasformatosi negli anni da mediano a terzino in grado di agire su entrambe le fasce, con preferenza per quella sinistra, grazie ad un'intuizione di Nedo Sonetti, Gianluca Pessotto era il classico elemento che nello spogliatoio piaceva a tutti, allenatore e compagni.

Dinamico e intelligente tatticamente, pur non particolarmente dotato tecnicamente, aveva polmoni, grande corsa e di un tiro potente dalla distanza. Formatosi nel Settore giovanile del Milan, dopo un po' di gavetta troverà la sua consacrazione nella Juventus di Marcello Lippi, nella quale vincerà tanto, diventando un elemento imprescindibile di quella squadra.

Laureatosi in Giurisprudenza e appassionato di letteratura, e per questo soprannominato da tifosi e compagni 'Professorino', nei suoi anni migliori ha indossato anche la maglia azzurra della Nazionale italiana, con cui ha giocato i Mondiali di Francia '98 e gli Europei del 2000, persi in finale contro la Francia. In tutta la sua carriera da calciatore è sempre stato considerato un esempio di correttezza e di lealtà sportiva.

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I PRIMI PASSI NEL SETTORE GIOVANILE DEL MILAN

Gianluca Pessotto nasce a Latisana, cittadina dell'ex provincia di Udine, in Friuli, l'11 agosto 1970. Fin da giovane dimostra di amare il calcio e i suoi genitori, di fede sportiva milanista, gli permettono a 14 anni di trasferirsi a Milano per inseguire il sogno della sua vita, quello di diventare un calciatore professionista.

"È stata un’esperienza magnifica - racconta Pessotto in un'intervista a 'TuttoC' - sono passato da un piccolo paesino del Friuli a una realtà come Milano. Per rincorrere il sogno della vita, a maggior ragione venendo da una famiglia di milanisti".

Gianluca approda nel Settore giovanile rossonero sotto la presidenza di Giussy Farina e, come gli altri suoi coetanei, vive e studia in un collegio nel centro cittadino del capoluogo lombardo. Fin da ragazzo impara così ad assumersi le sue responsabilità e i valori dello sport, del rispetto e del sacrificio. Gli mancano la sua famiglia e gli amici ma tiene duro.

"C'erano tanti rischi, tanti punti di domanda - dirà -. A quell'età sei veramente piccolo: per me era una sfida affrontare un passaggio di questo tipo, in una città così grande e in un club così importante. Ma a me le sfide sono sempre piaciute, non ho mai avuto timore di prendermi dei rischi e di affrontare le cose di petto. I miei genitori mi hanno dato fiducia immensa, lasciandomi possibilità di scegliere. E devo dire che è stata un’esperienza incredibile".

La situazione migliora sensibilmente con l'approdo alla presidenza di Silvio Berlusconi e il trasferimento di tutto il Settore giovanile nel Centro sportivo di Milanello, a stretto contatto con i grandi campioni della Prima squadra, guidata da Arrigo Sacchi.

"In un attimo noi ragazzi ci trovammo a trasferirci da un convitto nel centro di Milano a Milanello - racconterà Pessotto -. Per noi era il Grand Hotel. E allenarsi con quella squadra era come andare all’università del calcio. Quando capitava che ti chiamassero ad allenarti con la Prima squadra anche solo per fare numero, avevi modo di capire quali fossero le tue ambizioni e cosa servisse per soddisfarle".
"Quei campioni vincevano tantissimo - sottolinea - ma si allenavano con una umiltà incredibile, come se non avessero vinto nulla. Per me è stata una grande scuola, ho visto gente come Van Basten e Rijkaard che prima dell’allenamento faceva esercizi di tecnica coi conetti. E non ne aveva ovviamente alcun bisogno. Quella fase mi è servita soprattutto per capire che un campione lo è prima di tutto nella mentalità".

Con il Milan, assieme a ragazzi come Demetrio Albertini, Sergio Porrini e Francesco Toldo, Pessotto, che gioca come mediano, fa tutta la trafila e si ritrova a fine anni Ottanta a giocare nella formazione Primavera. Ma per lui non c'è la possibilità di passare subito in Prima squadra.

