"È stato il più grande calciatore mai esistito nella storia del calcio a non aver mai giocato una partita. Senza dubbio imbattibile" - Renato Portaluppi su Carlos 'Kaiser'
In Brasile la sua storia, che in ampi frangenti vede la realtà confondersi con la finzione, e sembra tratta da un film anni Ottanta stile 'L'allenatore nel Pallone', è oggi famosa come quella dei grandi campioni di calcio. Per 26 lunghi anni Carlos Henrique Raposo, meglio conosciuto come 'Kaiser', ha ingannato numerosi club calcistici, fingendosi calciatore pur non sapendo giocare a calcio.
Grazie ad una rete di conoscenze e amicizie che si è costruito negli anni e a svariati favori che faceva a compagni di squadra e dirigenti, in un'epoca in cui ancora le informazioni non viaggiavano su Internet, è riuscito a strappare contratti professionistici con le più importanti società calcistiche del Brasile e non solo, conducendo a tutti gli effetti una vita agiata da calciatore professionista.
Quando gli toccava giocare, faceva di tutto per non scendere in campo: simulava infortuni, risse con avversari o tifosi, inventandosi qualsiasi cosa. Del resto era bravissimo a ingraziarsi i favori di tutti fuori dal campo: coltivava l'arte oratoria, grazie alla quale sapeva essere convincente pur raccontando storie inventate, ed era il re della vita notturna. A Rio de Janeiro conosceva tutti i locali e moltissime donne, portava i compagni di squadra alle feste e forniva loro le ragazze.
"Era dirigente, sentinella, puttaniere - dirà un ex dirigente del Botafogo nel documentario sulla sua vita - faceva qualsiasi cosa ma non giocava".
UNA STRATEGIA PER USCIRE DALLA POVERTÀ
Carlos Henrique Raposo nasce a Rio Pardo, in Brasile, nello Stato del Rio Grande do Sul il 2 aprile 1963. Vive l'infanzia in condizioni di povertà: sua madre è una cuoca, suo padre ripara ascensori. Come tanti ragazzi del suo Paese, sogna di diventare un calciatore professionista: essere calciatori in Brasile rappresentava uno status symbol dagli anni Settanta agli anni Novanta.
"A 10 anni - racconta nel documentario 'Kaiser - Il più grande truffatore della storia del calcio' - vivevo in una discarica e sognavo di diventare un calciatore per uscire fuori da quella miseria".
"La mia passione è sempre stato lo studio, volevo fare l'insegnante di educazione fisica, ma mia madre adottiva mi obbligava a giocare. Era alcolizzata e morì di cirrosi, pesava 200 chili. Ero sfruttato dalla mia famiglia. A 10 anni ero nelle giovanili del Botafogo, guadagnavo già più di tutti a casa, ma non vedevo un centesimo. Dopo la morte di mia madre, andai a vivere con due mie zie molto vecchie, che facevano le donne delle pulizie".
Entra nelle giovanili del Botafogo, poi passa al Flamengo, gioca da attaccante ma senza dimostrare sufficiente talento. Nel 1979, tuttavia, all'età di 16 anni, è notato da degli scout del Puebla durante una sessione di allenamento e finisce in Messico.
“I dirigenti del club videro in me del potenziale, - afferma Carlos - avevo un buon tiro ed ero forte fisicamente”.
In Messico però il brasiliano non giocherà mai e si rende conto che non è sufficientemente adatto per fare il calciatore professionista. Così matura la decisione che segnerà la sua vita da lì in avanti:
"Volevo vivere come un calciatore senza esserlo realmente", rivelerà.
LA LEGGENDA DI CARLOS 'KAISER'
Tornato in Brasile nei primi anni Ottanta, dopo una breve parentesi negli Stati Uniti con gli El Paso Patriots, mette in atto il suo piano geniale e vincente.