"Di fatto ci è riuscito solo Albertini, che dopo un’esperienza fuori è tornato al Milan e ci è rimasto, anche aiutato dall’addio di Ancelotti - spiegherà -. Però tecnicamente era impensabile allora per un giovane poter fare un salto così grande e passare dalla Primavera alla Prima squadra in maniera fissa".
"L’approccio è cambiato molto. Oggi se proponi a un giovane della Primavera di andare in C può capitare che ti guardi un po' storto. Trent’anni fa la Serie B era un miraggio: ci andava solo l'élite. Degli altri, i più bravi e fortunati partivano dalla C1, altrimenti dalla C2. Oggi è tutto più veloce".

LA GAVETTA FRA SERIE C E SERIE B

Per Pessotto, come per gran parte dei giovani del vivaio rossonero, si aprono le porte della Serie C2. Gianluca approda così al Varese, dove inizia il suo percorso da calciatore professionista.

"Io non ero pronto per andare in B né tantomeno in A - ammetterà -. E così non ho storto il naso quando andare via dal Milan è significato trasferirsi a Varese".

Nel 1989/90 vince subito il Campionato di Serie C2, girone B, con i lombardi che conquistano la promozione in Serie C1. Nel campionato successivo nella categoria superiore, però, le cose per la squadra non vanno bene e Pessotto e compagni retrocedono nuovamente in C2. Impara che nello Sport niente è scontato e che le situazioni cambiano rapidamente. In due stagioni in biancorosso il giovane friulano colleziona 64 presenze e un goal.

"Varese è stata la mia fortuna - assicura - e questo dimostra che ogni strada diventa buona se hai la capacità di pensare non a quello che hai lasciato, ma a quello che devi fare per raggiungere il tuo obiettivo. Per me è stata un’esperienza fondamentale. Magari ho fatto un passo indietro rispetto ad altri compagni, ma ho preso più consapevolezza nei miei mezzi. Non ero così sicuro di me e di quello che avrei potuto fare, Varese mi ha permesso di scoprirmi passo dopo passo".

A Varese conosce anche Reana, l'amore della sua vita, che qualche anno dopo diventerà sua moglie, e gli darà due figlie, Federica e Benedetta.

"È come la Juventus - dirà Gianluca di lei -, la miglior donna che potessi sposare".

Sul rettangolo verde il passo successivo lo vede invece in forza alla Massese, in Serie C1, nella stagione 1991/92. Colleziona 22 presenze e una rete, con una salvezza che arriva in extremis.

"Con i toscani ci siamo salvati per il rotto della cuffia - ricorderà -. Come quella precedente, è stata un’esperienza che mi ha aiutato molto a capire dove volessi arrivare. Il rischio che si corre a quell’età è di adeguarsi al livello e al ritmo del campionato".
"Invece i giovani devono avere l’ambizione di non accontentarsi, di capire che per loro quella è una tappa di passaggio. Io ho rischiato di fermarmi più di una volta, ma soprattutto a Massa. E lì ho avuto uno switch a livello mentale".

In Toscana avviene l'incontro con il procuratore Sergio Berti.

"Mi disse: 'Ma tu cosa vuoi fare della tua carriera, della tua vita? Perché se tu vuoi continuare con la C, continua a giocare così e per la C sei un buon giocatore. Ma, se nella tua vita vuoi fare qualcosa di diverso, non ti puoi accontentare di queste prestazioni'. Mi ha fatto sentire talmente piccolo che mi sono vergognato. Ho capito che mi stavo adeguando alla categoria, ai ritmi, a calciatori anche più grandi".
"Ci ho messo un po' a cambiare le cose, perché non è mai semplice, ma è stato un passaggio importante della mia vita e della mia carriera. Se fossi rimasto in C per sempre non mi sarebbe andata male, ovvio: parliamo di un campionato di grande impegno, fatto da gente che ama davvero il calcio. Ma penso che un giovane debba avere l’ambizione di fare qualcosa di diverso. A un certo punto dovevo decidere se fare il calciatore di squadra che retrocedono o fare altro, perché se poi iniziano a girare queste voci non ti prende più nessuno".