"A 20 anni la mia carriera calcistica era già sull'orlo del precipizio. - racconterà - La strada per il successo a quel punto, era solo una: iniziare a frequentare i locali più famosi della città, quelli dove i miei idoli trascorrevano il loro tempo libero. Ho conosciuto giocatori come Ricardo Rocha, Renato Gaucho, Romario, Bebeto Djalminha, Andrare, Careca, Edmundo, Marinho, e li ho corteggiati fin quando loro non si sono innamorati di me. Così qualcuno di loro mi portava con sé come contropartita nelle squadre con cui firmavano. Sono riuscito a beccare un contratto inaspettato dal Botafogo. Da quel momento, l'unico problema sarebbe stato quello di non far scoprire mai ai miei allenatori la verità sulle mie doti tecniche".
Per tutti diventa 'Kaiser', soprannome la cui genesi è dibattuta. Molti sostengono gli sia stato attribuito per una vaga somiglianza fisica con Franz Beckenbauer, lui però dà un'altra versione:
"Pensavano che il mio modo di giocare fosse simile a quello di Beckenbauer. - sosterrà - Mi è stato dato il soprannome Kaiser perché le persone vedevano qualcosa di lui in me".
La verità, tuttavia, è probabilmente molto diversa:
"È sempre stato grassoccio. - dichiara il suo amico Luis Maerovitch nel documentario - A quei tempi c'era una birra che si chiamava Kaiser. Aveva una grossa bottiglia rotonda. Quindi lo ribattezzammo 'Kaiser' perché somigliava alla bottiglia della birra. Poi quel soprannome gli è rimasto".
Fatto sta che Kaiser inizia la sua inarrestabile ascesa nel mondo del calcio, guadagnandosi contratto dopo contratto, fama, celebrità e buoni ingaggi. Non potendo migliorare le sue scarse doti tecniche, lavora sul personaggio che si costruisce, e lo fa molto bene: veste alla moda, frequenta le spiagge e i locali vip di Rio, è circondato da belle donne, che riempie di lusinghe e complimenti con la sua arte oratoria e dice di essere un calciatore.
Nel Botafogo non gioca praticamente mai e in allenamento inscena uno dei suoi must: simula un infortunio e resta fuori per mesi.
"Quando occorreva lavorare col pallone, - spiegherà 'Kaiser' - combinavo sempre che qualcuno mi facesse un’entrata dura o fingevo un fastidio muscolare. All’epoca non c’era la risonanza magnetica nei club, era la mia parola contro quella del medico. E se poi le cose si mettevano male, avevo sempre il certificato di un amico dentista".
Kaiser fa di Renato Portaluppi, noto in Brasile come Renato Gaucho, un suo idolo. Gira spesso in costume da bagno, porta i capelli lunghi come gli porta lui e due grandi occhiali da sole e per aver accesso alle feste più prestigiose spende spesso il nome del giocatore che nel 1983 trascina il Gremio alla Copa America e all'Intercontinentale.
"Voleva somigliare a Renato - raccontano quelli che l'hanno conosciuto. - Si tagliava i capelli come lui, vestiva come lui. Era praticamente il clone di Renato".
Una volta viene scoperto dal vero Renato e si nasconde in un bagno. I due, poi, diventeranno però grandi amici.
Nel 1984 sostiene di esser stato ingaggiato per un breve periodo dagli argentini dell'Independiente, che quell'anno vinceranno la Coppa Intercontinentale, ma questi ultimi hanno sempre smentito.
La successiva tappa lo vede addirittura in forza al Flamengo, dove giocano campioni come Zico, Junior e Bebeto e allena la leggenda Carlos Alberto.
"Si presentava con gli articoli di giornale e le tessere delle squadre con cui sosteneva di aver giocato. - ricorda Bebeto.
Durante gli allenamenti regge bene la parte fisica, ma il problema arriva quando compare il pallone.
"Se la palla era a sinistra lui era destra, - dicono i campioni che hanno avuto modo di allenarsi con lui - se la palla era in attacco lui andava in difesa. Se la palla era in difesa lui andava in attacco...".