La grande occasione gliela offre il Bologna, che, retrocesso in Serie B, lo ingaggia nella stagione 1992/93. La piazza si aspetta tanto, ma le cose per i felsinei non vanno bene: in panchina si succedono 4 diversi allenatori, e a fine campionato i rossoblù, diciottesimi, retrocedono in Serie C1. Pessotto totalizza 21 presenze e una rete nel 3-0 interno contro il Taranto.

"Non mi sembrava vero di andare una piazza così importante, era il primo anno di B per me e tra l’altro io ho anche fatto il militare in quella stagione - ricorderà a 'Tutto C' -. Però è vero, abbiamo imbroccato un campionato sbagliato. Non è stato facile: per me sono state le prime volte in cui si usciva dallo stadio tra le contestazioni, con la gente che ti picchiava sui vetri perché andava tutto storto".

Nel 1993/94 Pessotto approda al Verona e ha finalmente l'opportunità di esprimersi con una squadra di livello superiore a quelle nelle quali precedentemente aveva militato. Gli scaligeri si piazzano dodicesimi in Serie B sotto la guida di Bortolo Mutti, ma mettono in evidenza i loro giovani: su tutti proprio Pessotto, autore di 3 goal in 35 presenze (34 in campionato e una in Coppa Italia) e il giovane bomber Pippo Inzaghi.

"A Verona io e Pippo abbiamo subito legato molto - racconterà Pessotto - In un certo senso eravamo due scapoloni, anche se io ero fidanzato e lui no. Lui segnò tantissimo (13 goal, ndr) ed esplose. Per me è stato un punto di svolta, anche se il finale è stato complicato".
"Non pensavo che potessero esserci per me interessamenti dalla Serie A. Quando è diventato chiaro che sarei andato via ho subito attacchi personali e offese. Mi è dispiaciuto, soprattutto quando ci sono rimasti male i miei genitori che erano venuti a vedermi allo stadio. Non è vero che andai via per soldi: non sono stati mai un movente nella mia carriera. E quindi quella contestazione alla fine mi ha fatto da stimolo: tutto fa scuola, nel calcio come nella vita".

IL TORINO E IL CAMBIO DI RUOLO

La bella stagione in B con la maglia del Verona vale a Pessotto l'agognato salto in Serie A nel 1994/95. A puntare su di lui è il Torino, in quello che rappresenta un passaggio essenziale della sua carriera.

"Per me il Torino - dirà nella sua intervista con 'Tutto C' - rappresentava l’apice della carriera in quel momento. Non ci ho pensato due volte. Era una squadra giovane e che puntava sui giovani: ci si prendeva dei rischi, ma era anche l’occasione giusta per crescere ancora, muovere i primi passi in A, conoscere un calcio diverso, di vertice".

Il 4 settembre 1994 è una data che non si può dimenticare nella carriera calcistica di Pessotto, quella dell'esordio in Serie A.

"Debuttai in prima squadra al Delle Alpi contro l’Inter, nel settembre 1994 - ricorderà -. Vinsero i neroazzurri 2-0, ma fu un ottimo campionato. Vincemmo entrambi i derby e avemmo la fortuna di essere l’unica squadra a battere due volte la Juventus scudettata".

Dopo l'esonero di Roberto Rampanti e la breve parentesi di Lido Vieri, sulla panchina granata approda a fine settembre Nedo Sonetti, che lo conferma titolare nel massimo campionato, impiegandolo in un nuovo ruolo: non più mediano, come fino a quel momento aveva sempre giocato, ma terzino sinistro. La squadra trova il giusto assetto e si piazzerà all'11° posto dopo le difficoltà in avvio.

"Sonetti fece la mia fortuna - dichiarerà Pessotto -. Io sono destro naturale, anche se scrivo con la sinistra. E c’è carenza di mancini che giocano in difesa. Lo stesso Maldini è un destro che ha trovato la propria strada a sinistra. Naturalmente, Paolo è il più grande. Un problema, quello del fluidificante di sinistra, che aveva pure quel Torino. E Sonetti trovò la soluzione, cambiandomi la posizione, che era originariamente quella di mediano destro, in terzino sinistro, anche se, saltuariamente, mi ero cimentato sul versante opposto. Un segno del destino".

Pessotto disputa una stagione di alto livello e totalizza 36 presenze e 2 goal fra campionato e Coppa Italia (4 presenze e un goal). Vive anche la gioia del suo primo goal in Serie A l'8 gennaio 1995: una doppia deviazione sotto misura su cross di Scienza, a ribadire in rete dopo la respinta corta del suo ex compagno ai tempi del Milan, Francesco Toldo.

"Non siamo partiti benissimo, dopo alcune brutte prestazioni c’è stato l’esonero di Rampanti e l’arrivo di Sonetti. Da lì, è iniziata una stagione molto positiva. La società non ci aveva chiesto altro obiettivo che la salvezza: a un certo punto abbiamo anche pensato di poter fare di più, ma alla fine ci siamo consolidati attorno a una posizione di metà classifica".

LA JUVENTUS E LE GRANDI VITTORIE

L'ottima stagione in granata porta su Pessotto gli occhi dei Campioni d'Italia Juventus, che nell'estate 1995 strappano il giocatore friulano ai 'cugini', mettendo sul piatto 7 miliardi di Lire per il suo cartellino.

In bianconero Gianluca, voluto fortemente da Marcello Lippi, vivrà le pagine più esaltanti della sua carriera calcistica: 11 anni di grandi vittorie e momenti magici, in cui si affermerà come uno dei migliori terzini sinistri d'Italia e vincerà praticamente tutto.

Dal 1995 al 2006 Pessotto gioca con la maglia bianconera 366 partite, condite da 3 reti, 245 e 2 goal considerando il solo campionato di Serie A. Ma soprattutto partecipa ai trionfi dei due cicli di Lippi e arricchisce il suo palmarès di quei trofei che pochi calciatori possono vantare di aver vinto: 4 Scudetti (1996/97, 1997/98, 2001/02 e 2002/03) più due persi in seguito a Calciopoli (2004/05), 4 Supercoppe italiane, una Champions League, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale e anche la Coppa Intertoto conquistata nel 1999 con Ancelotti in panchina.

Segna il suo primo goal in bianconero il 13 settembre 1998, nella prima giornata di Serie A, nel rocambolesco 4-3 in trasferta contro il Perugia. Gianluca realizza il provvisorio 0-3 con una sassata di destro dalla distanza.

Gianluca Pessotto JuventusGetty

Fra i momenti più belli della lunga permanenza da calciatore alla Vecchia Signora, il rigore trasformato nella serie di finale contro l'Ajax, a Roma, il 22 maggio 1996. Anche grazie alla sua freddezza, i bianconeri si impongono 5-3 dal dischetto, dopo che i tempi regolamentari erano terminati sul punteggio di 1-1 e alzano al cielo l'ambito trofeo. Fra le delusioni, invece, sempre in Europa, le 3 finali di Champions perse con Borussia Dortmund, Real Madrid e Milan.

"La Juventus è il massimo - ammetterà Pessotto -. Tante le gioie. Poche, anche se bruciano ancora, le delusioni. Nel primo campionato ci piazzammo secondi, ma poi vincemmo la Champions League. Mi viene ancora la pelle d’oca se penso a quando ho tirato uno dei calci di rigore che ci diedero il trionfo. Era una Coppa cui la società teneva moltissimo dopo quella dello stadio Heysel, insanguinata e piena di polemiche".
Juventus 1996
"L’anno successivo, purtroppo, mi infortunai al tendine d’Achille e dovetti dare forfait alla Coppa Intercontinentale a Tokyo, un appuntamento con gli argentini del River Plate che ci tenevo tantissimo a non perdere. Partecipai comunque alla gioia dei miei compagni. Purtroppo, dietro l’angolo, per me, c’era stata la iella. Lo Scudetto mi ripagò, con gli interessi, di quell’amarezza e dell’altra, a Monaco di Baviera, nella finalissima persa con il Borussia Dortmund. Quella sera mi toccò soffrire in panchina. Ma non la dimenticherò facilmente".