"Facendo torello ci passavamo la palla con Kaiser al centro - ricorda Bebeto - e lui non riusciva mai a prenderla. Correva da una parte all'altra del campo, sudava tantissimo. 'Arrenditi!', gli dicevamo. Era distrutto ancor prima di cominciare l'allenamento".
L'obiettivo di Kaiser non era del resto la gloria calcistica.
"Firmavo il contratto e poi prendevo l'anticipo. A quel punto non era importante se lo stipendio arrivava. Non ero di quei giocatori che volevano concludere il contratto con un club. Cercavo di andarmene il prima possibile".
"Fingeva sempre: una volta era un problema alla caviglia, una volta al tendine... - ricordano i suoi compagni - Iniziava una fisioterapia di tre mesi, poi tornava e si infortunava nuovamente".
"Spesso ero io a chiedere a Carlos Alberto di far allenare Kaiser con noi - ammette Bebeto - in ogni squadra c'era qualcuno che lo proteggeva".
Grazie a questo stratagemma, Kaiser riusciva a passare di squadra in squadra senza giocare mai. Usava persino un telefono giocattolo con cui simula presunti colloqui con presidenti di grandi club. Ma viene scoperto e deve lasciare il club rubronegro.
"Non giocavo, non segnavo goal, non calciavo la palla. - dichiarerà nel documentario su di lui - La mia è una storia di un anticalciatore".
GAZELEC AJACCIO: FRA FANTASIA E REALTÀ
A questo punto la storia di Kaiser si tinge di giallo. Carlos ha sempre sostenuto di aver ottenuto un ingaggio in Francia con il Gazelec Ajaccio grazie al connazionale Fabinho, suo amico.
"Fu lui a chiudere la trattativa. Dopo che firmai mi catapultarono in uno stadio che, sebbene piccolo rispetto agli stadi di Rio, era pieno di tifosi come se si dovesse disputare una partita. - racconta sempre - Pensai che avrei dovuto solo fare una corsetta e salutarli, ma in campo c’erano dei palloni ed ho capito che avrei dovuto palleggiare. Sono diventato nervoso, temevo che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare. Così consegnai un mazzo di fiori alla presidentessa, mi avvolsero in una bandiera corsa e ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c’erano più palloni...".
Ma proprio Fabinho ha smentito di recente la sua versione dei fatti.
"Kaiser - sosterrà nel documentario - non è mai stato al Gazelec Ajaccio. Io sono stato 5 anni in Corsica e non posso più alimentare le bugie di Carlos".
IL RITORNO IN BRASILE FRA ANEDDOTI E COLPI DI GENIO
Carlos aveva ricevuto comunque una maglia del Gazelec dal suo connazionale e carpito molte informazioni sulla Corsica, così raccontò la storia in televisione. Mostrò anche un presunto cartellino del 1987/88. E questo non fece altro che alimentare la sua leggenda.
Riuscì a farsi mettere sotto contratto anche con il Fluminense in due differenti periodi e con il Vasco da Gama.
"Un centrocampista del Fluminense stese un tizio in un night club. - ricorderà - Io allora mi presi le colpe e lui mi fece ingaggiare dal club".
Al Vasco organizza festini a luci rosse per compagni e giornalisti e quando la squadra va in trasferta, anticipa l'arrivo dei compagni negli alberghi e li fa trovare sempre delle donne nelle loro camere, inclusa quella del presidente.
"Ero l'idolo dei giocatori - affermerà - non quello dei tifosi. Qualsiasi donna volessero, io gliela procuravo. Se Pelé ha segnato più di mille goal, io e Renato ne segnammo 2000 con le donne. Era un bordello perenne. Il sesso era il mio hobby, facevamo delle orge".
Anche al Vasco inscena i soliti infortuni e ritrova Bebeto come compagno di squadra.
"L'avevo già conosciuto al Flamengo ma non dissi nulla a nessuno. - dirà il campione del Mondo di USA '94 - Dato che non si capiva la causa dei suoi problemi fisici, la società, dopo averle provate tutte, decise di farlo vedere da Pai Santana, che usò la magia nera per provare a farlo guarire. Fu un giorno molto divertente, perché sapevamo che Kaiser stava fingendo".