L'anno seguente la seconda finale persa, stavolta contro il Real Madrid.

"Non potrò mai dimenticare quella partita, perché il goal della vittoria del Real fu segnato in maniera irregolare - sottolineerà Pessotto ad 'AS' -. Mijatovic era in fuorigioco, nessuno lo vide e nessuno protestò. Comunque io e i miei compagni giocammo male e di certo non perdemmo solo per quel fuorigioco".

Nei suoi anni in bianconero, dopo aver dovuto rinunciare all'iscrizione in Psicologia per dedicarsi alla famiglia, riprende gli studi e si laurea in Giurisprudenza. Legge tanto e indossa spesso gli occhialini, che gli danno un'aria da persona colta, guadagnandosi così il soprannome di 'Professorino' da parte dei suoi compagni. Anche se per gli amici più intimi, come Del Piero, Ferrara e Montero è semplicemente 'Pessottino'.

Nel suo percorso in bianconero, cambia vari numeri di maglia: indossa il 22, il 14, il 3 e soprattutto il 7, che porta nelle ultime sette stagioni.

Benché le stagioni che vive in maglia Juve siano caratterizzate da feroci polemiche, Pessotto nel suo percorso si caratterizzerà sempre fuori dal campo per la posatezza e l'equilibrio nei giudizi e nelle valutazioni. Nel rettangolo verde la sua correttezza esemplare gli farà vincere nel 2006 il 'Premio carriera esemplare Gaetano Scirea' .

Pessotto Batistuta JuventusRoma2001

Fra gli episodi più significativi in questo senso quello del Curi di Perugia il 14 maggio 2000. Sotto il diluvio, gli umbri si sono portati in vantaggio con Calori, e, visto che la Lazio ha vinto, quel risultato condannerebbe i bianconeri a perdere il titolo. Nel finale l'arbitro Collina assegna una rimessa alla Juventus, ma Pessotto dice che è un errore e restituisce la palla all’avversario.

Dopo 12 trofei e la soddisfazione di indossare in alcune occasioni anche la fascia da capitano, Gianluca si ritira nel 2005/06, all'età di 35 anni, e al termine di quella che resta la stagione più amara per l'esplosione dello scandalo di Calciopoli, che priverà i bianconeri degli ultimi due Scudetti conquistati e costringerà la squadra a ripartire dalla Serie B.

Gianluca Pessotto JuventusGoal

PESSOTTO IN NAZIONALE

Nei suoi anni migliori Pessotto veste anche la maglia azzurra della Nazionale italiana. Il debutto avviene il 9 ottobre del 1996 nelle Qualificazioni ai Mondiali di Francia '98 contro la Georgia. A chiamarlo è il Ct. Cesare Maldini, che lo utilizza nel ruolo inedito di terzino destro in una gara che gli Azzurri vincono 1-0.

Con l'Italia il terzino bianconero partecipa ai Mondiali di Francia '98, che vedono la squadra di Maldini uscire ai quarti di finale contro la Francia, dopo i calci di rigore, in una partita in cui il bianconero era stato chiamato ad un grande sacrificio marcando a uomo Zidane. In tutto il giocatore della Juventus colleziona 3 presenze nel torneo.

Pessotto gioca in azzurro anche gli Europei del 2000 in Belgio e Olanda sotto la gestione di Dino Zoff. Pessotto disputa 5 partite, comprese semifinale e finale, e ha un ruolo importante dagli undici metri nel penultimo atto della competizione contro gli Arancioni.

Nella lotteria dei rigori, che consacra Francesco Totti, autore del celebre 'cucchiaio', Gianluca trasforma con freddezza il secondo penalty, battendo ancora una volta Van der Sar, diventato peraltro nuovo compagno di squadra alla Juventus. L'Italia vince 3-1 ai rigori grazie soprattutto ad un super Toldo, prima di essere rimontata in finale dalla bestia nera Francia, che si impone 2-1 al Golden Goal.

Dopo un periodo di assenza, torna in Nazionale anche sotto la gestione di Giovanni Trapattoni. Dovrebbe essere fra i convocati dei Mondiali di Corea e Giappone 2002, ma un infortunio lo priva del possibile secondo Mondiale.

Nell'amichevole pre-Mondiale contro l'Uruguay a San Siro, il 17 aprile 2002 Pessotto parte titolare ma dopo pochi minuti si rompe il legamento crociato anteriore del ginocchio destro, e in aggiunta si procura la distrazione del collaterale esterno.

Finisce sotto i ferri e deve star fuori 7 mesi.

"Non pensavo che il mio infortunio fosse così grave - dirà -, mi dispiace rinunciare alla lotta Scudetto e soprattutto al Mondiale, cui tenevo tanto".

La sua avventura in azzurro si conclude praticamente lì, dopo 22 presenze.

LA CRISI, IL DRAMMA E LA SECONDA VITA

Ritiratosi a 35 anni, e intrapresa subito la carriera dirigenziale, nei giorni in cui sta esplodendo Calciopoli, Pessotto, ragazzo di profonda sensibilità, attraversa una crisi personale che sfocia in uno stato depressivo. Tutto all'improvviso diventa buio e l'ex giocatore, in preda a incubi terribili che non gli danno pace, si lancia nel vuoto da un abbaino della vecchia sede della Juventus, situata nel quartiere Crocetta, il 27 giugno 2006. Ha in mano un rosario e il suo volo è appena attenuato dalla caduta sull'Alfa 147 di Roberto Bettega.

Riporta fratture multiple in tutto il corpo, e arriva all'Ospedale Le Molinette di Torino in condizioni disperate. Nonostante la grave situazione, dopo 8-9 giorni di coma farmacologico e svariate operazioni, cui segue un lungo percorso fisioterapico, lentamente si riprende.

I suoi compagni di squadra che in quel momento stanno giocando i Mondiali di Germania sotto la guida di Marcello Lippi, ovvero Del Piero, Zambrotta e Fabio Cannavaro, più Ciro Ferrara, collaboratore del Ct., lasciano subito il ritiro della Nazionale per venire a trovarlo, e quando l'Italia batte 3-0 l'Ucraina nei quarti di finale, dedicano a Gianluca quella vittoria esponendo in mondovisione lo striscione: "Pessottino siamo con te". Dopo la vittoria sulla Francia, portano da lui anche la Coppa del Mondo.

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Sostenuto dall'affetto dei familiari e degli amici, Gianluca recupera progressivamente, racconta il dramma che ha vissuto in tv e in un libro, 'La partita più importante', scritto con i giornalisti Marco Franzelli e Donatella Scarnati, e dal 2009 lavora per il Settore giovanile della Vecchia Signora, ricoprendo vari incarichi a livello dirigenziale. Attualmente è il Direttore sportivo del Settore giovanile bianconero.

"Oggi lavoro con i giovani, e lo faccio con passione, per farli crescere come uomini e non solo come giocatori", racconterà ad 'AS'.
"Ho ripreso a vivere, e a camminare, ho mosso i primi passi incerti, sentito di nuovo la terra sotto di me, proceduto spedito verso l’indipendenza; una sensazione stupefacente, la cosa più bella in assoluto. Non parliamo, poi, della gioia che ho provato quando, per la prima volta, ho potuto guidare di nuovo la macchina. Non mi sarei più fermato, ho girato e rigirato per tutta Torino, libero e con la mente sgombra, senza più incubi".
"Io salvato dal cielo? Ci ho pensato molto - rivela in un'intervista a 'TV2000' -. Se davvero c’è stato lassù un disegno positivo per me, ne devo approfittare assolutamente. Di sicuro c’è in me l’immagine che mi abbiano ripreso per i capelli… anche se pochi!".
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