"Invitai Santana a lasciar stare, gli spiegai che io in realtà stavo benissimo ma non volevo giocare. 'Ecco i tuoi soldi, io voglio restare infortunato tutta la vita', gli feci".
Oltre che con le quattro grandi di Rio, Carlos ha militato anche in club minori come l'America e il Bangu. Particolare è stata l'avventura in quest'ultimo, gestito da Castor de Andradre, uno degli uomini più potenti e pericolosi del Brasile, di cui riesce ad attirarsi le grazie attraverso la sua arte oratoria e il suo carisma.
Una notte in cui come al solito è impegnato a fare l'alba nei locali di Rio, Kaiser riceve la telefonata del suo allenatore: sarà in panchina. Quando Castor chiama il suo tecnico dalla tribuna e gli impone di far entrare Kaiser, per quest'ultimo si mette male. Ma ecco il colpo di genio:
"Durante il riscaldamento, un gruppo di tifosi m’insultò per i capelli lunghi. Scavalcai e scatenai una rissa: così venni espulso ancora prima di entrare. Negli spogliatoi, durante l'intervallo, arrivò il presidente furioso, e prima che potesse esplodere di rabbia, gli dissi che Dio mi aveva dato due padri: il primo l’avevo perso, il secondo era lui, e che avevo reagito così perché i tifosi lo stavano insultando. Il mio contratto scadeva quella settimana. Castor mi abbracciò e lo prolungò di 6 mesi".
LA CADUTA IN DISGRAZIA E COSA FA OGGI
Nel corso degli anni Novanta del secolo scorso Kaiser continuerà a vivere con le stesse modalità anche fra i Dilettanti, e si ritirerà soltanto nel 2003 a quasi 40 anni.
"Tutte le squadre in cui sono stato - affermerà - hanno festeggiato due volte: la prima quando sono arrivato, la seconda quando sono andato via".
La sua carriera da finto giocatore, nella quale è stato in almeno 16 squadre diverse (fa anche un'esperienza in Portogallo) è durata 26 anni in cui si dice abbia avuto all'attivo una trentina di presenze, ovviamente senza mai segnare, nonostante i fotomontaggi che realizzava nelle videocassette per promuovere la sua immagine.
"In confronto ai campioni dell'epoca non ero nessuno, ma - precisa lui - in questa generazione sarei una stella del calcio".
E in un'intervista al settimanale 'Extra Time' de 'La Gazzetta dello Sport' ha rivelato:
"Quando ero al Gazélec s’era parlato di un interesse del Vicenza, ma poi non se ne fece nulla. Non avevo motivi per andarmene, lì mi amavano tutti".
Sarà vero? Difficile saperlo quando a raccontare è Kaiser. La sua vita privata però va a rotoli: si sposa (Djalminha gli fa da testimone di nozze) e ha un figlio, che trascura con la sua condotta di vita disennata. Prova a stare più vicino alla famiglia, ma perde sia il figlio sia la moglie. Allora si sposa una seconda volta e di nuovo sua moglie muore.
Le disgrazie lo colpiscono anche fisicamente.
"Una mattina - rivela nel documentario che racconta la sua storia - mi svegliai cieco di un occhio".
Così si ritira a vita privata e non si fa vedere in giro per diversi anni. Aiutato dai vecchi amici, e in particolare da Renato Portaluppi, che lui stesso definisce "come un padre", riesce a rialzarsi. Negli anni dieci del Duemila inizia così a svelare la sua storia in tv, e la sua leggenda torna alla ribalta. Oggi lavora come personal trainer di bodybuilding in una palestra di Rio, categoria wellness: allena naturalmente solo donne, per le quali la passione è rimasta immutata.
Quanto al fatto di aver truffato tanti club, non ha rimpianti.
"Le squadre illudono un sacco di giocatori, - ama ripetere - qualcuno doveva pur vendicarli".